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Il Giovanni Testori "corsaro", un poeta tutto dentro l'amore per il presente

Maurizio Crippa

Lattenzione all’avventura umana di ognuno, al supremo valore (“maestà”) della vita che scorre ed esplode spesso in dolore, in tragedia, in un urlo in cerca di senso. Il libro di Alessandro Gnocchi sugli scritti giornalistici

Pasolini muore nel 1975, Giovanni Testori inizia a scrivere sulla prima pagina del Corriere della Sera nel 1977, una delle ultime intuizioni di Piero Ottone, che era alla ricerca di un sostituto degno, per penna e pensieri, del grande friulano. Il gran lombardo era già approdato in Via Solferino da tempo, due mesi prima della notte del lido di Ostia, e aveva avuto modo di difendere su quelle pagine il senso dello “scandalo” di Salò; ma fino a quel giorno aveva scritto per la terza pagina: arte, cultura, recensioni.

 

Il primo pezzo da polemista, commissionatogli da Ottone nel ’77, fu una bomba a penna che fece sobbalzare tutte le redazioni culturali e le case editrici: “La cultura di sinistra non ha il suo latino. La poesia è un verme - Quelli che salgono sul treno del potere”. Prendeva di punta un articolo sull’Unità di Giorgio Napolitano, ma non solo quello. Il nuovo “corsaro” era nato. Dopo aver celebrato nel 2022 i cento anni dalla nascita di Pasolini, quest’anno ricorre il centenario di Testori (1923-1993), la cui vita intensa e piena di svolte improvvise (quasi un “fotoromanzo”, poiché non disdegnava il mondo del popolo) è stata raccontata da Michele Masneri sul Foglio.

   

La materia per battezzare anche Testori “corsaro”, per la sua produzione giornalistica, insistendo sul parallelo con PPP, non manca. Anche se in realtà i due si sono solo sfiorati, e non  amati (“un silenzio grave e rispettoso ci faceva riconoscere ben oltre le convenienze”), un po’ come si respingono due poli elettrici dello stesso segno, entrambi positivi: negativi mai, nemmeno nei momenti del buio. Poliedrici artisti senza risparmio – pittori, poeti, romanzieri, critici, teatranti, il cinema solo sfiorato da Testori, ma Pasolini voleva fare un film dal Dio di Roserio – sono stati misteriosamente avvicinati, nella staffetta di editorialisti corsari, da una disperata vitalità e da una indomabile necessità di opporsi all’onda di nullità, di vuoto violento e disumano, che vedevano arrivare tra i cascami della modernità borghese. Il Passato, l’Antico: contro la Modernità che è già cumulo di macerie, oltre le quali s’intravvede un Futuro di morte, “dissipatio humani generis”.

 

Alessandro Gnocchi, filologo umanista prestato al giornalismo, è caporedattore della Cultura al Giornale – nel suo Testori corsaro (La Nave di Teseo) incornicia in questa antinomia, il Passato e il Moderno, il tratto che a suo avviso accomuna Pasolini e Testori, ribelli in una società – intesa anche come società della cultura – di cui ante-leggevano la crisi prima di tutto antropologica. Per l’esergo del volume su Testori, Gnocchi sceglie Pasolini: “Io sono una forza del Passato. / Solo nella tradizione è il mio amore. / Vengo dai ruderi, dalle Chiese, / dalle pale d’altare, dai borghi, / dimenticati sugli Appennini o le Prealpi, / dove sono vissuti i fratelli”. Sulla quarta di copertina, a indirizzare il lettore, invece una frase di Testori, di quell’articolo programmatico del 1977: “Se così pensando, sono tacciato di stare con l’antico, bene, sto con l’antico. Sulla modernità che ha tramutato la rivoluzione in capitale e in consumo, sputo”. Che la lettura antimoderna di Gnocchi, che su questo filo conduce il suo racconto, sia pienamente esaustiva, è tesi degna di discussione. Pasolini è stato fino alla fine immerso nella politica, anche confusamente (“ciascun confusamente un bene apprende”) tra Salò e Petrolio. Per lui le culture tradizionali sono un passato ancestrale che può rinascere solo molto lontano dall’Italia senza più lucciole, portato dagli Alì dagli occhi azzurri. Testori in quel magma e in quel dolore, sentito sulla propria persona (ogni sua parola era detta “a te come te”, era sempre un rapporto personale, mai politico) è stato immerso sempre, ma non travolto. Più che un Antico nel tempo, la sua tensione era un Assoluto, un Dio trascendente ma che si era Incarnato, fatto dolorosamente, gioiosamente, carne. Un Presente. Tra il 1975 e il 1981, anno in cui chiude con Via Solferino (alla direzione era giunto Alberto Cavallari, normalizzatore dopo gli anni di Franco Di Bella, che con la sua passione di cronista aveva valorizzato l’amore per la realtà e la vita dello scrittore di Novate Milanese) Testori scrisse oltre 800 articoli, la maggior parte di cultura. Parallelamente, in quegli anni, scrisse articoli che suscitavano dibattito – anche dentro la Chiesa a cui era tornato – per il Sabato, il settimanale animato da giovani giornalisti cattolici che avevano per padri e maestri personalità come don Giussani, Augusto del Noce e Giovanni Testori appunto. Una produzione intensa, mai eticizzante o sociologica – due modi che aborriva – ma sempre tesa a leggere, chiarire e in molti casi a com-patire il presente, più che a giudicarlo col metro del Passato. Spesso tornando sulla pochezza delle varie “industrie” culturali, “la tanto proclamata libertà dell’arte è diventata cieca, totale illibertà”, o battagliando a viso aperto con le star dell’epoca, da Moravia a Gae Aulenti. Ma mentre la potenza di Pasolini era nella sua visionarietà, dalle lucciole al “Romanzo delle stragi” (“Io so ma non ho le prove”), Testori ha un’attenzione all’avventura umana di ognuno, al supremo valore (“maestà”) della vita che scorre ed esplode spesso in dolore, in tragedia, in un urlo in cerca di senso. Le disperazioni intravviste sul treno delle Nord, i suicidi: “Marco si è ucciso. Quale amore cercava?”, è uno dei suoi articoli più drammatici, 1979. Alla tragedia allora insostenibile dei morti per droga (In Exitu), al ragazzo che uccide i genitori in Brianza – il primo di una rovina che sarebbe diventata valanga, e lui lo intuì subito, perché il tema della “nascita”, della madre e del padre, è centrale in tutta la sua opera: “Il fatto della nascita è sempre stato al centro del mio mondo di scrittore, sia che lo maledicessi sia che lo benedicessi”. E sempre quel giudizio tagliente su una società sempre meno libera: “L’autoritarismo di oggi è più perverso, perché non si presenta sotto le spoglie della violenza palese, ma sotto quella del libertario. Tu sei libero? Di cosa? La lingua è stata tagliata”, disse nel 1987, quasi una profezia del futuro suprematismo woke.

 

La maggior parte degli articoli di quegli anni, che Gnocchi ripercorre con chiavi interpretative attualizzanti, erano stati raccolti da Testori in un libro che porta il significativo titolo di La maestà della vita, una scelta per nulla causale di 97 articoli  tra il 1977 e il 1981 per il Corriere e il Sabato. Condensano l’urgenza di un uomo che aveva intuito le radici profonde degli esiti violenti delle nostre società. Commentando l’omicidio di Aldo Moro, Testori compie un salto abissale che va al cuore di ogni violenza e che, riletto oggi, non può essere certo ridotto alla visione cattolica dello scrittore, in gioco c’è molto di più: “Nel tentativo di eliminare Padre, paternità e sacra dipendenza, la cultura moderna, anzi, il sottoprodotto consumistico e socializzante cui era è giunta, sta eliminando il figlio; cioè a dire sé stessa”. Quanto manchi oggi qualcuno che sappia affrontare le cose così, sui nostri giornali, è ben spiegato da Alessandro Gnocchi, e non c’è quasi bisogno di dirlo, tanto è evidente.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"