il foglio del weekend
I colori felici di Sorolla
Intingeva il pennello nel sole e ispirava ottimismo alla Spagna della Belle Époque. I quadri in mostra a Roma
Aveva il mare nelle vene, Joaquín Sorolla, pittore della Spagna più luminosa e mediterranea. Nato a Valencia nel 1863, fu considerato un autentico innovatore della luce e del colore e un protagonista assoluto della scena artistica del suo tempo. Viaggiò di continuo in Europa. Soprattutto Italia, Francia, Inghilterra. E per tutta la Spagna, instancabile promotore di se stesso. Partecipò all’Esposizione universale di Parigi del 1900 e ad altre manifestazioni internazionali, ottenendo un successo senza uguali. Nato povero, guadagnò moltissimo. Gli Stati Uniti, dove espose a New York, Chicago, Saint Louis, San Diego, contribuirono non poco alla sua fortuna. La potente Hispanic Society of America, dopo avere organizzato per lui due mostre itineranti nel 1909 e nel 1911 e aver contato 160 mila visitatori solo in un mese del 1909, lo incaricò di dipingere la sua Visión de España, quattordici quadri alti più di tre metri ciascuno che raffigurano la diversità delle “Spagne” e la vita delle sue genti.
La obra maestra di Sorolla, un vero e proprio monumento alla Hispanidad, fu inaugurata a Manhattan nel 1926, tre anni dopo la morte del pittore. Nel 2006 i dipinti vennero staccati dalla pareti della Hispanic Society per essere restaurati. Con l’occasione vennero spediti in Spagna tra il 2007 e il 2010 per un’esposizione che toccò Valencia, Siviglia, Malaga, Bilbao, Barcellona fino a concludersi al Museo del Prado di Madrid. Con un tale consenso di pubblico da essere considerata in Spagna la mostra più visitata di tutti i tempi. Basta e avanza per capire che Sorolla in Spagna si trova nell’empireo dei pittori più amati.
La mostra dei 14 quadri della sua “Visión de España” è stata la più visitata di sempre nel paese. Questo è l’anno del centenario della morte
Quest’anno in cui ricorre il centenario della morte è stato designato come Año Sorolla. Con un’infinità di omaggi e di mostre che si rincorrono per tutto il paese. In corso fino a giugno ci sono Retratos al Museo del Prado e Sorolla a través de la luz al Palazzo Reale di Madrid. E le sette diverse esposizioni che coprono l’intero 2023, tutte in programma a Valencia, nella città di mare e giardini di cui respirò l’aria da bambino e a cui si ispirò tutta la vita.
In Italia Sorolla è una riscoperta. Anzi, un ritorno. Proprio nella sede della Real Academia de España a Roma che ospitò il pittore quando era poco più che ventenne, dal 1885 al 1889. Allora Sorolla era un pensionado, un artista di precoce talento che aveva già dipinto quadri di successo e aveva meritato una pensión, cioè una borsa di studio, stanziata come contributo alla sua formazione dalla Diputación di Valencia, il governo provinciale valenciano. All’Accademia di Spagna oggi Sorolla è in mostra col titolo “Sprazzi di luce e di colore” fino al prossimo 11 giugno. In esposizione, per la prima volta a Roma, circa 250 opere, una selezione a cura della pronipote del pittore e massima esperta in materia Blanca Pons-Sorolla e di María López Fernández. Ed è come se un mare di luce avesse penetrato persino le mura dell’ex monastero di San Pietro in Montorio al Gianicolo dove Sorolla visse. Un luogo che già di suo spazia su Roma e ne cattura la storia immortale. E’ il Mons aureus, da cui Montorio, appunto, dove secondo la leggenda venne crocifisso a testa in giù l’apostolo Pietro. E’ il complesso monumentale voluto dai Re cattolici, Fernando d’Aragona e Isabella di Castiglia.
In questo contesto la mostra dedicata a Sorolla diventa anche occasione per celebrare i primi 150 anni di attività dell’Accademia di Spagna a Roma, inaugurata nel 1873 con l’obiettivo, ancora oggi manifesto, di promuovere el genio nacional e di offrire ad artisti, ricercatori e restauratori spagnoli un’opportunità di formazione umanistica nella città eternamente metrópoli del arte. E’ proprio grazie alla pensión che Joaquín Sorolla poté approfondire a Roma i temi della classicità attraverso monumenti e paesaggi. O attraverso le tertulias, conversazioni e frequentazioni di luoghi simbolo dell’arte a cavallo tra Ottocento e Novecento come il Caffè Greco di via Condotti o i circoli culturali di via Margutta. Poté viaggiare per l’Italia da nord a sud, soggiornare ad Assisi con la moglie Clotilde García del Castillo appena sposata, visitare Firenze, Pisa, Venezia e Napoli. Perfino spingersi per qualche mese fino a Parigi dove entrò in contatto con gli Impressionisti di cui amò subito il racconto della realtà senza infingimenti, la rappresentazione della modernità, inclusa l’ascesa della nascente borghesia e la villeggiatura al mare come stile di vita.
A Roma approfondì la classicità, a Parigi entrò in contatto con gli Impressionisti e la villeggiatura al mare come stile di vita. Le trasparenze dell’acqua verdi, azzurre, talvolta violette, quel viola che considerava “l’unica scoperta importante nell’arte dopo Velázquez”
Accettò subito la sfida. Lui, nato con il Mediterraneo all’orizzonte, vissuto nel meriggio assolato del Levante spagnolo. Ecco la sua specialissima pittura vestita di luce, dipinta con pennellate fluide e veloci. Non del tutto impressionista, non del tutto luminista. Eppure figlia del suo tempo, della stagione struggente della Bella Époque. E’ il candore delle vesti di donne affusolate, la moglie Clotilde e la figlia Maria, che passeggiano sulla riva del mare, i cappelli di paglia a larghe tese trattenuti dal vento. Sono i bambini nudi a pancia in giù che si trastullano sul bagnasciuga e lasciano trapelare il piacere di farsi lambire da onde che vanno e vengono, morbide. O quelli che nuotano, lucidi d’acqua, in trasparenze verdi, azzurre, talvolta violette. Un effetto incredibilmente realistico. Proprio per quel viola che Sorolla considerava “l’unica scoperta importante nell’arte dopo Velázquez”.
Chissà cosa ricordava della sua infanzia sulla riva del mare, Joaquín Sorolla. Certo, abbiamo una rappresentazione dell’arte della villeggiatura com’era più di un secolo fa. Le donne e le bambine che indossano lunghi abiti impalpabili per bagnarsi. I bambini nudi e puri. Talvolta mentre giocano con barchette a vela, talvolta mentre conducono cavalli bianchi sulla spiaggia. Gli uomini non compaiono mai come bagnanti. Restano all’ombra, forse a leggere o fotografare. Distanti. Se si avvicinano al mare sono pescatori o barcaioli. “Non c’è niente di più vero della verità. Tutti gli errori commessi dai grandi artisti sono dovuti al loro essersi separati dalla verità, credendo che la loro immaginazione potesse essere più forte”, amava ripetere Sorolla.
A documentare questa vocazione, che lui definiva come “ambizione di creare quadri onesti” che riflettessero la realtà “come è veramente”, c’è la mostra di Roma. Nelle sale attorno al chiostro dell’ex convento di san Pietro in Montorio e al cortile che contiene la perfezione geometrica del Tempietto del Bramante, patrimonio dello Stato spagnolo a Roma, sfila una sequenza di opere che Sorolla chiamava “note di colore”, o anche “macchie” con riferimento allo spirito indipendente dei Macchiaioli e al loro rinnovamento dei canoni pittorici della seconda metà dell’Ottocento.
La particolarità è che sono tutte opere di piccolo formato, tavolette o dipinti a olio su cartone che testimoniano la necessità di Sorolla di dipingere en plein air per cogliere qualsiasi sfumatura di luce, per “intingere – come diceva lui – il colore nel sole”. Le dimensioni delle tavole e delle tele gli permettevano di trasportarle con facilità insieme con pennelli, tavolozze, tubetti di tinte. Sorolla le considerava “appunti”. Opere intime, talvolta non finite, che fissavano “la forza della natura”, la necessità di avere “la natura di fronte per poter dipingere bene”. Non bozzetti veri e propri, ma annotazioni visive che servivano a realizzare dipinti di più grandi dimensioni proprio perché contenevano la verità dell’attimo fuggente, così come l’artista l’aveva visto e vissuto, le impressioni, le emozioni provate. Tornato a casa Sorolla appendeva con spilli nello studio queste “note” che sono l’estrema sintesi della sua pittura. Poi cominciò anche a incorniciarle. Tappezzava intere pareti.
Poiché fu un pittore prolifico come pochi, non è un dettaglio secondario il fatto che l’esposizione di Roma provenga dal Museo Sorolla di Madrid, la casa-atelier dell’artista al numero 37 del Paseo Martínez Campos, a due passi dalla Castellana. Lì nel 1911 andò a vivere con la moglie Clotilde, donna simbolo di eleganza borghese e musa ispiratrice di tutta una vita, e con i loro tre figli. Ancora oggi Casa Sorolla, donata allo stato per volontà di Doña Clotilde rimasta vedova nel 1923, è integra. Tale e quale a come i Sorolla la lasciarono. Forse la casa d’artista “più completa e meglio conservata d’Europa”, come sottolineano le guide locali. Divenuta Fondazione, Museo statale e Monumento storico di interesse nazionale, contiene la più vasta collezione di opere del pittore. Un patrimonio incrementato grazie al lascito dell’unico figlio maschio di Sorolla morto nel 1948. E’ una palazzina liberty con giardino e patio andalusi, un po’ sommersa dai condomini che oggi la circondano. Un’edilizia solida e borghese che negli ultimi decenni ha pian piano sostituito la grazia “modernista” delle ville dell’inizio del secolo scorso, quando il quartiere castizo, cioè “autenticamente spagnolo” di Chamberí a Madrid divenne meta preferita di intellettuali e artisti che vi costruirono residenze circondate di verde, concepite proprio come oasi in città.
Il suo giardino è il luogo dell’anima, con le fontane decorate di azulejos, maioliche tipiche dell’Andalusia,
regione che tanto lo affascinava
Sorolla, reduce dal successo delle rassegne personali negli Stati Uniti e dalla commessa della Hispanic Society di New York, ideò la casa a sua immagine e somiglianza. Aveva traslocato tante volte nella vita da sapere perfettamente cosa serviva a lui e alla famiglia, come dividere gli spazi privati da quelli pubblici e dallo studio vero e proprio. “Per questo intervenne attivamente nel progetto dell’architetto, il famoso Enrique Repullés y Vargas, accademico e autore di edifici pubblici come la Borsa di Madrid”, dice la curatrice del Museo Sorolla, Almudena Hernández de La Torre Chicote. Il giardino è il luogo dell’anima. Con gli aranci e le fontane decorate di azulejos, le maioliche così tipiche dell’Andalusia, la regione che forse più affascinò Sorolla alla ricerca della sua Visión de España. L’Alhambra, il Generalife di Granada, l’Alcazar di Siviglia. Il giardino come fonte di ispirazione della pittura dell’età matura e come rifugio dell’intimità familiare, ristoro dai rumori del mondo. E’ onnipresente, visibile da qualsiasi angolo della casa, dalla sale rosso pompeiano con il pavimento di legno, il più comune da sempre a Madrid, e dal grande salone chiaro in marmo progettato per la vita di società. Ovunque, ovviamente, i dipinti di Sorolla. La natura, i fiori, il mare. Ma anche i ritratti, la moglie Clotilde seduta su un sofà giallo, i figli con le due ragazze vestite uguali, l’autoritratto. I ritratti contribuirono a rendere Sorolla celeberrimo in vita. Fino a dipingere con abiti da ussaro Alfonso XIII, l’ultimo re di Spagna prima della Seconda repubblica e della Guerra civile. Sul verde del giardino e sui giochi d’acqua si apre il Patio andaluz con le gallerie dedicate alle collezioni di ceramica, tributo alle tradizioni, agli usi e ai costumi delle regioni della Spagna. Tutta la casa rimanda al gusto per l’eclettismo e per il collezionismo tipico dell’epoca.
Ma ciò che più stupisce del Museo Sorolla è il pellegrinaggio degli spagnoli. Inimmaginabile in Italia, in contesti simili. Nei fine settimana si mettono in fila a centinaia per visitare il luogo più rappresentativo della vita e dell’opera del “pittore della luce”. Una spiegazione di questo fervore popolare la offre lo storico dell’arte Carlos Reyero in un saggio pubblicato lo scorso febbraio dalla Editorial Cátedra col titolo: Sorolla o la pintura como felicidad. Il libro di Reyero parte da una constatazione: i dipinti di Sorolla hanno un influsso benefico su chi li osserva, come se ispirassero uno sguardo più positivo e ottimista sugli accadimenti della vita. Da qui “dieci lezioni di felicità” che offrono altrettanti punti di vista su Sorolla, talvolta trasversali, e rispondono alla domanda principe: “Si può imparare a essere felici attraverso l’arte?”.
Perché Joaquín Sorolla non dovette essere un bambino spensierato. Rimasto orfano a due anni a causa del colera che imperversava in Spagna, venne allevato da una zia materna assieme alla sorellina Concha di un anno più piccola. Gli piaceva disegnare. Ma a 13 anni, dopo le scuole medie, dovette iniziare ad aiutare lo zio fabbro. E solo dopo aver finito di lavorare nella bottega di famiglia, poteva frequentare una scuola serale di disegno per artigiani. Doveva avere una gran fiducia in se stesso e una grande ambizione per proseguire gli studi alla Scuola superiore di Belle arti di San Carlo a Valencia mentre continuava a lavorare da apprendista fabbro. Passo dopo passo si sa tutto sulla parabola della sua vita. Todo sobre Sorolla, il pittore della gioia di vivere che “aveva orrore delle tenebre” e sapeva dipingere la luce senza ombre. Soprattutto senza sforzo, come fosse la cosa più naturale del mondo. Apparentemente.
La vida no siempre es fiesta, scrive Reyero. Avanzando il dubbio che uno dei maggiori successi di Sorolla sia stato quello di convincere tutti dell’esistenza di gente felice in luoghi felici e del suo proprio, personale appagamento. Che l’arte sia un’illusione anche quando dipinge il vero? La risposta la dà lo stesso Sorolla: “Si può essere felici solo se pittori”.