L'ESPOSIZIONE
L'arte racconta le guerre: da Picasso a Dalì, la mostra collettiva al Castello di Rivoli
Fino al 19 novembre al Museo d'Arte Contemporanea di Torino sono raccolte insieme più di 140 opere di 39 artisti: il filo conduttore sono i conflitti, fino ad arrivare all'Ucraina dei nostri giorni. "La mostra più triste che abbia mai realizzato, ma sicuramente la più necessaria”, ci dice la curatrice
L’arte ci può far distrarre e portarci via. Si pensi a Matisse che, nel bel mezzo della Prima Guerra Mondiale, dipinse meraviglie o più di recente a Olafur Eliasson, che con ben due mostre – Nel tuo tempo a Firenze, a Palazzo Strozzi, e con Orizzonti Tremanti al Castello di Rivoli (ancora in corso) – è riuscito a portare ottimismo e a dare fiducia al visitatore che può immergersi in altri mondi soprattutto quando c’è dolore.
Lo stesso può e deve portare a una catarsi nel senso più aristotelico del termine, ovvero alla purificazione di chi assiste alla rappresentazione di una tragedia dalle proprie passioni. L’arte drammatica era per Eliasson imitatrice della realtà e riproducendone, quindi, fatti gravi, sanguinosi o luttuosi, riteneva che si riuscisse a sublimarli in un sentimento di pietà e di terrore insieme, ponendo in qualche modo rimedio alle angosce del quotidiano.
Bisogna capire questo prima di decidere di andare a vedere (ve lo consigliamo), Artisti in guerra, la nuova mostra ospitata proprio al Castello di Rivoli/Museo d’Arte Contemporanea fino al 19 novembre prossimo, “la mostra più triste che abbia mai realizzato nella mia vita, ma sicuramente la più necessaria”, spiega al Foglio Carolyn Christov-Bakargiev, direttrice del museo e curatrice della stessa con Marianna Vecellio. “Un cartello avvisa il visitatore che questa mostra potrà urtare la sua sensibilità, ma è anche un invito a sorpassarlo e ad affrontarla per prenderne solo il meglio”, aggiunge. “Sono più di 140 le opere realizzate da 39 artisti del presente come del passato che si sono trovati o che si trovano ancora in guerra. Ognuno l’ha elaborata ed espressa a suo modo e quel che ne è venuto fuori, è una mostra che prende spunto dai Desastres de la Guerre di Francisco José de Goya y Lucentes, guardando però ad un evento così drammatico secondo una prospettiva culturale capace di includere arte e filosofia, andando oltre la sua spiegazione prettamente politica ed economica”.
Non è un caso, quindi, se tra i simboli della stessa ci sia The Shelter II dell’ucraino Nikita Kadan, un’opera realizzata ad hoc per il Castello di Rivoli ispirata da immagini da lui reperite su internet o scattate che documentano la guerra. Come suggerisce il titolo, si tratta di un vero e proprio rifugio a grandezza naturale suddiviso in due piani.
NIKITA KADAN - The Shelter, 2015 _Photo Sahir Uğur Eren_Courtesy the artist
A colpire è subito il primo piano dove noterete un muro composto da pile di libri stipati, “non più simboli di una cultura fatta per essere letta, ma strumenti necessari per difendersi da eventuali attacchi o per proteggersi dall’esplosione dei vetri dopo una bomba”, precisa la direttrice durante il percorso. Il nero del piano inferiore della grande installazione, ricorda molto quello delle opere di Kapoor, un insieme di tutti i colori che proprio perché sono insieme hanno un senso. Sembra un muro, ma in realtà, da vicino scoprirete che quell’ambiente è aperto, è una vera e propria stanza dove da lontano si vede il calco di una mano (quella dell’artista) che è una richiesta di aiuto. Una sorta di tomba sotterranea con quella fusione in bronzo che esce dalla parete che richiama volutamente una delle tante foto che documentarono, mesi fa, il massacro avvenuto a Buča, a pochi chilometri da Kiev. In questa come in tutte le opere di Kadan, l’architettura e la storia sono sempre un espediente per rivelare la presenza e l’eredità dell’Unione Sovietica nella cultura ucraina.
NIKITA KADAN - Gostomel. From artist’s visual diary, 2023
“Rispetto alla morte – continua Christov-Bakargiev – la guerra ha un contrasto netto tra l’estrema razionalità e calcolo dei militari/generali coinvolti e la sua totale imprevedibilità. La guerra è un momento in cui la morte è vita quotidiana e la vita in tempo di guerra è proprio questo intervallo tra la vita e la morte, infinitamente dilatato, un concetto ben espresso nell’opera di Kadan che si carica della tragicità della nostra storia attuale trasformandosi un un ambiente in cui a dominare sono la solitudine e il silenzio, la malinconia e l’incapacità ad agire”.
“Ci si abitua a tutto”, scrisse Paul Éluard (1895-1952) in una poesia contenuta nella raccolta Solidarieté, un toccante volume di denuncia della vittoria di Francisco Franco in Spagna i cui ricavi delle vendite vennero destinati al sostegno dei combattenti repubblicani della Guerra Civile spagnola. Nella stanza 36 del Castello, protetto da una teca, lo troverete aperto nelle due pagine dedicate alla poesia Novembre 1936, il primo componimento a carattere politico dello scrittore francese, composto all’indomani della sanguinosa battaglia di Madrid. Sempre nella stessa teca, rilegato con una copertina in rosso, c’è Au rendez-vous allemand, una raccolta di poesie che ospita anche La Victoire de Guernica, da lui composto poche settimane dopo il bombardamento della cittadina basca. Deriva proprio da Guernica e dal suo celebre e omonimo dipinto, la Testa di donna realizzata da Pablo Picasso nel 1942.
PABLO PICASSO - Tête de femme, 1942
È appeso sulla parete accanto alla teca e quel volto straziato e diviso in due ricorda Dora Maar, ma anche tante altre figure femminili presenti proprio in Guernica, la maniera più diretta e più incisiva per un artista come lui per denunciare gli orrori della Guerra Civile spagnola e la condotta del generale Francisco Franco. Poco distante, c’è Composition avec tour, la maniera per un surrealista come Salvador Dalì (1904-1989) per rendere su tela i disastri di quella guerra e della Spagna autartica durante la Seconda Guerra Mondiale.
SALVADOR DALÍ - Composition avec tour, 1943
La stella blu che potrete ammirare al al centro del dipinto – un bozzetto per uno dei sipari che realizzò per l’amica coreografa nota come La Argentinite (la ballerina e coreografa Encarnacion Lopez Julvez) al Metropolitan Opera House di New York, raffigura il cartello del caffè, ma allude anche alla stella ebraica. La musica in sottofondo resterà ancora dentro di voi quando ammirerete le due opere di Ettore Ximenes, Fabio Mauri, le foto di Elizabeth (Lee) Miller, la Medusa di Bracha I.Ettinger o le opere della vietnamita Dinh Q.Le. Due quelle di Alberto Burri, pura arte astratta materica di un ex medico che durante la prigionia nel campo POW (Prisoners of War) a Hereford, in Texas, decise di abbandonare per sempre quella professione (ben visibile, in realtà, dai tagli e assemblamenti realizzati nelle sue opere) per dedicarsi all’arte.
Alberto Burri - Texas, 1945
Le storie personali e le diverse realtà storiche si intrecciano nel video Nocturnes dell’artista albanese Anri Sala, mentre con il film The Ballad of Special Ops cody, l’americano di origine irachena Michael Rakowitz indaga le contraddizioni delle guerre in Iraq.
ANRI SALA - Nocturnes, 1999
Ultime, ma non certo per importanza, le sei enormi tele realizzate dall’afghano Rahraw Omarzad, fondatore del CCAA (del Centro Nazionale per l’Arte Contemporanea di Kabul e di una scuola concepita per dare accesso all’educazione artistica alle donne), la sua diretta testimonianza e reazione alle recenti guerre in Afghanistan accompagnata dal video New Scenario, girato durante i mesi di residenza al Castello di Rivoli dentro un rifugio antiaereo torinese. Ogni tigre ha bisogno di un cavallo, recita il titolo di un’altra sua opera e se è vero che il conflitto è padre di tutte le cose (Eraclito), è altrettanto vero che l’Essere si rivela al pensiero filosofico come guerra nel contrasto tra la finitezza della morte e l’illimitata incommensurabilità dell’esistenza.
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