Lode al “non voglio crederlo” da sputare in faccia agli sventuratori incalliti
La mappa del mondo è in parte inesplorabile, il destino è cieco, non possiamo afferrarlo e incasellarlo come quel mattocchio di talento di Elon Musk
Non voglio crederlo: ecco una bella frase in disuso. Scaccia la tristezza con la volontà. Anche quando male impiegata, anche quando versata al peggio, a un’ignoranza trascurata e fragile, la volontà ha sempre qualcosa non dico di allegro ma di vitale (altrimenti che siamo nicciani a fare, tutto questo zaratustrismo e profetismo da portineria dove lo mettiamo?). L’Italia scompare perché i modelli previsionali della demografia, basati certo su fatti, su nascite che non ci sono state, su curve e altri ammennicoli utilissimi nella statistica e nelle scienze umane, ci dicono che siamo al tramonto avanzato? Non voglio crederlo. Il pianeta è in esaurimento da cambiamento climatico, e tra poco la casa brucerà? Non voglio crederlo. I due sessi non esistono più? Non voglio crederlo.
Bisogna filtrare e setacciare con cura la grande cronaca mondiale che imperversa con i suoi stereotipi: qui è stupro, lì è guerra, alligna la prossima pandemia, stato e politica sono nemici, l’invasione aliena progredisce, l’alternativa è la morte per acqua, i social i video il porno e l’intelligenza artificiale ci minacciano, il lavoro non si pratica, diseguaglianze e povertà si diffondono a macchia d’olio, il femminicidio dilaga, i giovani del nuovo millennio si sdraiano o si muovono troppo e male, tutto quello che era lusso calma e voluttà si trasforma in ordinario agitazione e dispiacere. Secondo me ci stiamo imbarbarendo di tristizia andante, troviamo conforme al nostro tempo solo la previsione avvilente, mortifera, senza speranza e senza confini. L’ultima è che i vecchi devono attendersi la morte per caldo, una grande ondata di annichilimento provocata da spray scappamenti e scie chimiche. Su questo si fa titolo, si apre il giornale, si organizza l’immagine in movimento, si impone una credulità che sfida con la statistica altre statistiche, quelle sull’aspettativa di vita sempre più lunga e ingombrante, su ricchezze e consumi diffusi, con i pericoli annessi e qualche effetto maligno di ridondanza ma liberatori.
Non voglio crederlo: è una posizione civile, politica, un modo di contrastare l’inabissamento di tono apocalittico del pensiero medio, della sensibilità dominante. Si è fatto nei decenni un gran parlare e scrivere e declamare di macchina desiderante, è la nuova antropologia della french theory, il nuovo programma del corso universitario, la nuova critica letteraria e semiotica, ma per stare al mondo con un minimo di piacere di vivere, recuperando il fatto omerico del tramonto che accende i fuochi in vista dell’aurora, e magari di un’aurora con le dita rosee, c’è questo piccolo congegno ideologico della volontà da sputare in faccia agli sventuratori incalliti: non voglio crederlo. E’ la tattica ingenua dell’intelligenza delle cose. Potete continuare a fare tutte le acrobazie funeree che volete, ma il mondo e anche il mio mondo ha una scintilla di eternità, tutto cambia perché tutto resti eguale. Una volta l’ottimismo era per definizione disinformazione, e il pessimista era un ottimista che si è informato. Ora è l’opposto.
Ho la netta impressione che i nuovi credenti, quando partoriscono i mostri ideologici della fine del mondo, chi per debolezza chi per disinteresse chi per interesse anche troppo chiaro, possano essere sfidati dai miscredenti attivi. La curva demografica, se sentite tanti statistici e scienziati, può cambiare, e non sappiamo nemmeno bene come e perché. Sappiamo che possiamo sbagliare nell’attrezzarci un futuro di noia, di dolore, di sterilità. E che la mappa del mondo è in parte inesplorabile, il destino è cieco, non possiamo afferrarlo e incasellarlo come quel mattocchio di talento di Elon Musk. Non vogliate crederlo: vedete che con questa parabola della mente evangelica vi troverete non dico bene, ma meglio.