La recensione
Che Fusco! Vita e cannonate del giornalista più mascalzone di sempre
Pubblicati da Aragno gli articoli di Gian Carlo Fusco per il mensile Successo. Firma brillante degli anni Sessanta, boxeur, malandrino, bevitore. Le sue comparsate in redazione con il viso tumefatto
Era sdentato, sbandato, pugile, bevitore, senza casa, era quasi sempre senza un soldo. Gian Carlo Fusco era un giornalista. Scriveva pure romanzi, che puzzavano di gin, e saggi per gente irregolare: gangster italo-americani, militari della legione straniera, prostitute sfrattate dalle case di tolleranza. Preferiva essere pagato con casse di vino al posto delle banconote. Natalia Aspesi, la regina di Repubblica, lo vedeva entrare in redazione con il viso tumefatto. Non era nulla. Solo una rissa a cui aveva preso parte, “materiale narrativo”, “tutta vita”, sorrideva e si giustificava lui.
Erano gli anni Sessanta e Fusco il più indisciplinato e furioso dei cronisti. Fa a pugni, e davvero, perché era un boxeur, prima di fare a pugni con la pagina bianca. Cambia giornali come le automobili, cede alle lusinghe dei direttori. Chi lo assume non assume un esperto di politica, di esteri o di costume, assume un narratore. Nel giro di un decennio lavora per Il Mondo, L’Europeo, L’Espresso, Cronache, il Giorno. E’ Manlio Cancogni che gli propone di scrivere perché era stanco di ascoltarlo: “E scrivi, scrivi …”. Fusco produceva avventure come una multinazionale tutte recitate con il bicchiere in mano. Aveva due baffoni da canaglia. Conosceva la mala di Milano e quella di Marsiglia e infatti si inventa “Duri a Marsiglia”, pagine di sangue e di contrabbando. Era del resto un mezzo marinaio, nato a La Spezia nel 1915. Partecipa alla seconda guerra mondiale e la racconta come racconta il boom in Versilia o i protagonisti di Lascia o Raddoppia, come ha fatto del resto sul “Successo”, il mensile da cui sono state rapinate le prose pubblicate oggi da Nino Aragno, l’editore più fuschiano d’Italia.
Rapinare era senza dubbio un verbo amato da Fusco. Non è escluso, anzi è quasi certo, che qualche piccolo furto lo abbia commesso. Il titolo del libro è “Arpa e cannone”. Sottotitolo “La pagina più scintillante del mensile “Successo (1959-1963). Fa parte di una collana curata da Luigi Mascheroni, altro tesserato del club Fusco. L’introduzione è invece di Dario Biagi, autore della biografia malandrina “L’incantatore, storia di Gian Carlo Fusco”. Arpa e cannone era il titolo della rubrica di Fusco su Successo. Ne aveva una su un mensile, una sul settimanale, una sul quotidiano. Le rubriche sono finestre, garitte che i giornali si inventano per gestire i giornalisti difficili, quelli che è sempre una fortuna avere ma a cui si può benissimo rinunciare per non doverci lottare. Oggi uno come Fusco avrebbe casa solo su Dagospia. Arpa sta a indicare il suono celestiale, la scrittura perfetta, cannone ricorda invece la polvere da sparo che resta a fine giornata, a fine guerra, alla fine di Fusco.
Non è invecchiato nessuno di questi articoli. Ne seleziono alcuni. “Milano quasi Parigi” è ad esempio più utile dei resoconti sulla controversia Meloni-Macron. Inizia così: “Gli italiani non amano la Francia perché ne sono affascinati. Parigi, in fondo, è ancora la Mecca dei nostri borghesi”. Un altro è “La rivoluzione può attendere”. Sembra di stare oggi nella sede del Pd: “Mesi or sono, riuniti in assemblea a Roma, i più distinti intellettuali del Pci riesaminarono le loro posizioni. Fecero critica e autocritica. L’autocritica della critica e la critica dell’autocritica”. Sono nate scuole di giornalismo e si moltiplicano quelle di scrittura. Fusco è l’antiscuola di giornalismo. E’ il giornalismo come arte randagia, mestiere che si impara sbagliando, rubando una buona idea, copiando qualche autore del Settecento.
Fusco odiava i tromboni quelli che lamentandosi scrivono: “Il giornalismo di Fusco non esiste più”. C’è ancora, eccome se c’è, tutta la miseria che ha vissuto Fusco, c’è il giornalismo malpagato, la durezza di chi si presenta di fronte a un presidente del Consiglio e un’ora dopo alla padrona di casa per chiedere una dilazione d’affitto. Ebbene, se siete riusciti a ottenere la dilazione, e lo auguriamo per voi, compratevi questo libro e ovviamente tenetelo sul tavolino del bar dopo aver ordinato un Fusco tonic: “Cameriere, rabbocchi! Ancora uno. Chiaramente, lo metta sul conto …”.