Noi e il senso di vuoto. Cosa insegnano all'Italia i 150 anni di Manzoni
Un autore "impareggiabile nel descrivere la presenza del male e della corruzione nella storia umana". La sua "voce alta e ispirata" ci dà conforto nella "carenza di riferimenti ideali, che caratterizza il mondo in cui viviamo". L'intervento del presidente onorario della Fondazione Centro nazionale Studi manzoniani
Pubblichiamo un estratto dell’intervento pronunciato oggi, lunedì 22 maggio, a Milano, in occasione della giornata di celebrazioni per i 150 dalla morte di Alessandro Manzoni, dal professor Giovanni Bazoli, presidente onorario della Fondazione Centro nazionale Studi manzoniani.
Alessandro Manzoni visse sessant’anni in questa casa che fu testimone di affetti, gioie e dolori, ma anche laboratorio di pensiero e di altissime intuizioni poetiche. Manzoni è tradizionalmente collocato Nel “canone” della letteratura italiana in posizione centrale accanto a Dante, perché la sua opera ha contribuito in modo decisivo alla costruzione e alla diffusione della lingua italiana. E la lingua è stata un fattore decisivo per l’unificazione nazionale. I promessi sposi è il grande romanzo storico, modello per eccellenza della lingua unitaria, su cui generazioni di italiani hanno imparato a scrivere e a pensare. Quasi una Bibbia laica, in cui si sono riconosciuti o comunque specchiati italiani di ogni livello sociale e di ogni fede. Qui, in questa casa, un emozionato Giuseppe Verdi incontrò il 30 giugno 1868 l’Autore da lui ammirato e quasi venerato, al quale avrebbe poi dedicato l’immortale Requiem. Manzoni è stato una figura di riferimento in diverse fasi della nostra storia nazionale. (…)
Intendo qui richiamare l’attenzione sulle circostanze e le ragioni che sembrano invece indicare il riattivarsi di un interesse, tanto letterario quanto civile e morale, nei confronti dell’opera manzoniana. Questo riemergere, dopo un lungo scorrere carsico, dell’attenzione per Manzoni è una novità del tutto recente. L’occasione è stata il drammatico frangente della pandemia. Era il 26 febbraio 2020 quando, a lockdown non ancora proclamato, il preside di un liceo scientifico milanese, primo fra tutti, scriveva una lettera ai propri studenti invitandoli a leggere Alessandro Manzoni, nello specifico i capitoli 31 e 32 dei Promessi sposi: “In quelle pagine”, avvertiva, “c’è già tutto: l’idea della pericolosità degli stranieri, lo scontro violento tra le autorità, la ricerca spasmodica del cosiddetto paziente zero, il disprezzo per gli esperti, la caccia agli untori, le voci incontrollate, i rimedi più assurdi, l’emergenza sanitaria”.
Anche in questo caso, come nel Seicento manzoniano, Milano è stata un “avamposto” di sofferenza duramente colpito da un nemico invisibile. In una situazione così drammatica quel preside ha saputo subito individuare nella letteratura, e nella scienza, degli indicatori di rotta per attraversare la tempesta.
E’ dunque nell’Italia ferita dal Covid che Manzoni ritrova molti dei cosiddetti “lettori comuni”, che lo riscoprono come patrimonio proprio. In effetti, Manzoni è impareggiabile nel descrivere la presenza del male e della corruzione nella storia umana. “Un senso di catastrofe universale” aleggia in tante pagine dei Promessi sposi – anche se le rappresentazioni più crude si trovano nel Fermo e Lucia, opera di più marcata impostazione giansenista – “coinvolgendo non solo le colpe degli uomini, nelle disgrazie e nei lutti che portano con sé, ma persino la natura” (Bàrberi Squarotti).
L’editoria, antenna pronta a captare i segnali della contemporaneità, ha percepito questa nuova attenzione a Manzoni e, complice la scadenza dell’anniversario della scomparsa, ha ristampato significativi testi del passato e ha pubblicato opere di nuovi autori non appartenenti all’accademia, né alla cerchia degli addetti ai lavori letterari. Inoltre la recente pubblicazione in America della nuova traduzione dei Promessi sposi, costata più di dieci anni di lavoro a Michael Moore, già traduttore di Primo Levi, è stata salutata con ammirazione dalla critica d’oltreoceano, Wall Street Journal compreso, e ha prodotto la nascita on line di circoli di lettura del romanzo.
Questo è ciò che sta accadendo: l’uomo d’oggi sente nuovamente il bisogno di conoscere gli esiti – quelli poetici e quelli esistenziali, quelli risolti e quelli problematici – della grande ricerca che ha occupato l’intera vita di Manzoni e che è al centro della sua opera: la ricerca sulla giustizia e sulla storia umana, cioè sulla giustizia che non si realizza nella storia umana. Detto in termini estremi: la giustizia terrena considerata “impossibile”.
Un pessimismo che Manzoni ha espresso in modo radicale nella “Storia della colonna infame”. (…) La presenza del male nella storia umana (storia “grande” dei popoli e storia “piccola” dei singoli), ossia del predominio dei forti e malvagi sugli umili e sugli onesti, è al centro delle riflessioni di Manzoni ed è anche il filo conduttore, quasi assillante, del romanzo. Ma il pathos di questa meditazione è accresciuto enormemente dall’interrogativo sulla conciliabilità di tale condizione umana con la fiducia nella Provvidenza divina.
La presenza del male nel mondo impone infatti al credente di riflettere non solo sulla giustizia umana ma anche su quella divina. In Manzoni troviamo a questo riguardo parole terribili (altro che prudenza e calcolo, altro che il campione di retorica apologetica!). Il “mite” Manzoni leva questo grido: “Il pensiero si trova con raccapriccio condotto ad esitare tra due bestemmie che son due deliri: negare la Provvidenza o accusarla”.
La grandezza di Manzoni si manifesta proprio nel fatto di indagare il male e l’ingiustizia nella storia da due opposte visioni: quella “laica” e razionale (pessimista, quasi disperata) e quella religiosa (che concepisce la Provvidenza come un ordine universale che ricomprende il tempo e l’eternità). L’itinerario tormentato di Manzoni sfocia in un mistero in cui possono riconoscersi credenti e non credenti. Ritornando in questa casa avvertiamo il conforto di una voce alta e ispirata, che ci aiuta a superare il senso di vuoto, per la carenza di riferimenti ideali, che caratterizza il mondo in cui viviamo.