Cuori in piena
Il fiume che esonda e l'inarrestabile tormento della coscienza. Un libro
Nel nuovo romanzo di Alessio Torino c’è la paura di crescere e diventare grandi, alla conquista dell’identità. Attraversato da un’ideale tensione massima, si sviluppa sull’orlo di continui cortocircuiti narrativi
Di Corsi, adolescente romano che trascorre le estati a Pieve Lanterna, paese semi reale nell’entroterra marchigiano, avevamo apprezzato, dodici anni addietro, l’ardimentosa pietà in Tetano di Alessio Torino (minimum fax), ora ristampato negli Oscar Bestsellers. È la stessa voce che guida, in una tarda autoconfessione, Cuori in piena (Mondadori, 336 pp., 20 euro): il nuovo romanzo dell’autore urbinate, venato di violenze e gelosie da southern gothic con le sapide fanciulle del Benelux – le cugine Céline e Federica, nipotine di minatori –, il setter Asha ucciso da metaldeide (“veleno per lumache”), l’età del disincanto che preme sulla dorsale appenninica, simile alla “traversata di un gruppo spiritico di balene azzurre”. Il titolo, da vecchio e rugoso blues di Clarksdale, mette in relazione le esondazioni interiori e i momenti di gonfiore del fiume, il Burano (si pensi al recente nubifragio che ha coinvolto con numerosi danni la città di Cantiano, al quale l’autore fa cenno di sbieco), come fossero parti non dimidiate di un unico sortilegio. Se natura e coscienza coincidono, allora sull’altare dei giuramenti non possono che esser consacrate promesse difficilmente imponibili: quella che Corsi fa al padre Sebastiano, di non tuffarsi mai dalle scogliere di lancio delle Caldare nello stesso cono d’acqua che ha tirato giù per sempre Andrea, figlio di Arcangelo Gori.
Quest’ultimo, comprensibilmente sprofondato dentro se stesso “attraverso lo spazio e il tempo” (una discesa agli inferi), appicca – Zippo e benzina – il fuoco divoratore delle Furie, provocando una reazione a catena di misfatti. Corsi, intanto, assieme ai rustici compari Giorgio e Achille Spada, deve far fronte alle razzie della gioventù: oltre il calcinculo, il punching-ball, lo zucchero filato, le allegre orinate, e più mascolinamente oltre l’alcool, le risse e la scoperta dell’eros, le “atrocità che si fanno da ragazzi”, c’è un mondo in sgretolamento, in smottamento: c’è la paura di crescere e diventare grandi per davvero, superato il transito senza ulteriori spacconate, conquistata l’identità. “Nell’acqua si vedeva tutto come attraverso una lente. Persino le ombre doppie delle zampe degli insetti pattinatori che si stampavano sia sul filo della corrente sia sul fondale, come minuscole impronte di cani. C’erano alghe verdi e altre grigie. L’istinto mi portò a sporgermi con la testa per cercare il mio riflesso. Forse la parola ‘Caldare’ aveva subito smosso altre acque, quelle dentro di me”. Dal puro cerchio emerge soltanto la sagoma dell’essere accettati, di valere qualcosa per l’altro, quando l’umbratile e ostruito carattere campagnolo indica una chiusura più ermetica, un’impermeabilità di difesa. Ecco il sommerso legame con Tetano – il cui sogno era di superare la diga del Candigliano su una zattera –, il senso di una ricerca anche esistenziale, punteggiata dall’icona della Madonna del Leccio.
Ciò che si nota spesso nei romanzi di Torino (complice la sua dimestichezza con i classici) è la corsa a briglia sciolta verso un’ideale tensione massima, narrativamente preparata da fili di accadimenti ad alto voltaggio, sull’orlo di continui cortocircuiti: la diversità dei giostrai Bogdan e Brat (rivale in amore dell’io narrante), la claustrofobica e assertiva mentalità di provincia, e ancor di più l’intima, tribale vendetta che si nasconde tra gli argini, le aquile reali, le rose canine, le fitte siepi di lauroceraso, l’odore acre dei limoni. Restano a salvaguardia, come auspici per il futuro, il ponte romano mirabilmente intatto, i sedimenti scoperti del Giurassico e del Cretaceo, i fossili, il Lytoceras. Un cuore di corniola che aspetta ancora suo padre.
Universalismo individualistico