la nomina
Un sornione tributo a chi ha scelto Annalena Benini per guidare il Salone del Libro di Torino
Campione di leggerezza e libertà letteraria, la nostra saprà tenere lontana la kermesse dell'editoria dal riverito polline culturale. Quel che è consolante è che la nomina sia andata a lei, scrittrice che non l'ha meritata
Parigi perde le sue trottinette, a noi il monopattino. Annalena Benini o se volete Annalena, campione di leggerezza e libertà letteraria, dirigerà la nostra Francoforte sul Po, il salon des salons, il tempio torinese del libro. Roba forte e significativa, da festeggiare per lei, superstar naturale cresciuta tra queste piccole, effimere mura, e per quel fascismo liberale, a noi il monopattino!, che non sa solo straparlare, conosce o riconosce, evidentemente, anche l’arte o la civiltà della conversazione.
Hanno letto molti libri di Pansa sul sangue dei vinti, capita, ma non si sono lasciati sfuggire i fascicoli di Review, luogo del cuore in cui Annalena fa battere, con le dovute aritmie, memorie desiderio e idee dentro e fuori il palazzetto del giornalismo outsider che eravamo e siamo rimasti e rimarremo. È arrivato il momento, preconizzato da un altro talento di nome Pietrangelo Buttafuoco, di avere un ministro per le Riforme letterarie, celia delicata dedicata alla Benini tanti anni fa in una rubrica irriverente e carezzevole nello stile asprigno e un po’ ruffiano della casa.
Benini, rigorosamente senza l’articolo determinativo che non usa più, nasce beneducata nella migliore provincia italiana, quella di Micòl Finzi-Contini; nasce capace di scrivere con una facilità complicata e commovente, l’analitica delle emozioni con un tocco sdrucciolevole e ilare; nasce bella di una bellezza tradizionale sognata anche dai colonnelli dell’Esercito in pensione; nasce con una grinta maliziosa che la libera dalla necessità di esibire un curriculum banale, che la lega ai figli all’amore alla casa e al lavoro come una mamma e come una serpe di campo che sa stare sulla riva del fiume senza sgambettare e sgomitare.
Di mamma, per fortuna, ce n’è una sola. Così si dice. E Annalena è unica. Il suo flusso di coscienza è modernista secondo i canoni, per il racconto, il ritratto, la storia o le storie ha dentro di sé uno spazio enorme in cui si versa sempre qualcosa di malinconico e di allegro, di supremamente ordinato e sciabattante, e sa far lavorare chi la circonda come se lavorare non sia minimamente stancante. Per una macchina infernale come il Salone di Torino è sulla carta una benedizione.
Intanto sappiamo in anticipo che non trasformerà la nota importanza letteralmente biblica del libro in un totem o in un polline culturale riverito e accettato, non sarà banale, farà i suoi bravi compromessi, ché è anche donna o ragazza di potere, ma senza spacciare troppe bignole alla crema, con una predilezione semmai per il grissino, alta specialità torinese e piemontese nonché gloria cibaria nazionale. Le sue Riforme letterarie non avranno nomi o didascalie sorridenti, si sentiranno senza parere, con naturalezza buona per i lettori e per le scolaresche, per le classi colte e per gli appassionati, per i fan e i patiti del libro come evento monumentale.
Con Giuli al MAXXI, Annalena Benini al Salone e Buttafuoco al solito segnale orario, da lui sempre sognato, viene naturale pensare anche a un cambio di stile, che magari non piacerà a tutti ma avrà qualcosa da dire, specie dopo il late style o stile del sublime senile che ci ha un po’ afflitto negli ultimi decenni di arte, cinema, musica e letteratura, con tutti i suoi meriti, le sue bellurie e le sue bellezze. Da qui inevitabile un sornione e garbato tributo di gratitudine al nuovo regime, che per fortuna e astuzia si rivela fatto della solita vecchia pasta nazionale ma con un minimo di inventiva e di audacia in più, ah! la Nazione e il tempo che passa. Si dice che i premi letterari bisogna evitare di meritarseli, ecco. Una kermesse di editoria e feste librarie non è un premio letterario, ma è consolante che vada in braccio a una scrittrice che non l’ha meritata.