polemiche inutili
Un atto politico contro la stupidità: Schlein vada da de Benoist al Salone del libro
Scatenare strumentalmente un caso al giorno contro la destra al governo d’Italia, spesso senza riflettere, forse non è il migliore viatico per sconfiggerla. La segretaria del Pd ci pensi
L’editore Francesco Giubilei, che è un collaboratore del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, porta un libro di Alain de Benoist, “La scomparsa delle identità”, al Salone del libro di Torino. La notizia è stata accompagnata da alcune polemiche sui giornali, anche sulla Stampa: non bisogna, de Benoist è putiniano, è amico di Dugin, Meloni ne prenda le distanze... Ora, come diceva anche Paolo Mieli ieri mattina con Simone Spetia a Radio24, questa polemica è al confine con l’assurdo. E’ mai possibile che in questo strano paese qualsiasi oscuro professorucolo minchioneggiante possa andare in tv a fare propaganda filorussa avendo “cartabianca” di dire sciocchezze a getto continuo, mentre un grande intellettuale francese, l’ottuagenario ispiratore della nouvelle droit, che incidentalmente fra le tante altre cose è anche filo russo, non possa andare al Salone del libro? De Benoist ha delle opinioni sull’Ucraina e sulla guerra di Putin che sono agli antipodi di quelle del Foglio e di qualsiasi liberaldemocratico. Ma ridurre la sua figura a “amico di Dugin” è un po’ come se per descrivere Gramsci si dicesse che era un “amico di Berija”.
Alain de Benoist non è un colorito personaggio del sottosuolo televisivo, composto di mattocchi no vax e sostenitori del regime russo. Non è nemmeno un iscritto al bislacco comitato DuPre di Carlo Freccero. Egli è dal 1970, almeno, il pensatore che ha tolto i detriti del Novecento alla destra, sorprendendo la sinistra che lo ha letto e studiato. E non a caso, infatti, è un intellettuale che nel suo paese mai ha votato Le Pen, sia padre sia figlia. Mai ha ceduto al populismo, aprendo anzi un confronto polemico, sapido, profondo, con il liberalismo diventato nel frattempo, secondo lui, un’ideologia e non più una prassi della politica. E’ stato un allevatore di generazioni di eretici, De Benoist. L’aver pensato di poter scatenare contro di lui istinti da censura, al Salone del libro, è un po’ come se domani qualcuno chiedesse di togliere il ritratto di Giorgio Napolitano dalla galleria dei presidenti al Quirinale perché durante l’invasione d’Ungheria questo gran vegliardo era dalla parte dei carri armati sovietici. O come se qualcuno volesse proibire la pubblicazione dell’Unità perché alla morte di Stalin aveva titolato: “E’ morto il padre dei popoli”.
Scatenare strumentalmente un caso al giorno contro la destra al governo d’Italia, spesso senza riflettere, forse non è il migliore viatico per sconfiggerla. Alla fine non si vince perché si fa più rumore, ma perché si hanno più idee e magari migliori. Chissà che domenica prossima, a Torino, ad ascoltare de Benoist non ci vada anche Elly Schlein. Sarebbe il suo primo vero atto politico. Contro il tafazzismo inintelligente.