Donizetti dry
Aria nuova all'opera. Quattro titoli di Donizetti shakerati in uno a Bruxelles
Spettacolo folle e da applausi alla Monnaie. I responsabili si chiamano Olivier Fredj e Francesco Lanzillotta
Finora, lo spettacolo più folle e più riuscito (all’opera sono caratteristiche che spesso coincidono) del 2023 è questa doppia Bastarda, in scena alla Monnaie di Bruxelles fino al 16 aprile. Ricetta, alla fine, semplicissima: prendete le quattro opere di Donizetti sui “Tudori”, come li chiamava lui, cioè Elisabetta al castello di Kenilworth, Anna Bolena, Maria Stuarda e Roberto Devereux, shakeratele, costruiteci intorno una drammaturgia, aggiungete dei testi in inglese perché in fin dei conti siamo in Inghilterra ma anche in Belgio ed è meglio non vellicare le delicatissime suscettibilità linguistiche degli autoctoni, distribuite su due serate (con un giorno d’intervallo per fare rifiatare i cantanti), servite caldo come impongono queste vicende di amori, tradimenti, intrighi dove le teste volano con disinvoltura estrema, è il caso di dirlo, e otterrete uno spettacolo di gran successo che non solo è una preziosa novità in un repertorio sempre più asfittico, ma potrebbe perfino costituire un nuovo “genere” operistico. Infatti Peter de Caluwe, l’intendente della Monnaie (la fantasia al potere? Ma allora si-può-fare!, come in Frankenstein junior), annuncia già un progetto simile ma non uguale per Verdi.
I responsabili si chiamano Olivier Fredj e Francesco Lanzillotta. Il primo ha avuto l’idea, ha scritto lo spettacolo, l’ha messo in scena, e davvero benissimo: scuola Carsen, e si vede. Il secondo ha arrangiato le musiche di Donizetti, ne ha scritte di nuove e le ha dirette, molto bene anche lui, cosa non scontata perché dirigere questo repertorio non è difficile ma farlo bene è difficilissimo, e Lanzillotta è uno dei non molti che ne è capace.
Sul palcoscenico, la Regina è doppiata da una sé stessa giovane, un’attrice di dodici anni di origini turche, Nehir Hasret, e tenete a mente questo nome perché di talenti così precoci e così forti se ne incontrano pochi. E’ un’Elisabetta traumatizzata dalla brutta fine fatta dalla mamma Anna Bolena, il cui delirio finale pre scure, “Al dolce guidami”, torna come una ninna-nanna di inquietante dolcezza. Cavatine, cabalette, duetti e finali vengono scomposti, incrociati, intrecciati, mischiati in una specie di puzzle complicatissimo dove alla fine, però, non solo tutto torna, ma apre anche prospettive drammaturgiche inedite e perfino rivelatorie, in questi intrecci di sesso & sangue che risultano avvincenti come qualsiasi serie di successo, anzi di più perché qui c’è pure Donizetti. E infatti, a parte qualche lungaggine nella prima parte della prima serata, ci si assiste trattenendo il respiro. Merito, certo, anche della sontuosa confezione, con i costumoni storico-rivisitati, splendidissimi, di Petra Reinhardt, le luci magnifiche, l’uso di tutto il teatro come scena, sicché capita che qualche decapitanda finisca per cantare accanto alla tua poltrona, e perfino i mimi, cui di solito il sottoscritto è allergico e che qui cadono come il cacio sui casoncelli donizettiani (altro nome da segnarsi, quello del coreografo: Avshalom Pollak). Funzionano anche i dialoghi in inglese, recitati da tre cantanti che però diventano anche narratori e sanno recitare, sì, si può fare anche questo, fra i quali Bruno Taddia che sembra un mimo per due terzi della prima parte poi attacca “Qui ribelle ognor ti chiama” del Devereux facendo fare a tutti un salto sulla sedia. Chiamata a un tour de force notevole, la compagnia è quasi tutta buona ed è anche molto italiana: da citare almeno Francesca Sassu che fa una notevole Elisabetta e poi Salome Jicia (Bolena), Luca Tittoto (un Enrico VIII molto Holbein), Enea Scala (Leicester con acuti grandi come un palagio), Sergey Romanovsky (Roberto Devereux), Lenneke Ruiten (Stuarda), Raffaella Lupinacci (Seymour e Sara con uso di re acuto) e Valentina Mastrangelo (Amy Robsart commovente): il controtenore, però, in Donizetti no, grazie. Insomma, esperimento riuscito. Ci fosse qualcuno che volesse andarlo a vedere dall’Italia, giusto per interrompere la serie infinita di Traviata e Bohème e Butterfly…