Brivido coniugale
Ammaniti intreccia scandalo e ricatti. La tempesta della “Vita intima”
Il matrimonio della donna più bella del mondo è sul filo del rasoio. Un romanzo che ti porta in giro per Roma, dentro attici ricchissimi, cliniche e studi televisivi, in una casa sull’albero e in mezzo ai rovi
“Però si sa, il passato te lo puoi pure scordare, ma lui non si scorda di te”. La prima volta che ho letto La vita intima, il nuovo romanzo di Niccolò Ammaniti, tutto sullo schermo di un cellulare, tutto in un pomeriggio, perché l’avevo appena ricevuto e non potevo aspettare di tornare a casa davanti a un computer per finirlo, ero al mare.
Sul mare di Sabaudia, dietro di me le dune, davanti a me quell’acqua capace come nessun’altra di darmi sollievo. L’estate era finita, mi ero ostinata a tornare al mare ancora un altro giorno, un altro giorno ancora, ma le nuvole erano grosse e minacciose, avevo freddo, il vento forte sollevava la sabbia, e la sabbia mi tempestava le braccia, le gambe, mi pungeva, mi faceva male.
E poi ho letto questa frase, nel bel mezzo di quel mare in tempesta che è La vita intima, proprio un perfetto mare in tempesta con le sue onde altissime, rigate di spuma bianca, che si alzano immense come fossero di pietra e non di mare, e con momenti di calma piatta o meglio di speranza, in cui il vento sembra calato, la pioggia si fa così sottile che quasi non la vedi più e il sole si affaccia tra le nuvole e ti promette che sta tornando, che tornerà, che torna sempre. Ho letto questa frase in mezzo a questa bellissima tempesta che questo romanzo è e, invece di farmi paura come mi ha sempre fatto, il passato all’improvviso mi è parso meno minaccioso.
Se può affrontarlo Maria Cristina, il passato, posso affrontarlo anch’io.
Se Maria Cristina ha trovato il coraggio, fosse pure per un attimo di sole in questa tempesta, fosse pure per un abbaglio, quel coraggio posso trovarlo anch’io.
Perché La vita intima fa questo. Ti racconta una storia, con dei personaggi che non ti aspettavi, una suspense che ti attanaglia lo stomaco e devi andare avanti, devi sapere come va a finire, i buoni che in realtà sono cattivi e i cattivi che in realtà sono buoni – o meglio, nessuno è davvero buono, nessuno davvero cattivo, non saprai mai fino in fondo chi sono le persone, come nella vita –, ti porta in giro per Roma e i suoi dintorni, ti porta in campagna e poi ti porta al mare, ti porta dentro attici ricchissimi e dentro le cliniche e negli studi televisivi, dai parrucchieri chic e da quelli di periferia, ti porta nei circoli esclusivi e nei centri massaggi più gettonati, ti porta in una casa sull’albero e in mezzo ai rovi e tra mandrie di cani, ti porta su un camper sgangherato e nelle auto più costose, ti porta nel presente e nel passato, nell’impero dei social che tutto guardano e decidono e nella vita vera, negli ingranaggi della politica e in quelli delle coppie che si sgretolano. Ma tutto questo, tutto questo che già sarebbe tanto, che già trabocca mentre leggi, non racconta solo questa storia. La vita intima è una domanda a te, caro lettore – Ammaniti decide di parlarci, di tanto in tanto, in questo libro – una domanda semplice, e a suo modo dolce: tu, chi vuoi essere?
Tu, caro lettore, che pensi che, arrivato a un certo punto della vita, dopo esserti costruito il tuo ruolo, la tua credibilità, i tuoi amici, i tuoi conoscenti, il tuo lavoro, la tua famiglia, le tue infinite bugie per andare avanti un altro giorno, per non affrontare la verità che sarebbe spaventosa, oserei dire oltraggiosa, tu sei sicuro che non si può cambiare? Tu sei sicuro che, anche se non hai più vent’anni, anche se ormai ti sembra di aver puntellato tutta la tua vita di così tanti chiodi, un chiodo dopo l’altro, negli anni, e di non poterti più muovere, ormai sei inchiodato al muro e pace, ci stai anche un po’ bene lì, non hai più bisogno di farti nessuna domanda, non hai più bisogno di fare alcuna scelta; tu sei sicuro di non avere ancora la possibilità di chiederti: “chi vuoi essere?” e darti una risposta?
Anche se quella risposta richiede così tanto coraggio.
“Quante volte nella vita sappiamo di essere così prossimi alla verità da poter allungare una mano, afferrarla e come una farfalla chiuderla nel palmo. E invece facciamo un passo indietro certi che tra quei due petali colorati si nasconda l’orrore di quelle antenne ramificate, di quelle zampette da mosca, di quella proboscide da zanzara. Ed è giusto così. Altre volte la verità urla, ci chiama e ci implora di ascoltarla, ci chiede di restituire senso alle cose e dar luce a una vita orba. E allora rischiamo tutto per amore suo”. Tu, caro lettore, cosa scegli di fare?
E soprattutto, dato che in questo romanzo sei solo tu a conoscere la protagonista, l’eroina, Maria Cristina, perché Maria Cristina, di sé, non dice mai nulla a nessuno, tu come puoi aiutarla a trovare una risposta, e così aiutare te a trovare la tua?
Maria Cristina Palma, moglie del premier, è la donna più bella del mondo. Lo dice una ricerca realizzata da un’università della Louisiana
Maria Cristina, ecco. Maria Cristina Palma, quarantadue anni, orfana di madre troppo presto, moglie di Domenico Mascagni, l’attuale presidente del Consiglio italiano, ex moglie del famoso scrittore Andrea Cerri (“unico, stando ai bene informati, vero amore della sua vita”), morto arso vivo in una macchina da cui lei invece è stata tirata fuori appena in tempo, sorella minore di Alessio, morto anche lui, scomparso nelle acque della Grecia lasciandola attonita dal dolore, incapace di affrontarlo per davvero, madre dell’amatissima Irene, ex atleta, ex modella, è la donna più bella del mondo. Lo ha sancito una ricerca realizzata da un’università della Louisiana ed è diventata subito una maledizione.
Rilanciata sui social, la notizia si è fatta virale. E’ stata usata contro il premier, accusato dai partiti di destra e poi anche dagli alleati di governo di “usare la moglie come un candelabro dorato messo a nascondere la sua modesta caratura politica”. Sicuramente la loro relazione non è vera, dicono i gossip, lei è solo una statuina messa lì per rifrangere la propria luce sul marito. “Bella e muta”, così deve rimanere sempre. Bella, muta e immobile. Felice, sicuramente, di guardare il mondo dalla vetta e, misericordiosamente, di tanto in tanto regalare un bellissimo sorriso, un meraviglioso stacco di gamba, una schiena perfetta a noi comuni mortali, che stiamo qua giù, e solleviamo la testa solo qualche volta, ma non per ringraziare il cielo.
Maria Cristina, dunque, donna oggetto all’ennesima potenza, che non sembra neanche tanto intelligente quando la conosciamo – si sta allenando per mantenere il suo corpo perfetto e si ferisce al piede, schiacciandosi malamente l’unghia – una che è stata tagliata in due da troppi dolori ma il cui dolore non si vede nelle rughe del viso, che non ha, nelle macchie della pelle, che non ha, nei seni flosci, che non ha (sospettiamo dunque che non l’abbiano toccata, quei dolori, perché se non si vedono, allora non ci sono); una che ha tutto, potremmo ben dire, uno stuolo di servitù di tutti i tipi, una casa bellissima, viaggi pazzeschi sempre a portata di mano, una figlia che ama, soldi, tanti soldi, gli occhi del mondo puntati addosso pronti sì a denigrarla ma intimamente a desiderarla ogni momento; una così, che nella vita non deve fare niente se non esistere, mostrarsi ogni tanto alle cene e agli eventi più chic, sorridere e salutare, che vuole da noi, caro lettore?
Niccolò Ammaniti riesce sempre a creare bellissime tempeste. L’ha fatto con tutti i suoi romanzi, in cui il riso, il pianto, la meraviglia, la commozione si mescolano e tracimano l’uno nell’altra senza soluzione di continuità, come se ogni romanzo fosse una serie di vasi che comunicano tra loro e con te e non smettono mai di lasciar fluire quello che hanno dentro, anche tanti anni dopo che li hai letti; l’ha fatto con le sue serie tv, l’ultima è Anna, un racconto su chi sono davvero i bambini che riesce a farci ricordare chi eravamo noi da bambini, un racconto sulla violenza più pura, sull’amore più puro, sulla speranza più pura. Lo fa qui con un personaggio: che cos’ha da dirci, nella sua vacuità, caro lettore?
Su quella spiaggia di Sabaudia, mentre la sabbia alzata dal vento mi faceva male, Maria Cristina si riempiva. A frantumare la sua vita, arrivava un video porno girato molto tempo prima, quando aveva vent’anni, su una barca a vela, in vacanza con gli amici di suo fratello, più grandi di lei, lei unica femmina. Aveva preso una cotta per uno di loro, Nicola Sarti (o si era innamorata? E’ capace una donna così di innamorarsi?), aveva girato questo video con lui, si era divertita. Ma quello era il passato.
Erano ventidue anni fa. Tu cosa facevi ventidue anni fa, caro lettore?
Io su quella spiaggia non ho voluto nemmeno pensare a cosa facevo ventidue anni fa. Se il passato tornasse a grandi falcate e mi puntasse e spalancasse le sue fauci e mi colasse bava bianca sulla testa, se il passato dicesse sono tornato, sono qui, io mi lascerei divorare senza alzare un dito. Non avrei la forza. Tu?
Ecco, Maria Cristina si muove tra verità e passato. E’ la moglie del premier: questo video può uccidere lei, la carriera di suo marito, e la vita di sua figlia piccola. Nicola Sarti è riemerso dalle brume più remote e quello che sembrava un brivido vitale – un antico amante che ti cerca, quando ti senti ormai solo un involucro che minaccia di cedere da un momento all’altro – come nella più terribile delle storie, e come nella vita, diventa una minaccia.
E se il vero me smettesse di dormire il sonno barbiturico che gli ho imposto per sopravvivere, che succederebbe? Tragedia o liberazione?
Cosa succederebbe se Nicola Sarti rilasciasse il video in rete?
Quante volte, in questa vita fatti di chiodi comodi che ci siamo costruiti, ci è successo di pensare: e se il vero me smettesse di dormire il sonno barbiturico che gli ho imposto per crescere, per riuscire a sopravvivere, e irrompesse fuori dal mio petto, che succederebbe? Sarebbe una tragedia. O la liberazione.
La vita intima si arrampica con dolcezza sulle nostre speranze, i nostri sogni, pure. Le nostre paure. E’ anche un romanzo sulla violenza, in tutti i sensi, prima di tutto la violenza di relegare una donna bella a un santino stampato su una tessera da portarti sempre dietro. L’abbiamo fatto anche noi, magari senza accorgercene. Guardare le donne belle al fianco degli uomini potenti e vedere solo un ologramma.
Non è vero che Maria Cristina non capisce niente, non è vero che noi, nelle nostre infinite insicurezze o inutili convinzioni non capiamo niente
E invece Niccolò Ammaniti prende questa donna e fa un’operazione che io non ho visto da nessun’altra parte. Man mano che le pagine vanno avanti, man mano che conosciamo Maria Cristina, anche Maria Cristina conosce sé stessa. “Nel vento e nel gelo Maria Cristina si lascia condurre, le palpebre chiuse come se non dovesse aprirle mai più, prostrata dallo strazio e costernata dalla improvvisa, lampante, cognizione di non capire un cazzo, mai, di non saper riconoscere le persone, di essere solo un tappo di sughero sballottolato dalle onde”. E invece no. Non è vero che Maria Cristina non capisce un cazzo, non è vero che noi, nei nostri infiniti angoli bui, nelle nostre infinite insicurezze o nelle nostre granitiche inutili convinzioni non capiamo un cazzo.
Se alzi la testa, se stacchi un chiodo da una mano, forse quella mano la vedi di nuovo, dopo tanto tempo. E puoi usarla come vuoi. E puoi chiederti, finalmente, dopo tanti anni: tu, chi scegli di essere? Tu, cosa scegli di fare?
Niccolò Ammaniti, scrittore uomo, entra nella testa della donna più bella del mondo che prima non era niente neanche per sé stessa e le dà una storia: e dunque, una vita.
Maria Cristina diventa un personaggio indimenticabile. Si fa reale e piena e coraggiosa davanti ai nostri occhi. L’abbiamo vista nascere. E adesso che l’abbiamo vista per davvero, non ce la dimenticheremo mai più.
Ho finito di leggere ieri La vita intima per la seconda volta. Adesso piove ed è gennaio, ma la mente mi ha riportato a quella Sabaudia sferzata dal vento (la stessa Sabaudia dove Maria Cristina e suo marito dormivano quando a lui è stato proposto di formare il nuovo governo, e quella notte ha cambiato le vite di tutti). E tra le tante, di nuovo, mi si è aggrappata dentro una scena del romanzo in cui un vecchio uomo di potere che sta molestando una ragazzina diventa, agli occhi di lei, “un’enorme aragosta in piedi sulle sue zampe arancioni accanto al lettino, le grandi antenne che sfioravano il soffitto dello studio e il carapace pieno di spine appuntite e i bulbi oculari sopra i peduncoli”. E ho pensato, come avevo già pensato la prima volta che ho letto questo libro: tu, Niccolò Ammaniti, trovi sempre le parole. Il modo di entrare anche nella testa di una ragazzina e raccontare una violenza, e la distruzione che porta una violenza.
Ma pure un universo infinito d’amore. Un universo di campagne sterminate popolate da cagnolini che abbaiano e giocano, di case sull’albero che resistono all’infanzia, all’adultità e alla distrazione del tempo, un mondo di madri che si spalancano all’immensità dell’universo quando guardano i propri figli, un mondo in cui, se hai il coraggio, se la sai guardare, hai sempre una nuova possibilità.
Credere in sé stessi? Trovare una verità dentro di sé? Smettere di pensare che non abbiamo il diritto di sognare, di cambiare? Trovare la forza di salutare una volta per tutte il passato e spogliarci di tutto e buttarci nel mare, nel futuro?
Ognuno risponderà quello che vuole. Un libro ha anche questo di meraviglioso: che la risposta la dai tu. “Le storie, quelle importanti, quelle che cambiano i destini, sono fiumi impetuosi, difficili da imbrigliare. Tu gli metti un ostacolo e loro deviano, trovano un’altra via per fluire”. Quando hanno iniziato a zampillare, non le fermi più.