Foto di Elisa Cabot, via Wikimedia Commons 

poeta della stringatezza

La sapiente brevità di Juan Carlos Onetti, maestro di incisività esistenziale

Giulio Silvano

Torna in libreria "Il pozzo" dello scrittore uruguaiano. Lui che insieme ad altri, come Garcia Márquez e Bolaño, è stato protagonista dell'interesse italiano per gli autori del Sudamerica. L'unico che ha avuto il suo esordio nel romanzo breve 

Tra gli anni Sessanta e Settanta ci fu il cosiddetto boom latinoamericano, un improvviso interesse per la letteratura d’ispirazione modernista-europea di scrittori argentini, peruviani, messicani e colombiani, come Julio Cortázar, Fuentes, Mario Vargas Llosa e Gabriel García Márquez. In Italia basta vedere il catalogo Feltrinelli di quegli anni per capire il loro impatto, parallelo alla celebrazione guevariana. Ma la gloria di questi bestselleristi ebbe anche la funzione di portare a conoscere anche altri autori delle Americhe della generazione precedente, rimasti a lungo nascosti, come Roberto Arlt, come Octavio Paz o come Juan Carlos Onetti, nato nel 1909 a Montevideo.

 

Molti darebbero per scontato, vista la secolare tradizione di migrazione, che il cognome Onetti, sia di origine italiana. Si tratta invece di una modifica, data dal tempo o da funzionari statali, di un cognome irlandese o scozzese, O’Nety. Un’eventuale confusione che farebbe divertire i personaggi dei suoi romanzi.

 

La casa editrice Sur di Roma, partecipe attiva di un nuovo rinascimento contemporaneo dei sudamericani, ha riportato in libreria Il pozzo, nella traduzione della bravissima Ilide Carmignani, nota per la dedizione nel tradurre in italiano i lavori di Roberto Bolaño, protagonista cult di questa ritrovata passione latina. Il pozzo è stato scritto da Onetti nel 1939 in un weekend durante il quale aveva smesso di fumare. Un uomo, arrivato ai quarant’anni, decide di scrivere le sue memorie.

 

“I quaranta sono quell’età in cui ci si sente finalmente giovani. Ma è troppo tardi”, diceva Picasso. Quando si arriva ai quaranta bisogna scrivere la storia della propria vita, dice Onetti, “l’ho letto da qualche parte”, anche se la sua ambizione sarebbe “scrivere la storia di un’anima, di lei sola, senza gli avvenimenti con cui, volente o nolente, ha dovuto mescolarsi”. Sogni e ricordi si mescolano a nomi di personaggi che vediamo solamente dalla fessura della porta, istanti che però ci bastano per cadere in un’atmosfera di rimpianti e fallimenti e autodistruzioni, tra prostitute, poeti e amici con velleità rivoluzionarie.

 

Noir esistenziale, si dice quando si parla di Onetti, un po’ Camus un po’ Hammett, o esistenzialismo noir. “Io sono un pover’uomo che la sera si volta verso l’ombra della parete a pensare a cose assurde e fantastiche”, dice il narratore. Cose crude e cose onestissime. Visioni e precisi punti di vista sulla vita o sulle persone, quasi cattiveria: “la maggior parte delle persone che conosco non merita che il sole le arrivi in faccia”. 

 

Se i bestselleristi del boom sono in gran parte noti per romanzi piuttosto lunghi, l’esordio di Onetti è quella forma ibrida del romanzo breve. Né racconto né romanzo. Ha scritto anche in forma più lunga, ma sono tutti d’accordo che il suo apice lo raggiunge nella stringatezza. Questa, come ricorda Juan José Saer nella prefazione, si rifà alla tradizione sudamericana che, prima del boom, non aveva grandi romanzieri o romanzi, ma viveva soprattutto di scritti concisi, e infatti basta vedere i grandi: Borges, o Bioy Casares, o Rulfo o Silvina Ocampo.

 

Il pozzo ha questo pregio, quello della brevità, dell’incisività esistenziale, che dovrebbe diventare guida per chi impegna troppe pagine per un pensiero altrimenti diretto. Lasciando dei non-detti, come dei segreti, aumenta il desiderio di lettura. Niente contro i mattoni, ma è rinfrescante vedere la capacità di lasciare il segno con la fugacità. Dice il narratore a un certo punto: “Quanta forza di realtà hanno i pensieri della gente che pensa poco e, soprattutto, che non divaga”. 

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