(foto Ansa)

il foglio del weekend

Di Castellitto in Castellitto. È la volta di Maria, romanziera

Giulio Silvano

Padre attore, madre scrittrice, fratello tuttofare: è solo la mia famiglia, racconta al Foglio la venticinquenne Maria, al suo esordio romanzesco con "Menodramma"

Annie Ernaux, che l’anno scorso ha vinto il Nobel per la letteratura, a ventidue anni si era ripromessa: se a venticinque anni non sarò riuscita a scrivere un romanzo, mi suiciderò. Maria Castellitto, nata nel 1997, si siede per parlare del suo libro in un pessimo bar da turisti a due passi da Piazza di Spagna, vicino a dove è morto il poeta romantico John Keats quando aveva venticinque anni. La protagonista del libro di Castellitto, Menodramma, appena uscito per Marsilio, scuderia Chiara Valerio, flirta con l’autodistruzione e con il senso di colpa. Duna vuole scrivere un romanzo, ma non ci riesce, e pensa a una fine precoce. “Capisco che non si può pensare al suicidio quando nella vita si ha la possibilità di bere champagne. Che ingrata che sono”, dice Duna, che vive a Londra e lavora in una casa di produzione dove è stata messa dal padre regista famoso. Sulla copertina c’è un ponte, e dai ponti nei romanzi di solito ci si butta giù. Il romanzo ruota intorno al suicidio, ma a differenza di Werther o Jacopo Ortis, c’è un’espansione della soggettività del singolo. Duna gira per Londra, nel suo mondo ci sono cantanti di successo e amici rinchiusi in una clinica psichiatrica, colleghi innamorati di lei e fantasmi dell’adolescenza romana, e tanti sconosciuti che camminano sulle stesse strade ogni giorno, pronti ai gesti più estremi. Duna rimbalza tra gli umori altrui come la pallina di un flipper, confusa, privilegiata e iper-cosciente di tutto.


La protagonista di “menodramma” flirta con l’autodistruzione e con il senso di colpa. Un ponte in copertina, e nei romanzi dai ponti ci si butta giù


Gli esordi sono sempre difficili, ci si mette tutta la propria vita, anche se si hanno solo venticinque anni. Ci va dentro tutto quello che è successo, quello che si è digerito fino a quel momento. E forse sono ancora più difficili se tua madre è una brava e riconosciuta scrittrice come Margaret Mazzantini. Come Donna Tartt, l’autrice del Cardellino, Mazzantini si fa attendere da noi fedeli lettori. Il suo ultimo libro, Splendore, è uscito nel 2013, quasi dieci anni fa. La madre sarà alla presentazione quel pomeriggio, la prima, insieme al resto della famiglia e questo, ammette Maria Castellitto, la agita. “Il fatto è che mi conoscono troppo bene, e questo un po’ mi fa vergognare. E poi il fatto di essere andata spesso alle loro presentazioni, di esser stata sempre tra il pubblico a vederli è strano. Ora invece ci sono io sul palco e non si può mentire”, dice al Foglio. Meglio tra il pubblico? “In realtà né tra il pubblico né sul palco. Non ho mai pensato ‘non posso scrivere perché mia madre è una scrittrice’, oppure, ‘che ansia mia madre è una scrittrice’. Anche perché è mia mamma, è molto umana, siamo sempre stati tutti molto insieme. Io ho scoperto i lavori dei miei genitori tardi, poi ho letto i libri di mia madre. A volte non riuscivo a leggerli perché ero a Londra e lei mi mancava troppo ed erano troppo intensi. Non ho mai pensato al confronto”. E’ un po’ come la coppia di scrittori padre e figlio, Kingsley e Martin Amis, bravissimi entrambi. Ma diversissimi. Due pianeti diversi. Non c’è niente di derivativo nell’opera del figlio. Uguale qui.


“A volte non riuscivo a leggere i libri di mia madre perché lei mi mancava ed erano troppo intensi. Non ho mai pensato al confronto”


“Mentre scrivevo non pensavo alla mia storia. Poi certo, crescere in una famiglia di questo tipo ha la sua influenza. Avere la possibilità di leggere tante cose di uno scrittore che hai in casa, e che per me è formidabile, sicuramente ti aiuta a bruciare alcune tappe. Però non ho mai avuto il desiderio dell’emulazione. Io scrivo per esprimere cose precise di me e sono diversissima da mia madre. Purtroppo. Perché lei ha una forza caratteriale nella vita incredibile. Scrivo tutt’altro, probabilmente, anche per questo. E poi c’è mio nonno. Il padre di mia madre, che faceva lo scrittore. Anche lì non c’è nulla in comune tra i loro libri”. Il padre di Maria, invece, che è appena stato Carlo Alberto dalla Chiesa nel biopic Rai Il mio generale, ha interpretato uno dei personaggi più interessanti nella narrazione delle velleità letterarie, il professore di provincia che vuole pubblicare un romanzo in Caterina va in città. “In realtà anche mio padre scrive benissimo. Non va oltre un paragrafo, ma scrive molto bene”, dice divertita. “Quando mi fanno domande sulla famiglia io penso solo ‘è la mia famiglia’. Sono rimasta un po’ come quando ero piccola e non capivo alcune reazioni. Usciva fuori il cognome e mi chiedevano: ‘Parente?’. E c’era entusiasmo quando capivano che ero la figlia, perché è un parente stretto, non è tipo la nipote. Dicevano ‘ah la figlia, la figlia, e infatti ci assomigli’. Ho avuto dei momenti in cui non comprendevo bene. E a volte sto ancora così”. 


“Ci sono cose della Gen Z che non mi appartengono. Solo noi abbiamo la narrazione al presente della nostra generazione”


Il libro di Maria Castellitto è come un Signorina Else di Schnitzler con l’Adhd, con tutti i vortici linguistici, i citazionismi della vita che ci circonda – social, email, slogan, De André, frasi rubate ai passanti e agli amici ci finiscono dentro, creando un flusso disturbante. Non c’è alcun tentativo di creare comfort, nessun ammiccamento. “Avevo provato a scrivere tantissime cose prima di arrivarci. Quindi a un certo punto quando ho scritto menodramma la sensazione che avevo è stata quella di averci lavorato tanti anni. Ho scritto semplicemente seguendo il mio gusto. Alle volte quando leggo romanzi e poesie o i filosofi mi segno delle parole. L’ho sempre fatto. Ho una serie di note con parole che mi restano impresse e finiscono in maniera naturale in quello che scrivo. Non è stato un flusso, la scrittura si è interrotta molte volte. Però volevo che avesse un ritmo, come fosse musica. E mi piaceva questa idea di scrivere non seguendo per forza tutte le regole. Quindi a volte c’è una punteggiatura strana… Forse anche perché non le conosco tutte le regole, o comunque non mi interessano. A volte mi dicevano ‘sembra un errore’. Ma a me piaceva questo. Non è un gesto dimostrativo ma se per me una cosa suona meglio la preferisco. L’importante è come suona, perché ogni romanzo ha la sua musica”, racconta l’autrice, mentre sistema le bustine di zucchero nella scatolina sul tavolo del bar. “Ci sono delle citazioni, di John Fante e Jack Kerouac, però non è che li trovi nel libro. Non c’è emulazione, è impossibile. Ma ci sono due libri che hanno avuto un’influenza più diretta. Li cito, anche se chi copia bene nasconde le fonti”. Ride. “Il primo è Le mille luci di New York di Jay McInerney, mi piaceva il racconto un po’ disturbato, e disturbante. Il secondo è Estensione del dominio della lotta di Houellebecq. Mi piaceva più che altro il pensiero. Leggere un libro è frequentare una testa e lì c’è qualcosa di profetico, cattura un’epoca”. Sono entrambi due esordi, quelli di McInerney e di Houellebecq. “Due esordi un po’ folli. Con grandi ambizioni”. Una domanda che tutti faranno a Maria Castellitto, nelle presentazioni, in tv e in privato è se vuole scrivere altri libri. “Vediamo”, dice. “Ora ho lavorato nel backstage del film di mio fratello e ora sto al montaggio. Anche il montaggio è una forma di scrittura”. Il fratello, Pietro, ha vinto il premio Orizzonti a Venezia per lo spiazzante I Predatori. Sta completando Enea, altro film che ha scritto e diretto e di cui non si sa ancora nulla. Anche lui ha scritto un romanzo, I boreali, nel 2021.


“Oggi in molti hanno sviluppato menti criminali, dal punto di vista simbolico, per farcela in un mondo che ha accettato le logiche dell’ingiustizia”


Alcuni vorranno dire che menodramma è un libro generazionale. “Ci sono delle cose della mia generazione che non mi appartengono e probabilmente questo libro non apparterrà per forza a quelli che hanno la mia età. Sono della Gen Z, per un pelo. Che poi quali sono le caratteristiche della Gen Z? Forse solo noi abbiamo avuto questa narrazione al presente della generazione a cui apparteniamo. Di solito viene fatta dopo”, dice. La scorsa settimana è partita la nuova newsletter/rubrica di Michele Serra per il Post, che si chiama Ok, boomer! E ha anche l’obiettivo di “incentivare conversazioni” tra le generazioni, uno scambio coi Millennial. “E’ assurda. Anche questa cosa di cercare il dialogo intergenerazionale. Mica siamo degli alieni o degli imbecilli. Anche l’ammirazione a priori che alcuni adulti ostentano con i giovani è ridicola, non puoi ammirare una persona solo perché è giovane. Come canta Tutti Fenomeni ‘spazio ai giovani è un concetto vecchio’”. A rischio di contraddirsi, in menodramma c’è un elemento che potrebbe essere percepito come generazionale, ma che forse è solo buona letteratura: una totale assenza di retorica. E allo stesso tempo l’assenza di vergognarsi nel provare le emozioni, che invece vengono vissute. C’è una sorta di staring into the abyss. I personaggi, e la protagonista, provano un’emozione e vogliono farlo fino in fondo, senza usare idiosincrasie o rimozioni per bloccare i sentimenti. “E’ strano”, dice Maria, “perché io nella vita non riesco a parlare di alcune cose, mi vergogno. Quando scrivo no, anzi divento ancora più estrema. Qui c’è un’assenza di vergogna rispetto agli elementi più autodistruttivi, però nella vita quella vergogna ce l’ho. Qui avevo delle maschere. Una protagonista che compie un gesto violento mi permetteva una distanza e una libertà. E l’assenza di retorica era fondamentale. Questa è un’epoca iper-retorica, è terribile”.

 

Non ci sono mostri nel libro. Nonostante la violenza, l’alienazione, c’è molta attenzione alla cura degli altri. “Non so cosa volessi, perché io scrivevo e basta. Ho raccontato per lo più persone per bene. La cura degli altri e il rispetto sono fondamentali. Molti hanno notato del nichilismo nel mio libro, ma io non lo vedo”. Forse chi ci vede il nichilismo è perché non accetta le emozioni fino in fondo. “Sicuramente c’è un disincanto. Ma non rispetto ai sentimenti e alle persone. Oggi in moltissimi hanno sviluppato delle menti criminali, dal punto di vista simbolico, per riuscire a farcela in questo mondo terribile. Un mondo che ha accettato tutte le logiche dell’ingiustizia. Che alla fine sono le logiche dell’omicidio. Per me rimane l’impegno a uscirne interi, integri, tra tante cose rotte. E rimane la regola fondamentale del rispetto verso gli altri e della cura”. L’elemento mostruoso è quello della società. C’è una scena in cui viene chiamato un Deliveroo. Conosciamo a fondo lo sfruttamento, leggiamo gli articoli, ci arrabbiamo, ma chiamiamo lo stesso il rider per farci portare gli hamburger a casa. C’è una coscienza che diventa sofferenza. “C’è come un’oppressione dall’alto”, dice Maria Castellitto, girando il caffè nella tazzina molto a lungo. “Viviamo una situazione irrimediabile sia dal punto di vista esistenziale, l’esistenza senza lo scopo, ma l’unico mostro è il sistema, è la società. Forse la maggior parte delle persone commetterebbe un omicidio se non ci fossero le conseguenze, non lo so”. E questo viene fuori molto bene in una città come Londra. “E’ una città che ha bruciato le tappe, dove tutto questo è palese ed evidente. Rappresenta la città in cui tutti noi dobbiamo vivere. E’ la città dell’alienazione, dell’efficienza, della velocità. E’ una città che abbassa lo standard della qualità della vita quasi a chiunque. Però è anche un crocevia di culture. A Roma alcune cose non sarebbero credibili, ma ci stiamo arrivando”. 

 

All’uscita della serie Succession uno dei protagonisti ha detto che per lui si trattava di un drama, e si è comportato di conseguenza sul set. Un altro protagonista invece ha sempre sostenuto che si trattasse di una commedia, e quindi ha fatto l’attore comico. C’è questa positiva ambiguità anche in menodramma. Si passa dalle risate allo stare abbastanza male, anche contemporaneamente, e il luogo di incontro è una forte tenerezza. “Volevo metterci dell’ironia, che è sempre personale, sempre legata a chi sei, ai parenti che hai avuto, alle strane situazioni che hai visto. L’autobiografia sta sempre in altre cose, forse sta lì, nella parte divertente. E’ un libro sul dolore che per me doveva far ridere. La gente sta già male di suo”. Viviamo circondati dai meme della depressione e del dolore che però sono molto divertenti e condivisibili, vengono comicizzati. “Ho ripreso a scrivere il libro in un momento disperato in cui non stavo per niente bene. Infatti all’inizio scrivevo pagine orribili in cui guardavo soltanto me stessa. E dopo un po’ ho capito che non era la strada giusta. Sono sempre stata molto timida, ora sto migliorando, ma ho iniziato a parlare forse al liceo”. Ride. “Sono una disadattata su tanti punti di vista. Ma l’osservazione degli altri è interessante. Nonostante faccia molta fatica a entrare in confidenza con gli altri, per qualche motivo la gente mi parla. Tipo in treno la signora davanti di solito dopo un po’ inizia: ‘Sai, mio marito…’. La gente mi fa confidenze assurde. Quando le persone si confidano c’è una sorta di tragedia personale ma quando le parole escono fanno soltanto ridere. Guardare gli altri è fondamentale. La vita è una fonte d’ispirazione enorme. Nel libro ci sono molte frasi vere che ho sentito”. Frasi vere e anche molti aforismi, nel modo in cui potrebbe farlo un autore francese dell’Ottocento, che dopo un pensiero, un dialogo o una scena ti mette una grande verità universale. Frasi come: “Ogni uomo vuole incidere sul futuro di qualcuno”. Quel pomeriggio alla presentazione, sulla moquette grigia sintetica della Gnam, ci saranno anche Sergio e Pietro Castellitto e Margaret Mazzantini, appunto. E tanti potenziali lettori, e Giampiero Mughini, Piero Fassino, Giovanna Melandri, Nancy Brilli e altri volti romani, sulle sedie di plastica da giardino e gli sgabellini Ikea, a sentire un tipo vestito da hitman, detto il Pecora, che leggerà con enfasi i passaggi del libro.

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