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Lo “zibaldone” di Antonio Martino tra economia e politica raccolto da Porro
La straordinaria vicenda umana e intellettuale di un economista contro corrente e di un grande comunicatore prestato alla politica. Un libro
Tra una mancata intervista e una intervista incompiuta, la straordinaria vicenda umana e intellettuale di un economista contro corrente e di un grande comunicatore prestato alla politica, anche se politici di grande spessore erano stati suo nonno e suo padre. Così si può sintetizzare l’omaggio che Nicola Porro ha dedicato ad Antonio Martino dopo la sua scomparsa (“Il Padreterno è liberale - Antonio Martino e le idee che non muoiono mai”, Piemme, 208 pp, 18,90).
La mancata intervista è quella che nel 1994, poco dopo l’insediamento del primo governo Berlusconi, l’allora giovane giornalista pensa di poter realizzare, quando Antonio Martino lo convoca alla Farnesina. Sarebbe uno scoop, sarebbe la prima rilasciata dal nuovo ministro degli Esteri. Porro si precipita, anche se, racconta, non in condizioni ottimali, visto che ha fatto le ore piccole per un secondo lavoro come addetto stampa di discoteche. E invece si vede offrire addirittura il ruolo di portavoce. Ovviamente i due si erano già incrociati. Prima di Antonio era stato ministro degli Esteri suo padre, Gaetano Martino, un leader del Partito liberale che nella sua città aveva organizzato nel 1955 la celebre Conferenza di Messina cui si deve l’inizio dell’integrazione europea. E il nonno, pure di nome Antonio, era stato sindaco repubblicano della ricostruzione di Messina dopo il terremoto.
Qualcuno ha rimproverato la contraddizione tra l’europeismo di Gaetano e l’euroscetticismo via via sempre più marcato di Antonio, ma lui stesso affronta il nodo in una delle battute consegnate a Porro: “Vedi, se tu guardi formalmente, mio nonno era a sinistra di mio padre, perché era repubblicano quando c’era la monarchia; mio padre liberale si era spostato a destra, io liberista. Ma non ci siamo spostati da nessuna parte. Siamo sempre stati liberali al 100 per cento. Solo che ai tempi di mio nonno la spesa pubblica era il 10 per cento del Pil, ai tempi di mio padre il 30 per cento, ai miei il 50 per cento. Se continua così, mio nipote Pietro diventerà un rivoluzionario barricadero! E’ il mondo che si è spostato dal lato sbagliato della storia!”.
Martino aveva a sua volta frequentato il Pli, pur considerandolo troppo statalista per i suoi gusti di liberista formatosi a Chicago con Milton Friedman. Ed era stato anche candidato a segretario dall’opposizione interna al congresso del 1988, senza essere eletto. Nel libro sono riportati giudizi taglienti su quel Partito liberale, in cui però Porro era stato a sua volta. Non solo come redattore del giornale di partito, ma come segretario della Gioventù liberale italiana di Roma, e eletto nel Consiglio di amministrazione della Sapienza.
L’intervista, dunque, non si fa. Porro dà una testimonianza di prima mano su quegli otto mesi, interrotti dal “ribaltone” di Bossi. A quel punto Porro torna al giornalismo, fino a essere vicedirettore del Giornale. Martino continua in politica, anche come ministro della Difesa in anni cruciali, tra 2001 e 2006. Ma col tempo sempre più emarginato in Forza Italia e anche disilluso della politica, fino alla scelta di non ricandidarsi più dal 2018: proprio l’anno in cui Porro diventa uno degli anchorman di riferimento degli schermi italiani, con “Quarta Repubblica”. La “pensione” di Martino è però occasione di un approfondimento dei contatti, anche perché Porro nel frattempo ha scritto vari libri che sostengono punti di vista “martiniani”. A un certo punto nasce dunque l’idea di fare un libro intervista insieme, che inizia con una prima conversazione di qualche ora nella casa di Martino sulla Cassia. “Poche settimane dopo, senza che nessuno potesse immaginarlo, è mancato”. A 80 anni. “Mi sono diplomato a 17 anni, laureato a 21, sposato a 26, avuto la prima cattedra a 28, ministro e nonno a 50: ho fatto tutto molto presto. Ma morire, ecco, quello vorrei farlo il più tardi possibile”, era una confidenza che Martino gli aveva aveva fatto.
Al posto della lunga conversazione che era stata immaginata, è nato dunque questo libro, che Porro definisce “uno zibaldone liberale”. Ci sono un bel po’ di provocazioni, a partire dal titolo. Ci sono spiegazioni delle idee in cui Martino credeva. C’è la sua biografia, mescolata a quella dell’intervistatore. Ci sono considerazioni sui problemi dell’Italia e sul suo irriducibile statalismo. E c’è, infine, una grande confessione. Martino dice di non aver mai voluto fare il ministro dell’Economia perché non voleva essere costretto a scelte in contraddizione con quanto aveva sempre predicato. “Tutti gli economisti, anche stimati e importanti che avevano fatto i ministri, avevano visto la loro credibilità sgretolarsi”.