il commento
L'estinzione della lingua è la catastrofe da cui non ci salverà neppure ChatGPT
Gli uomini sembrano aver perso il senso della cultura in cui vivono. L'impoverimento del nostro linguaggio è reale e quella delle macchine non è in grado di aiutare a comprendere i fenomeni. Ragionamento intorno al ruolo dell'IA
Uno dei libri di filosofia morale più importanti del secolo scorso, Dopo la virtù di Alasdair MacIntyre, inizia come se si trattasse di un romanzo di fantascienza. Si racconta di uomini che, a seguito di una non meglio precisata “catastrofe”, hanno perduto il senso della cultura nella quale vivono. Come macerie, sono rimaste alcune parole, termini etici valutativi quali buono, cattivo, giusto, ingiusto o certe espressioni con cui i superstiti indicano ai loro simili che cosa debbano fare in determinate circostanze. Ma non c’è più traccia della concezione dell’uomo dalla quale questi termini traevano il loro significato; è scomparso il contesto storico-culturale all’interno del quale la vita umana appariva ancora come la vita di un io, la cui biografia poteva essere raccontata come un tutto. E così, si potrebbe aggiungere, siamo diventati “uno, nessuno e centomila”.
Mi è capitato spesso di riflettere su questa catastrofe, domandandomi tra l’altro se ne saremmo mai usciti. Ma da un po’ di tempo ho cambiato registro; non faccio che prefigurarmi il suo possibile esito finale: l’estinzione della lingua. Segnali importanti in questa direzione si vedono ovunque: nella poca attenzione che nelle scuole di ogni ordine e grado si presta alle regole più elementari della grammatica; nella difficoltà delle giovani generazioni a mettere per iscritto anche i pensieri più elementari; nel numero impressionante di ore che quotidianamente trascorrono in rete; nella povertà del loro lessico, ridotto spesso a poche decine di parole, il cui spessore semantico non va oltre quello di un segnale stradale; nel disinteresse per la lettura in generale; nella scarsa qualità di ciò che viene spacciato per letteratura; nella trascuratezza di certi articoli di giornale (nei giorni scorsi un noto quotidiano scriveva in prima pagina: “Poker del Milan al Maradona con due reti di Leao, Diaz e Saelemaekers”. Il poker fa pensare, giustamente, che il Milan abbia fatto quattro gol, ma la sintassi di ciò che segue induce erroneamente a pensare che ne abbia fatti sei).
E tutto questo proprio mentre i nuovi modelli di intelligenza artificiale, vedi ChatGPT o GPT-4, sono capaci di scrivere un articolo, di rispondere per iscritto alle nostre domande con una qualità di scrittura già buona, che non tarderà a rendersi impeccabile. Benissimo, dirà qualcuno, la scrittura non morirà, ce la conserveranno le macchine. Sì, ma nel contempo potrebbero anche renderla ancora più inutile.
Premesso che sto iperbolizzando una catastrofe che, come tutte le catastrofi annunciate dagli uomini, finirà con l’essere soltanto presunta, di certo l’impoverimento della nostra lingua è reale e produce disuguaglianze talmente profonde, che difficilmente saranno compensabili dall’intelligenza artificiale. A dire il vero si potrebbe anche immaginare una situazione in cui tutti avremo la possibilità di farci suggerire da una macchina le parole giuste da usare al momento giusto. Magari la macchina sarà anche intelligente abbastanza da adeguarle proprio a ciascuno di noi, facendoci sentire unici. Ma chi ci dice che alla lunga questa unicità non si trasformerà in un sempre maggiore isolamento? E che significherà tutto questo per chi non è mai stato abituato a sentire il suono e lo spessore delle parole? Potrà crescere grazie alla macchina? Oppure, come penso, la macchina non farà altro che accentuare la sua povertà e passività linguistica?
Quanto all’isolamento, ieri tutti i cittadini sapevano più o meno quello che sapevano gli altri. Parlare ad esempio di opinione pubblica significava fare riferimento a un ambito comune. Ma gli algoritmi, come è noto, rendono possibile una personalizzazione di massa, un’ individualizzazione generalizzata che non hanno più nulla a che vedere con tutto ciò. Avere accesso alle informazioni non vuol dire avere accesso a un mondo condiviso, ma semplicemente allargare il nostro mondo individualizzato. Alto dunque il rischio che alla fine, anziché unici ci si senta isolati e massificati: “Uno, nessuno e centomila” appunto.
Mancando un punto di riferimento comune, non sappiamo più che cosa gli altri presumibilmente sanno o non sanno, né siamo in grado di valutare la nostra ignoranza. D’altra parte, come nell’antica divinazione magica, la lingua delle nostre macchine, gli algoritmi di machine learning, per lo più oscuri alla nostra mente, servono a “gestire” e a “prevedere” i fenomeni, non a comprenderli. Ci adatteremo così all’intelligenza delle macchine (questo, sì, è possibile!), senza nemmeno sapere che queste ultime hanno accantonato ormai definitivamente il sogno di emulare la nostra perché troppo complicata, bella e misteriosa. E pensare che basterebbe questa consapevolezza per tener desto il senso stupefacente della nostra lingua, facendoci persino sperare di poter essere noi a usare creativamente quella delle macchine. Invece crediamo di risolvere il problema proibendo l’uso di ChatGPT: una decisione così priva di umana intelligenza che sembra suggerita proprio da ChatGPT.