Altro che sexting
“Mia anima carnale”: rimandi alimentari e note sessuali nelle lettere di Manganelli a Ebe
Il libro appena pubblicato da Sellerio raccoglie la corrispondenza inedita iniziata nel 1960. E fa vedere come anche nel privato (o forse soprattutto) si riescano a tirare fuori i migliori tocchi linguistici per dichiarare il proprio attaccamento emotivo e fisico
I filosofi in duemila e passa anni di storia non sono ancora riusciti a capire cos’è l’amore. Gli scrittori però, quando sono bravi, riescono a mostrare almeno una delle tante sfumature dell’amore: la passione. La seduzione tira fuori dall’uomo letterato i più gustosi paragoni e metafore, fa sperimentare col vocabolario. Leggere le lettere, a oggi inedite, che Giorgio Manganelli ha scritto a Ebe Flamini, fa vedere come anche nel privato (o forse soprattutto) si riescano a tirare fuori i migliori tocchi linguistici, i più bei giochi, per dichiarare il proprio attaccamento emotivo e fisico.
In Mia anima carnale, appena uscito per Sellerio, vediamo un Manganelli che scrive missive alla donna per cui ha perso la testa. Ebe Flamini ha quarantatré anni, lui ne ha trentotto. Entrambi hanno partecipato alla Resistenza, lei è rimasta nel giro del Partito d’Azione e ora lavora a Sorrento per il Movimento di collaborazione civica, organizzazione dedicata all’educazione degli adulti, dopo aver collaborato con Gaetano Salvemini. Lui, Manganelli, tormentato come sempre, va in analisi da Ernst Bernhard su consiglio di Cristina Campo e viene mandato dallo psicanalista in giro per il mondo perché il viaggio sembra essere l’unica cura per le sue nevrosi.
Con l’inizio della corrispondenza, che arriva al 1973, ritrovata poi dagli eredi di Ebe Flamini in una scatola-scrigno, Manganelli inizia la sua carriera di consulente editoriale, prima alla Garzanti nel ’61, invitato da Pietro Citati, e poi, nel ’64, all’Einaudi, dove resterà oltre un decennio prima di andarsene via perché lo pagavano troppo poco. Ma inizia anche, nel ’60, la scrittura della sua prima opera, Hilarotragoedia, che uscirà quattro anni dopo. Gli esperimenti e i barocchismi, il sapientissimo uso del dizionario e il tanto humour li ritroviamo già negli appelli amorosi indirizzati a Ebe. “Con i caratteri malfermi della macchina da scrivere o con una penna distratta e disinvolta, che disgrega o raggrinza le parole, Manganelli scrive lettere di sapiente letterarietà”, dice il curatore del volume, Salvatore Silvano Nigro. C’è sempre quel pudore, vinto dalla curiosaggine voyeuristica, nel leggere le lettere altrui, che nei casi delle grandi penne diventa principalmente la lettura di un’opera letteraria.
La prima lettera che Manganelli scrive a Ebe è del 1960 e piano piano le parole diventano un menù di gustosità alimentar-sessuali. “Sono avviluppato in brodi bollenti, spinaci butirrosi, nuoto in intingoli di spezie e di droghe”. Il ventre di Ebe è una “bianca pasta di pane”, una “collina che ho tutta brucata”. La donna è un “morbido frutto autunnale”, sugoso, una cotogna, una “nespola, ananasso, pompelmo”, “e io ti voglio mangiare, ammannita sul desco delle tue lenzuola”. Altro che sexting. Questa forma di desiderio postale, di parole scritte per esser lette dopo giorni, se non settimane, allunga la trasmissione dell’ardore reciproco. La non immediatezza della lettera prolunga il piacere e cristallizza l’appetito carnale. “Desidero riaverti accanto per essere addentata come polpa e stringerti tra le braccia”, risponde lei. Amante della buona tavola – foodie, si direbbe ora – Manganelli sembra trovare lo stesso piacere per il cibo nel corpo di Ebe. Una lettera si chiude con “Bacioni e morsi”. Chissà cosa direbbe oggi Manganelli del copywriting di quella trafila incessante di prosciutterie, spritzerie, cheesecakerie, piadinerie che ormai hanno invaso Milano e che vogliono render sexy anche un panino con la frittata o una ciotola di riso col salmone, o delle pubblicità dello yogurt che cercano di sessualizzare gli alimenti, lui che alimentarizzava il sesso.