L'intervista
Il Me Too? “Ha esagerato”. La jihad? “Pericolo fascista”. Carrère a ruota libera
“Ci sono studiosi che ritengono che il jihadismo abbia cicli ed esplosioni, come è successo in Francia. Può succedere ancora. Ma la cosa da temere di più sono i suprematisti bianchi”, dice lo scrittore francese autore di V13, il libro sulla strage del Bataclan
Abbiamo forse esagerato con il Me Too? Emmanuel Carrère non ha dubbi e risponde un secco sì al Foglio, senza pensarci più di tanto. “Oramai sta assumendo delle forme che a volte sono esasperate, direi. Ha portato comunque a delle rivoluzioni e se c’è una cosa di cui sono sicuro – ma immagino di non essere il solo – è che tutte le rivoluzioni taglino delle teste. Le rivoluzioni ci vogliono, sono necessarie”.
Siamo a qualche chilometro dal centro di Porto Cervo e uno dei pochi scrittori francesi capaci di mettere d’accordo intellos à la page come lettori dell’ultima ora ha appena ricevuto il Premio internazionale, un riconoscimento speciale nell’ambito del Premio Costa Smeralda 2023, organizzato e promosso dal Consorzio Costa Smeralda, presieduto da Renzo Persico con la direzione artistica di Stefano Salis. Dopo la vittoria, lo scorso anno, del Nobel per la Letteratura Orhan Pamuk, stavolta è toccato all’autore di bestseller come Limonov, L’Avversario e Il Regno, tutti pubblicati in Italia da Adelphi, così come l’ultimo V13, il suo racconto giudiziario relativo alla strage del Bataclan del 2015. “Sarebbe un’illusione pensare che fatti del genere non possano più accadere in futuro”, aggiunge lui, camicia verde oliva, jeans e mocassini senza calze. “Ci sono degli studiosi che ritengono che il jihadismo abbia dei cicli e delle esplosioni, come è successo in Francia pochi anni fa. Poi tutto si calma, ma è possibile che ricominci, non vedo il motivo per cui non possa. Una certa fase, quella del califfato, è finita, ma potrebbe essercene un’altra e c’è da avere paura, certo. Ma simmetricamente, la cosa da temere di più, sono per me gli attentati dei suprematisti bianchi”.
Carrère parla e risponde fissando il vuoto, considerando poco (almeno questa è l’impressione) chi ha davanti, perché prima di tutto e prima di tutti c’è lui. Io, io e io. Me myself and I, direbbe Ian McEwan, altro grande esperto del tema. Un francese a suo modo simpatico che indaga la natura umana e la dimensione psicologica, la vita interiore e la trama emotiva dei vari personaggi, veri o inventati, ma poi finisce col parlare sempre di sé stesso. Yoga – un altro suo libro di successo, in cui racconta del suo disturbo bipolare e dei quattro mesi passati nel reparto di psichiatria all’ospedale Sainte-Anne – ne è l’esempio più calzante. Dove comincia la follia “quando c’è di mezzo Dio” – scrive in V13 – e cosa ha in testa questa gente? “In genere – risponde a voce – si parte dall’idea che quello che hanno nella testa gli attentatori sia un mistero, ma durante i processi è venuto fuori che in realtà quelle persone avevano ben poco lì dentro. Erano e sono di un’ignoranza radicale, persino sul piano religioso, perché anche questo aspetto gli interessa poco. In loro c’è più che altro una forma di fanatismo e fanno tutto solo per un discorso politico di appartenenza, sono anche queste nuove forme di fascismo”. Non rischiamo forse di finire come nella favola di Esopo (“al lupo, al lupo”) chiamando tutto con quel termine?, gli facciamo notare, ma lui non si scompone più di tanto. “Il problema – dice – è la certezza del presente di avere sempre ragione. Tutto quello che c’era prima era oscurantista e ci appare come scandaloso. La domanda quindi è: che cosa del presente oggi ci sembra giusto e corretto, ma ci apparirà in futuro come scandaloso? Non possiamo saperlo adesso ma la domanda mi affascina, mi piacerebbe avere una risposta in tal senso”.
Non si dilunga sul fascismo, dunque, non dice la sua come potrebbe fare un Michel Houellebecq qualunque, “uno scrittore più famoso di me, un vero romanziere”, lo definisce, “un romanziere ottocentesco con una visione del mondo che è contemporanea”. “Io non scrivo di fiction, ma la forma che ho scelto è romanzesca. Mi piace raccontare insieme Tutta la bellezza e il dolore”, aggiunge, citando il titolo dell’omonimo documentario di Laura Poitras, vincitore l’anno del Leone d’oro a Venezia. “Non c’è in me una particolare fascinazione morbosa per il male, ma penso che per dare una visione ricca e complessa dell’esperienza umana, bisogna passare anche attraverso la sofferenza e l’infelicità”. “La lettura – precisa – aiuta. Il romanzo, comunque, non è morto e io continuo a leggerne. Non li scrivo, ma questa è un’altra storia. A farmi paura è più che altro l’intelligenza artificiale per colpa della quale la nostra vita subirà una metamorfosi. Potrei trovare un modo per affrontare questo argomento in un mio libro, ma al momento, se ci penso, mi sento come una gallina davanti alla macchina da scrivere”.