riflessioni
Il teatro d'opera è vivo e le contaminazioni (Conte alla Scala) non gli fanno male. Anzi
La cultura, come la tradizione, non si preserva adorando le ceneri, ma alimentando il fuoco. Ben vengano allora influenze e contagi da altre forme o altri generi, come è accaduto a Milano. Togliamo l'arte dalla teca, mettiamola in rapporto con il mondo
L’opera ci parla, e ci ha sempre parlato, di temi e situazioni contemporanee: di giovani, di amori difficili e tresche furtive, di rapporti padri-figli, di dolore, di politica. L’opera parla di noi tutti e delle nostre vite, belle o brutte che siano. È un fenomeno vivo e pulsante, fatto di carne e sangue, non una mummia da imbellettare in vista del 7 dicembre. Per chi come me frequenta i teatri d’opera da quando ha 9 anni il dibattito di questi giorni assume contorni lunari.
Un tempo, per quanto oggi ci sembri assurdo, all’opera si mangiava, si beveva, si imbastivano tresche e si combinavano matrimoni, e solo incidentalmente si ascoltava musica. Un tempo, per quanto ci possa sembrare assurdo, le donne all’opera non potevano cantare, e le loro parti erano sostenute da uomini. Venne poi il tempo della borghesia e venne la fondazione di quel tempio laico che è oggi il teatro d’opera. Ma non è sempre stato così.
Vogliamo dare un futuro ai nostri teatri d’opera? Ascoltiamo il vecchio Verdi, torniamo all’antico, e sarà un progresso: togliamo l’opera dalla teca, mettiamola in rapporto con il nostro mondo. Chiediamoci quanto di presente vi sia in quel passato, e ci accorgeremo, con un pizzico di sorpresa, che Violetta, Lucia, Jago, Falstaff, Tosca, Mimì, sono – oggi come allora – tutti figli del nostro tempo. Il teatro è un tempio, è vero: ma ogni tempio vive e si alimenta con la fede di chi lo frequenta: il rito può dare forma, ma è la fede che alimenta il tempio, non viceversa.
Qualche settimana fa ho portato mia figlia di 8 anni ad ascoltare “Aida”: temevo cedesse dopo venti minuti; invece è rimasta incollata alla balaustra del palco, incantata dalla magia del recitar-cantando, per quasi tre ore e mezzo. “Papà”, mi ha detto uscendo, “perché non ci siamo mai venuti prima?”. Come lei, più di lei, tantissimi giovani si vorrebbero avvicinare a un mondo che sembra polveroso e imbalsamato, ma che in realtà è vivo e pulsante come i sentimenti che ogni sera porta in scena.
Quindi ben venga la contaminazione dei luoghi (che, poi, in fondo, se son entrate le chitarre e i battimano in chiesa non vedo perché Paolo Conte non possa avere accesso alla Scala), se da quella contaminazione può nascere un diverso e rinnovato interesse per il teatro d’opera. La cultura, come la tradizione, non si preserva adorando le ceneri, ma alimentando il fuoco.
Federico Freni, deputato della Lega, sottosegretario al ministero dell’Economia