La recensione
David Sedaris riesce a cavare sangue umoristico anche dai risvolti amari della vita
"Cuor contento ciel l’aiuta" è un mondo di scrittura franca e salutare mancanza di misericordia. Perché dietro a ogni scrittore, in fondo, c’è uno a cui sono girate la palle
Vent’anni fa, colpo di fulmine: elfo natalizio in un grande magazzino e lavapiatti al Piccadilly insieme agli ex detenuti in libertà vigilata. David Sedaris è stato subito quel che sarebbe stato sempre: già all’esordio – Holydays on ice, 2003 – ci regalò un mondo, il suo mondo, con scrittura franca e una salutare mancanza di misericordia. “Era una specie di circolo degli anziani del posto, che potevano trascorrere anche un intero pomeriggio accartocciati su un’unica porzione di budino di riso”, raccontava così quella tavola calda. “Le famiglie con le figlie brutte non contano niente, l’ho imparato presto, lo sappiamo tutti”, scrive oggi, dimostrando di non aver perso smalto. Perché senza sana crudeltà, senza una scrittura precisa, senza ritmo, muore l’umorismo. E muore anche la letteratura – citofonare Maupassant, che aveva tutte queste caratteristiche sviluppate al massimo e infatti scrisse L’eredità, un racconto che sarebbe piaciuto a Sedaris perché si tratta pur sempre di famiglia, e del resto di cosa vuoi parlare se non di questo teatro permanente, di questa scena su cui non calano mai né sipario né velo pietoso?
David Sedaris ci ha raccontato la sua, di famiglia, al punto che fino a quest’ultimo Cuor contento il ciel l’aiuta (Mondadori, 240 pp., 19,50 euro) ci siamo affezionati ai suoi genitori, alle sorelle e al fidanzato, e li abbiamo seguiti con quella sensazione di dimestichezza affettiva che si prova grazie a uno scrittore amato. Certo, lui ci ha messo del suo e ha saputo cavare sangue umoristico dalla rapa bruta della realtà, ma la certezza è che il suo entourage parentale l’abbia aiutato. Una famiglia disordinata aiuta. Un padre greco e oppressivamente patriarcale – pace al #MeToo – aiuta. Un bel po’ di incomprensione aiuta. Anche il dolore, se sai cosa farne. Dietro ogni scrittore, in fondo, c’è uno a cui sono girate la palle, uno che vorrebbe farla pagare al mondo intero e che, a un certo punto, prende la penna anziché imbracciare un fucile d’assalto e ci dice che fa tutto abbastanza ridere. Così, negli anni, Sedaris ci ha regalato risate a bocca spalancata – il consiglio è non leggerlo in treno se siete quel genere di persona preoccupata di cosa pensano gli altri di voi (il suo Me parlare bello un giorno è illeggibile mantenendo il decoro, così come Calypso, pagine sul lipoma a parte) – e poi, pian piano, oltre alle risate, ha cominciato a sussurrarci qualcos’altro. Sì, sussurrato è la parola giusta, perché non ha mai voluto rovinare a noi lettori il piacere di spassarcela (sempre sia lodato) e a sé stesso il gusto di sentirci sghignazzare.
Ma ecco che adesso ci racconta l’invecchiamento. La malattia, anche. La morte, anche. E i ricordi di giovinezza si sono venati di chiaroscuri. E se, nel romanzo che è ogni sua raccolta di racconti, il padre Lou, quel padre cui ci siamo affezionati, stavolta si ammala e muore, risorge nei ricordi, con vigore: memorabile quando la famiglia andava al ristorante, un cameriere a fine cena chiedeva se avessero voluto il conto, e lui rispondeva: “E tu avresti voglia di metterti a novanta e prenderlo nel culo?”. Ma belle più che mai – oggi – anche le pagine sul compagno Hug, su cosa significhi amarsi negli anni, anche se da fuori si potrebbe pensare che quell’amore non sia desiderabile e che i due (loro due) siano “male assortiti”, uno col senso dell’umorismo e l’altro zero, ma in fondo cosa sappiamo delle coppie che non siamo e dell’amore degli altri? E poi via, a viziarci come ci ha abituati: racconti su reggiseni e sesso anale, escrementi e mascherine, e incipit promettentissimi tipo “avete presente quando si è in viaggio con qualcuno e ci si rende conto troppo tardi di essere con la persona sbagliata?”. In Cuor contento ciel l’aiuta c’è, in più, il senso delle cose che passano. E molti ricordi, come quello di una scrittrice amata che non lo degnò della minima attenzione e firmò distratta quella copia che il giovane, ancora anonimo (e con l’apparecchio) David, aveva acquistato nonostante le ristrettezze economiche. Fu lì che nacque lo scrittore. Lei non l’aveva visto? “Io avrei visto tutti, fino a consumarli”, pensò Sedaris. Buon per noi – minaccia mantenuta.