Pirateria libraria
Robert Darnton racconta la stampa clandestina dei testi seminali dell'illuminismo
Se il controllo della stampa era così rigoroso in Francia, come hanno fatto gli autori illuministi a divulgare il loro pensiero così efficacemente? Semplice, tramite la pirateria. L'origine della stampa per un pubblico di massa tramite la vendita di libri illegali stampati all'estero
Passeggiando tra i bouquinistes del lungo Senna e tra le librerie dell’usato del Quinto arrondissement, tra i Balzac e i Camus, i Queneau e i Pennac troviamo a pochi euro i tascabili, spesso sottolineati o un po’ rovinati, di Rousseau, di Voltaire, di Montesquieu e di Diderot. Li diamo per scontati. Questa bibliografia illuminista fa parte dell’educazione volontaria o involontaria di qualsiasi cittadino europeo. Eppure, mentre questi autori pubblicavano i loro libri nella Francia del secondo Settecento, o subito dopo la loro morte, non era automatico mettere mano su una copia della Nuova Eloisa o del Candido. La monarchia assoluta dei Luigi aveva un ben rodato sistema di censura, di controlli e di permessi sulle pubblicazioni. Tutto quello che potesse infastidire personaggi altolocati o minacciare la morale pubblica e il buon costume, o minare la base dell’assolutismo, ça va sans dire, non poteva uscire. Inoltre, la corporazione dei librai (che allora erano anche editori) funzionava come una burocratizzata mafia delle pubblicazioni. Quasi tutti si trovavano nel Quartiere latino, essendo nati all’ombra delle università, e si sposavano tra loro ereditando il privilegio di far uscire i testi e di venderli con l’approvazione del re. I librai di provincia li odiavano perché avevano una sorta di monopolio sul mercato editoriale ufficiale. Prima dell’epoca d’oro del romanzo, che sarebbe arrivata di lì a poco, la maggior parte dei testi che veniva stampata era di argomento religioso o di storia, oppure di scienza (soprattutto medicina).
Ma se nessuno in Francia stampava questi futuri classici del pensiero, come sono riusciti gli autori illuministi a essere così influenti, a portare ai fatti del 1789, a terrori, ghigliottine e napoleoni? La risposta è: pirateria. E non quella marittima del rum e delle bende sugli occhi, dei pappagalli sulla spalla e dei tesori sepolti sulle isolette, bensì la pirateria degli stampatori che pubblicavano senza autorizzazione i testi, per profitto e, rare volte, per ideale, e che li facevano arrivare tra le mani dei parigini. Nella sua ultima fatica, Editori e pirati, in uscita per Adelphi, il professore di Harvard Robert Darnton, scartabellando negli archivi, ha messo insieme le storie di questi editori pirati e dei tentativi di fermarli da parte delle autorità. Questi imprenditori si trovavano fuori dai confini francesi, in quella mezzaluna fertile tipografica che andava dall’Aia a Bruxelles, da Ginevra a Neuchâtel. Capivano cosa poteva vendere in certi ambienti francesi e stampavano e distribuivano illegalmente i libri, che costavano molto meno di quelli ufficiali. “Assolvevano un compito inedito nella storia dell’editoria: la produzione di libri a buon mercato per un pubblico di massa”.
Come ci insegnano anche le storie ben più recenti dell’Unione sovietica o della Cina, non è facile tenere fuori i libri dai regimi: la letteratura e le idee trovano il modo di penetrare e seminare fastidi per lo status quo, i libri riescono sempre a infilarsi tra le maglie delle dittature. Il bel testo di Darnton ce lo racconta con la sua solita erudizione nell’epoca che conosce meglio.
Non solo, troviamo alcune storie che ci fanno chiedere se sia giusto mitologizzare il passato. “Il mercato librario è in uno stato così pietoso, le vendite delle opere di valore sono così irrisorie, che non sappiamo più cosa fare. I buoni libri rimangono spesso in magazzino mentre quelli spregevoli trovano acquirenti”. Lo diceva Pierre-Frédéric Gosse, libraio dell’Aia della seconda metà del Settecento, ma si sente dire da molti addetti anche oggi, all’alba del settantasettesimo premio Strega.
Universalismo individualistico