Ferrovie del Messico
La recensione del libro di Gian Marco Griffi, incluso tra i dodici candidati al Premio Strega 2023 ed edito da Laurana (824 pagine, 22 euro)
Ci troviamo dinnanzi al libro sicuramente più chiacchierato dell'anno nella "bolla della litweb". Adorato, incensato, recensito sul proprio profilo Facebook da centinaia di addetti ai lavori editoriali, aspiranti scrittori, groupie letterarie (che fanno a gara a chi lo magnifica più iperbolicamente). Da taluni accusato di escapismo e colpevole disimpegno: non impatterebbe sulla mente che pensa e (de)costruisce i paradigmi della realtà politico-sociale e politico-ecologica contemporanea – avrebbe quindi un valore puramente estetico (peraltro come se questo fosse pacificamente un problema). Dai più definito capolavoro assoluto o più pudicamente libro dell'anno. Seconda guerra mondiale. Parte un ordine dalla Germania e arriva ad Asti: "disegnare una splendida e dettagliata mappa delle ferrovie del Messico" – pare infatti che nei loro meandri, imboccando una misteriosa biforcazione dei binari, queste nascondano un'arma risolutiva da cui potrebbero dipendere le sorti belliche. Il compito è assurdamente affidato a un incredulo ragazzo, Cesco Magetti, membro della Guardia nazionale ferroviaria della Repubblica sociale italiana.
Le avventurose peripezie di Cesco (nonché dell'umanità ultravivacemente pullulante che lo circonda) innescate dall'ordine, straripanti di secchi e imprevisti giri di trama e di bordate d'invenzione sgusciante e variopinta, sono quanto di più spassoso la nostra patria editoria abbia sfornato ultimamente. Romanzo poderoso, romanzo fiume che però scorre forsennato e impetuoso come un torrente di montagna pompato dallo scioglimento delle nevi. La velocità, l'enorme velocità (anche nell'orizzontalità digressiva e descrittiva-peculiarità assai rara), abbinata al ritmo cadenzatissimo e a una prosa articolata e consapevole (citazionistica e parodistica) ma che si tracanna come l'acqua fresca al disidratato risveglio dopo una sbronza, fa sì che questa lettura sia un'eccezione alla regola della gravità testuale di Schopenhauer: dalla testa alle mani al foglio le parole scendono facili appunto attirate verso il basso dalla gravità, quando invece debbono risalire dal foglio agli occhi alla testa diventano pesanti e si fatica in virtù della medesima forza che s'oppone.
La velocità che Gianluigi Simonetti individua come dominate formale (deteriore?) del romanzo italiano circostante in questo testo tripudia sfrenata, senza però scivolare nella sciatteria, nel luogo comune. L'eventuale censura che può essere mossa riguarda invece la bidimensionalità dei personaggi ovvero l'appiattimento dell'interiorità drammatica (che a tratti depotenzia gli slanci lirici): l'uomo è tutto atto, tutto fatto, tutto evento – marionetta al servizio dell'autore, brillantissimo gran burattinaio. Ma in un libro così pregevole e stiloso, così divertente e divertito – programmaticamente ironico e non di rado comico – ciò può essere abbondantemente perdonato.