Agnus Dei, Francisco de Zurbarán. (1635-1640), olio su tela, Museo del Prado, Madrid 

Il ritorno di Ottessa

Fiaba, grottesco, thriller. Tutto questo è “Lapvona”, il nuovo libro di Moshfegh

Valeria Cecilia

Con Il mio anno di riposo e oblio, del 2018, era passata alla storia come la profeta del lockdown. Qui trasloca la sua oscura commedia umana lontano dal contemporaneo, nel buio medioevo. E costruisce un mondo in cui non si vorrebbe mai abitare ma da cui non si riesce a staccarsi

Esce in Italia Lapvona, il nuovo libro di Ottessa Moshfegh (Boston, 1981), pubblicata qui da Felitrinelli, autrice acclamata dalla critica fin dal suo romanzo d’esordio (Eileen, finalista al Man Booker Prize 2016), super apprezzata anche per la forma breve (Nostalgia di un altro mondo del 2017) e catapultata nell’ampio successo di pubblico con Il mio anno di riposo e oblio, del 2018, ma passato alla storia, e ai meme di TikTok, come la bibbia o meglio la profezia del lockdown da Covid, dato che la protagonista è una ragazza ricca, bella, fashionist, ma triste che decide di chiudersi in casa e mettersi a dormire per un anno grazie a un cocktail di psicofarmaci. 

  
La letteratura di Moshfegh è all’unisono definita come la letteratura del disgusto. Tutte le sue storie mettono in scena un mondo dove regna il degrado, lo sporco e la solitudine, e i personaggi si muovono nella bolla del loro angusto destino. Fin qui niente di nuovo, se non che tutto questo l’autrice lo affresca con elementi piuttosto unici: innanzitutto quello corporeo, centrale nelle sue storie, mai  a servizio della narrazione contro stereotipi. No, i corpi di Moshfegh sono “oggettivamente” problematici e vengono raccontati nei loro aspetti meno accettabili: malformazioni, brufoli, vomito, cattivi odori, altro (e sì, ovviamente si sono alzate le proteste dei guardiani dell’antidiscriminazione). In più contro questi corpi non c’è nessuna lotta da parte di chi li indossa, perché semplicemente la vita ti ci ha messo dentro e tu ci devi abitare, magari vediamo come fai; tutto qui. 

 
Secondo elemento della poetica di Moshfegh è la postura mentale
: anche verso il destino non c’è lotta. I protagonisti non sono esseri desideranti, eroi che lottano e poi magari perdono, non sono neanche arrabbiati. Camminano in questo mondo, che sotto sotto è sempre una pattumiera, con la consapevolezza non di aver perso un mondo ideale, quindi l’amore, ma solo le proprie illusioni. Per cosa lottare quindi? In più lì in mezzo nessuno è il cattivo e nessuno è il buono. Ricchi, poveri, padri e figli, potenti e schiavi, tutti hanno il marcio e il dolce dentro, e su tutto e tutti regna una totale assenza di giudizio. Non così male, in fondo.

 

Il suo nuovo libro, Lapvona, Moshfegh lo ha scritto durante il lockdown. Ne aveva in programma un altro ma poi ha scritto questo. Ciò dà specifico significato a un paio di tratti del testo: il primo è che con Lapvona Moshfegh trasloca la sua oscura commedia umana lontano dal contemporaneo, non in un futuro distopico, ma nel buio medioevo. L’altro elemento è che l’isolamento l’ha portata per la prima volta a sperimentare la terza persona. L’isolamento, dice in diverse interviste, le ha fatto allargare il patos sulla collettività.

  
Lapvona è un poverissimo villaggio di pastori in Europa. Protagonista è Marek, un ragazzino dall’aspetto piuttosto abominevole la cui mamma è morta di parto; vive con suo padre, con cui condivide pratiche di autoflagellazione religiosa. Ci sono poi una donna strega, altri pastori. A capo di tutto un ricco proprietario che sfrutta il suo popolo fino a levargli l’acqua. Marek ha un disperato desiderio essere amato ma anche lui tirerà fuori la sua spazzatura, e così tutti gli altri personaggi.

  
Questo è il risvolto, secondo e ultimo atto del romanzo che intreccia fiaba, grottesco, thriller psicologico
. Moshfegh non pensa a una morale, non intende suggerire o aderire a un messaggio politico. Per lei la letteratura è ancora forma d’arte specifica. Sul  Guardian spiega che per lei il romanzo è costruzione, non semplice contenuto, come quello che può esser messo sui social. Dice: “C’è un intero universo che ruota attorno alla costruzione di qualcosa di cui il lettore non ha bisogno di occuparsi, perché è già stato fatto”. E in Lapvona la costruzione ha creato ancora una volta un mondo, come scrive l’Atlantic, in cui non si vorrebbe mai abitare ma da cui al contempo non si riesce a staccarsi.