Dietro la fantascienza sovietica c'è il picnic alieno dei fratelli Strugackij

Vanni Santoni

Il romanzo, da cui Andrej Tarkovskij ha tratto il suo capolavoro Stalker, ha sempre suscitato interesse anche al di fuori dei circoli fantascientifici. Per la prima volta tradotto direttamente dal russo

Da qualche anno la casa editrice Carbonio ha cominciato un meritorio lavoro di pubblicazione dei romanzi dei fratelli Strugackij, padrini della fantascienza sovietica, o forse è meglio dire padri, essendo coloro che l’hanno traghettata dalle ingenuità propagandistiche dell’èra staliniana, quando l’unico argomento pubblicabile era la celebrazione delle imprese cosmologiche a venire dell’Unione sovietica, e sfiorarne altri era quantomeno sospetto e senz’altro rischioso. E’ in un tale quadro di riscoperta italiana del lavoro degli Strugackij che si inserisce anche la pubblicazione, in questo caso da parte di Marcos y Marcos, di Picnic sul ciglio della strada, se non la loro opera migliore, certo quella in cui i loro temi si condensano al meglio, dando vita a quel “futuribile in odor di metafisica” che permise alla soviet sci-fi di competere in immaginari con quanto veniva prodotto “di qua di cortina”.

 

Il romanzo è del 1972, ma a differenza di altre opere strugackijane uscite in questi anni da noi, non è la prima volta che atterra sugli scaffali delle nostre librerie, anche perché, essendo il romanzo da cui Andrej Tarkovskij ha tratto il suo capolavoro Stalker, ha sempre suscitato interesse anche al di fuori dei circoli fantascientifici. La differenza – ed è una differenza sostanziale – rispetto alle altre edizioni è che questa versione Marcos y Marcos è la prima tradotta direttamente dal russo (da Diletta Bacci, con la cura di Paolo Nori), laddove le precedenti erano ritraduzioni dalla versione inglese – e chi ha giocato almeno una volta al “telefono senza fili” sa cosa succede a passare di versione in versione. Detto senza mezzi termini, è quindi la prima volta che possiamo veramente leggere Picnic sul ciglio della strada per quello che è, ed è davvero molto.

 

Siamo a Marmont, una cittadina industriale simile a tutte le altre, forse solo un po’ più fredda e squallida. Ma poco oltre la sua periferia è accaduto qualcosa di enorme e inspiegabile. Là, dove finiscono capannoni e strade di servizio, dove la natura si riprende la scena (impossibile non pensare alle immagini viste nei ben sette film e documentari su Chernobyl usciti in questi anni), si è formato un territorio dalle caratteristiche particolarissime. In questo caso la chiave non è la radioattività, ma ciò non lo rende meno pericoloso: nella “Zona”, così è stata chiamata quella porzione di territorio, sono passati degli extraterrestri, e da allora non è più un luogo come un altro. Si è trasformata in un luogo bizzarro e incantato, per alcuni né più né meno magico: di certo vi si possono esperire fenomeni allucinanti (e non di rado fatali), ma, ciò che è ancor più rilevante, vi si possono rinvenire oggetti dalle qualità mirabolanti. Come, appunto, dopo un picnic a bordo strada, gli extraterrestri hanno dimenticato alcuni “avanzi“"” sul prato; non si tratta però di fette biscottate e lattoni di birra, bensì di “accumulatori eterni”, “antigravitometri” e “gusci energetici”, tutti strumenti che anche al di là dei loro poteri possiedono un elevatissimo valore scientifico ed economico. Nasce così una nuova professione, quella di stalker: sono coloro che si azzardano a entrare nella Zona a caccia di oggetti – e si noterà che oggi le guide che osano condurre i “turisti del pericolo” nella zona contaminata di Chernobyl si fanno chiamare così, a testimonianza dell’importanza culturale (e in qualche modo profetica) dell’opera degli Strugackij.

 

Se domandaste a una Tokarczuk, a un Krasznahorkai, a un Cartarescu, a un Gospodinov o a uno degli attuali nuovi capibastone delle lettere mondiali giunti dall’Est (ma pure a chi prova a fare nuovo weird in occidente, come il sopravvalutato VanderMeer, che gli Strugackij ha letteralmente saccheggiato in modo sistematico) da dove hanno preso la loro “morbida metafisica” e il loro “mito che non vuol spiegare se stesso”, probabilmente diranno “da Kafka”, e avranno pure ragione. Ma non c’è dubbio che se metà del dna è kafkiano, l’altra metà è dna alieno targato Strugackij.

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