l'intervista
Musica, colori e impazienza accompagnano l'arte di Lynette Yiadom-Boakye
L'artista inglese presenta la retrospettiva che il museo Guggenheim di Bilbao le dedica. Una selezione di 70 dipinti e diversi disegni a carboncino. E al Foglio racconta: "Scrivo su ciò che non posso dipingere e dipingo ciò che non posso scrivere"
Bilbao. Lynette Yiadom-Boakye ha imparato a dipingere “guardando i dipinti”. "La Storia – spiega al Foglio – è una risorsa, ma la cosa più importante è il potere che la pittura può esercitare nel tempo". Siamo a Bilbao, all’anteprima di Nessun crepuscolo è troppo potente, la grande mostra che le dedica il Museo Guggenheim da oggi fino al 10 settembre prossimo, un altro modo per continuare a festeggiare i 25 anni del museo spagnolo – che in questi giorni è più luminoso che mai grazie a un sole e un caldo decisamente inaspettati e lontani da ogni previsione (ci sono 34 gradi) – e per omaggiare quest’artista inglese, nata nel 1977 a Londra da genitori ghanesi.
Una retrospettiva davvero speciale a cominciare dall’allestimento, che arriva dopo Fly in the league with the night, l’altra mostra conclusasi da poco proprio nella sua città, alla Tate Britain, e alla collettiva Reaching For The Stars, a Firenze, a Palazzo Strozzi, visitabile invece fino al 18 giugno prossimo.
Quella di Bilbao – a cura di Lekha Hileman Waitoller – ha un’anima propria e, nel visitarla, si ha la sensazione di trovarsi in uno studio, in una casa, in un ambiente intimo dove si è accolti con un rispetto che non è mai distacco, ma totale libertà. Ognuno può entrare in quelle tre grandi stanze di cui due hanno le pareti affrescate con un color verde oliva che rende l’ambiente ancora più caldo, un mondo privato intriso di familiarità e di mistero.
Un uomo con le mani conserte avvolte dal maglioncino a strisce nere e bianche domina la stanza dentro un dipinto alto due metri: aspetta qualcosa o qualcuno alle otto di sera di una domenica di dicembre (8pm December Sunday), come suggerisce il titolo dell’opera stessa. La sua maglia ricorda la t-shirt (ma nel modo in cui è disegnato potrebbe essere tranquillamente un abito) di un altro ragazzo sdraiato su un letto, in attesa o in un momento di totale riflessione durante una mattinata di aprile (8AM April). Entrambi gli oli su tela sono stati realizzati a distanza l’uno dall’altro, un po’ come quasi tutti i 70 dipinti e disegni a carboncino che l’artista ha eseguito tra il 2020 e il 2023.
"Scrivo su ciò che non posso dipingere e dipingo ciò che non posso scrivere", dice Yiadom-Boakye, una scrittrice prima di essere pittrice, una donna sempre col sorriso che, nell’usare titoli molto particolari per i suoi lavori, riesce a evocare sempre qualcos’altro, ad attirare e a confondere fino a conquistare. Ecco, quindi, Above the art and below the mind (2021) – con un uomo con una camicia lilla che ricorda quello con la collana di perle e la stessa camicia in Twenty Devotions (2022) e – ancora – la serie di carboncini in bianco e nero (Columbidae, Lark, Ambassadoria, Phoenix e altri, tutti del 2022) o in Tor Sangugna (Recliner, 2022), l’immenso Twilight Prospect for Crude (2023) e The Animosity (2022), che è poi l’immagine scelta per questa mostra, punto di forza del museo insieme a quella dedicata a Joan Mirò (La realtà assoluta. Parigi 1920-1945, fino al 28 maggio) e l’altra dedicata a Oskar Kokoschka (Un ribelle a Vienna, fino al 3 settembre) che utilizzava il ritratto come strumento analitico in grado di rilevare l’io interiore del mondo.
Possiamo dire che Yiadom-Boakye fa tutto questo e molto altro ancora, un’intimità assoluta che diventa essenza della sua opera.
"Sono molto impaziente – aggiunge – disegno sempre velocemente e poi ci torno sopra. Da uno schizzo arrivo a una forma e quindi a un immaginario in cui ognuno può ritrovare e vedere ciò che vuole. Mi interessano i colori e il contrasto che possono creare tra loro, ma la spontaneità ha sempre la meglio sulla precisione tecnica". Ne avrete conferma entrando nelle sue opere, perché di questo si tratta: di un entrare in quell’ambiente tra gli ambienti che non certo a caso definisce Dreamscapes, perché proprio in quei paesaggi da sogno, quest’ultimo va a confondersi con la realtà e l’immaginazione diventando un tutt’uno. C’è da considerare, poi, che le donne e gli uomini da lei rappresentati, sono una sua “creazione” perché non esistono nel mondo reale. Sembrano persone, amori, nemici, amici, amanti ben noti all’artista, vista la precisione dei dettagli usati nel disegnarli con oggetti e indumenti che a loro volta non permettono di collocarle in uno spazio o in un tempo specifici.
L’artista vede l’arte di inizio ventesimo secolo, in particolare l’Impressionismo, come un periodo in cui è stato possibile reinventare la pittura, i soggetti raffigurati e il modo di dipingere. "Giocando con lo sguardo dei miei personaggi, riformulo il linguaggio visivo tradizionale, tramutando i motivi classici e le pose in una contemporanea iterazione della ritrattistica".
"Il cuore della mia ricerca – continua – è l’indagine della tradizione pittorica attraverso l’attenzione per la tecnica, la struttura, la composizione e le gamme cromatiche come strumento per esplorare l’idea di identità e rappresentazione nell’arte. Dipingo solo persone di colore per puntare l’attenzione sulla mancanza di tali rappresentazioni nella storia dell’arte occidentale". Una scelta di carattere politico, non vi è alcun dubbio. "Tutti mi chiedono come mai i protagonisti dei miei quadri siano sempre persone di colore, come me, ma di questo occorre spiegarne la presenza. Affermare qualcosa in tal senso sarebbe come spiegare la mia presenza nel mondo. Io disegno e basta e ognuno può vedere nelle mie opere ciò che vuole. Li immagino nella mia mente, li vedo e li rappresento così". La stessa cosa si può dire degli animali che sceglie di rappresentare. Splendido davvero A Nocturnal Intensity, 2022 – il quadro dell’uomo con un gatto – come quelli in cui sono rappresentati gli uccelli (Two or three Suggestions, 2021, con due uomini e un corvo), più domestici che selvatici, capaci di farci entrare ancora di più nelle sue percezioni e narrazioni visive "che provengono – precisa – dalla musica e dalla poesia, oltre che dalla letteratura. Toni Morrison, Okwui Enwezor, James Baldwin, Bill Evans, Nick Cave e molti altri sono stati e sono la mia costanze ispirazione come la musica in genere, grande compagna della mia vita e non solo della mia, che in una città come Londra è parte integrante. Non mi stanco mai della mia città – conclude – anche se negli ultimi anni, tra Brexit e pandemia, è diventata complicata, ma è una città che resta forte e resiste ai cambiamenti trovando sempre a suo modo una via d’uscita, adattandosi ad un presente costruendo il futuro".