Nemici della cultura
Lionel Shriver contro i “lettori sensibili” che mettono i braghettoni ai libri
L'appello della scrittrice americana a chi vuole correggere i romanzi con la scusa della discriminazione: “Tenete le vostre zampacce lontane dai nostri libri”. Perché la letteratura non è edificante e proprio per questo piace
Abbiamo incrociato per la prima volta Lionel Shriver a Cannes nel 2011. Sapevamo soltanto che era suo il romanzo da cui Lynne Ramsay aveva tratto il film “…e ora parliamo di Kevin”. Indimenticabile, per una scena almeno. Tilda Swinton aveva un neonato che strillava giorno e notte, come se lo stessero scannando. Esasperata, metteva il pupo in carrozzina e per stare un po’ in pace lo portava vicino a un cantiere stradale, meglio sentire il fracasso dei martelli pneumatici. Provate oggi a girare una scena simile. E prima ancora a scriverla. I “sensitivity reader” in forza alle case editrici vi faranno notare che no, che esistono neonati pacifici e mamme con un’alta soglia di sopportazione (ma non era il contrario: l’orecchio finissimo della mamma che percepiva il minimo respiro alterato?). Andando avanti, è pure peggio: Kevin adolescente chiede in regalo un arco con le frecce, gli sventati genitori glielo regalano anche se ha già dato segni di squilibrio. Lui porta l’arma a scuola, e fa una strage.
Lionel Shriver è l’unica scrittrice che apertamente, con tutte le sue forze, si oppone agli “esperti di se stessi” che circolano nelle case editrici: “Sono nato messicano, ti dico io come raccontare i messicani” (al posto di “messicano” può starci qualsiasi cosa). “Tenete le vostre zampacce di lettori ‘sensibili’ lontane dai nostri libri”, intima in un articolo uscito venerdì scorso su Libération. Parla per sé e per Roald Dahl, Ian Fleming, perfino Agatha Christie. Si comincia così e si finisce per mettere il reggiseno alla Venere di Botticelli – colei che mangia la pizza con il lago di Como sullo sfondo per promuovere il turismo italiano, lì le hanno messo direttamente la camicetta. La versione “purgata” di “…e ora parliamo di Kevin” l’ha scritta da sola, a eterna vergogna dei censori. Ridiamo di Daniele da Volterra detto il Braghettone, per aver coperto i nudi di Michelangelo nel Giudizio Universale. Perché non potremmo ridere – tra un po’, adesso sarebbe subito “shitstorm”, se Elon Musk e compagnia lo consentono – di un’epoca e di un’università dove non si può dire “campo di studi”, perché “field” ai neri ricorda le piantagioni di cotone. Eccola qua: “Kevin è buono. Kevin non fa mai niente di sbagliato. La mamma di Kevin non cucina, perché rifiuta i ruoli tradizionali di genere. Dopo 400 pagine di fame e gentilezze, non riesce a uccidere con arco e frecce sette compagni di scuola, un professore e un bidello. Organizza una festa a base di cup-cake rosa”.
Compitino noioso, inoffensivo, privo di cattivi esempi. E invenduto. Come speriamo capiti al Roald Dahl sconciato: piaceva tanto ai ragazzini perché non era una lettura edificante. “Vandalismo letterario”, dice Lionel Shriver, sperando nell’insuccesso commerciale. Di questa e di altre operazioni. Esordire come scrittore maschio, bianco ed etero è diventato difficilissimo. Già meglio se gay, ma altre minoranze premono, come se un lettore andasse in libreria e domandasse: “Un libro dello Zimbabwe, grazie”. La Gran Bretagna si era proposta, entro il 2025, di pubblicare romanzi che riflettessero la composizione demografica del paese. Nello stesso tempo, i “lettori sensibili” vietano di caratterizzare i personaggi in base all’accento. Discrimina, quindi non si fa. Domanda: non si potrebbero licenziare, questi nemici della letteratura? No, dice Lionel Shriver: i dirigenti delle case editrici hanno dimenticato di avere potere. E di questi tempi il dirigenti sono spesso donne, che come gruppo – citiamo ancora la strepitosa scrittrice, una delle poche che ancora inventa trame e personaggi – “coltivano un disastroso desiderio di piacere”.