Musica e nobiltà.

In morte di Gioacchino Lanza, gran signore fra teatri e Gattopardi

Alberto Mattioli

Ripercorrendo la vita dell'erede di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Musicologo e laureato a Heidelberg, fu sovrintendente o direttore artistico di teatri illustri nonchè uomo di straordinaria eleganza, raffinatezza e cultura

"E’ sarcastico, è indolente, ha un’accesa curiosità per le cose intellettuali, è pieno di spirito, ha una grande cattiveria superficiale e una certa bontà fondamentale. Inoltre più di me, si vede da un miglio di distanza che è un ‘signore’. Insomma, mia moglie ed io ne siamo pazzi”. Lampedusa su Lampedusa: chi descrive è Giuseppe Tomasi, chi è descritto Gioacchino Lanza, il figlio adottivo, l’ispiratore di Tancredi, morto a Palermo, a 89 anni. Gioacchino Lanza Branciforte Ramirez era nato nel 1934, terzo figlio del senatore Fabrizio Lanza Branciforte Ruffo, conte di Mazzarino e di Assaro, e di Conchita Ramirez Camacho, figlia di Venceslao marchese di Villa Urrutia: e come si vede siamo già in zona Gattopardo. Gioacchino conobbe il principe tramite il barone Pietro Sgàdari di Lo Monaco (sì, sembrano nomi appunto da romanzo, ma sono tutti veri), per gli amici “Bebbuzzo”, critico musicale del Giornale di Sicilia. E iniziò a frequentarlo all’inizio degli anni Cinquanta, insieme con un gruppo di giovani amici intellettuali, per seguire le lezioni di letteratura e di storia che Giuseppe dispensava a casa sua, chiaramente en amateur (diventate poi il bellissimo saggio sulla Letteratura inglese, pubblicato postumo nel 1990). Gioacchino piacque subito al principe e a sua moglie, cui pure non piaceva quasi nessuno: Alessandra Wolff detta Licy, una baronessa baltica che fu la pioniera della psicanalisi in Italia e, per inciso, era la figlia di Alice Barbi, un incredibile mezzosoprano di Modena che divenne la liederista prediletta di Brahms (l’altra figlia, Olga, fu la madre di Boris Biancheri). 

 

Giuseppe Tomasi, che di figli non ne aveva avuti, pensava da tempo di adottarne uno. Pensò prima a Giuseppe, unico cugino da parte di padre, che però morì giovane. Allora considerò un altro cugino, Alvaro Caravita. Ma la visita che i Caravita fecero ai Lampedusa a Palermo, nel 1950, non fu un successo. Secondo la biografia di David Gilmour, L’ultimo Gattopardo, l’atmosfera si guastò quando Licy offrì al piccolo Alvaro dei cioccolatini “ormai bianchi tanto erano vecchi”. “Dovrei permettere che mio figlio sia adottato da gente che offre dolci simili?”, disse la madre del ragazzo, e l’idea morì lì. Ma poi comparve Gioacchino che, sempre secondo il Principe, aveva “proprio l’età che avrebbe avuto il nostro primogenito, se ci fosse nato”. Tre giorni prima del Natale del 1956, l’adozione era cosa fatta: Licy regalò a Gioacchino un orologio d’oro, suo marito una scatola di biglietti da visita intestati al duca di Palma, il titolo dell’erede dei Lampedusa. Poi bevvero champagne. Giuseppe Tomasi morì il 23 luglio seguente.
 

 

Gioacchino scelse la musica, verso la quale Giuseppe aveva un atteggiamento contraddittorio ma sempre parlandone con sarcasmo: la melomania compulsiva di Stendhal, per lui, era “un difetto di gusto”. Tant’è: musicologo, laureato a Heidelberg, Lanza fece una bella carriera accademica e dirigenziale nei teatri italiani, sempre in area Pci. Fu sovrintendente o direttore artistico all’Accademia Filarmonica romana, al Massimo di Palermo, all’Opera di Roma, al Festival di Taormina, alla Rai di Roma, al Comunale di Bologna, con gran finale al San Carlo di Napoli, dal 2001 al 2006. Fu anche direttore dell’Istituto italiano di cultura di New York. I suoi interessi erano indirizzati soprattutto al teatro musicale, specie Bellini e Wagner, un binomio molto siciliano (ma c’è anche un suo bel saggio sull’Ernani di Verdi). Al padre adottivo dedicò due libri discreti, educati e piacevolissimi, editi ovviamente da Sellerio: Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Una biografia per immagini nel 1998 e I luoghi del Gattopardo, nel 2001, come se di lui preferisse che parlassero le fotografie più che le parole. Uomo affascinante, coltissimo, elegantissimo, quando lo si sollecitava su Lampedusa la sua conversazione diventava allusiva e divagante, molto siciliana, o almeno così capitò con me. Al di là di tutto era, scusate la parolaccia, un gran signore: Giuseppe aveva visto giusto.

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