Il commento
La dozzina dello Strega: tante donne ma anche troppa sofferenza
L'estate per i lettori italiani non promette tanto bene: ormai vendono solo i dolori personali e la letteratura dei traumi. Le scrittrici in cerca di catarsi dovrebbero rileggersi Aristotele
La nostalgia è insopportabile. L’invidia riprovevole. Ennio Flaiano scriveva “ho letto con ritardo ‘Lolita’ e ‘Il Gattopardo’” e aveva pure il coraggio di lamentarsi: estate rovinata, aveva riposto nei due romanzi “speranze infondate”. Tra i dodici finalisti al premio Strega, c’è nascosto il libro che, corredato da apposita fascetta, verrà molto regalato e molto portato in vacanza – anche se prima, senza fascetta, non lo comprava nessuno. Si saprà il 7 giugno, cerimonia a Villa Giulia e in tv, se la nuova gestione consentirà. Possiamo dire subito, osservata la dozzina, che l’estate dei lettori non promette tanto bene. E che Flaiano era maledettamente viziato. Della nostalgia facciamo a meno. Ci teniamo ben stretta l’invidia per un’estate con “Il Gattopardo” da portarsi al mare.
La magica fascetta gialla 2023 dovrà essere fatta in modo da occultare risvolti e bandelle – ammesso che il lettore vada oltre, dopo averla vista: qui Strega, come negli autogrill. C’è il rischio che i timidi, i discreti, i lettori per svago e non per lavoro arretrino davanti a libri che si muovono “sull’onda del trauma” – parole di Melania Mazzucco, presidente del comitato direttivo dello Strega. Insomma, fanno il surf tra dolori personali o epocali. Questo ormai va. Questo si vende. Questo porta otto scrittrici nella dozzina – e se nella cinquina saranno cinque su cinque, ritaglieremo gli editoriali dei maschi sconfitti (e costretti a dire che si tratta di un grande traguardo per le patrie lettere). Prima della lista Maria Grazia Calandrone, lanciata dal pandemico “ci dovevamo fermare/ lo sentivamo tutti che era troppo furioso il nostro fare”. Favoritissima perché gioca in casa: è tra i giurati che sceglierà la cinquina dello Strega Poesia, con 125 titoli in gara. Aggiunti agli 80 da cui è uscita la dozzina finalista nella narrativa, dimostra prima di tutto una cosa: dovremmo, se non fermarci, rallentare con la scrittura.
Prima il trauma della pandemia, che ha alimentato prosa e poesia. Adesso il trauma post pandemia – e l’anno prossimo chissà, c’è anche il trauma di non avere traumi, e in mancanza si prendono a prestito le vite di personaggi letterari o storici. A parità di non lettura – per non fare favoritismi, che poi sulla cinquina toccherà fare il carotaggio di pagina 69 – l’elenco ricorda certe giornate da festival cinematografico. Quando, a cena, si faceva il conto dei morti, feriti, mutilati, depressi, orfani, malati gravi, drogati, vicini o lontani da noi. E si invocava una commedia. O almeno un bravo regista, che conoscesse le regole del dramma e la catarsi. In un premio letterario conta la bravura dello scrittore, non i punti sofferenza. Anche la bravura della scrittrice, per carità, non vogliamo escluderle ora che sarebbe arrivato il tempo di arginarle. Magari di chiuderla una volta per tutte con le “confessioni mai fatte a nessuno”, e che invece, oplà, sono scodellate sulla pagina a futura gloria e memoria. La catarsi – andatela a riguardare sul vecchio Aristotele – riguarda il pubblico che assiste a una tragedia. Non riguarda chi l’ha scritta.