Contro i sensitivity reader
Kureishi e la scrittura che deve spaventare, insultare e farci tirare i libri contro i muri
Si preoccupano che il loro lavoro possa essere condannato per sessismo, razzismo, appropriazione culturale e così via: questa è l’ansia per i giovani scrittori. Pubblichiamo un tweet di Hanif Kureishi, postato domenica 21 maggio. Fa parte dei “dispacci dal letto di ospedale”
Questo tweet fa parte dei “dispacci dal letto di ospedale” di Kureishi, ricoverato a Roma dopo un incidente
MALEDUCATO
Ho avuto la fortuna all’inizio di questa settimana di ricevere una visita, qui a Roma, di un’ex studentessa cresciuta in Nigeria che sta lavorando a un romanzo ambientato lì. Ho letto solo l’inizio del libro e non sono riuscito a leggere altro.
(Al momento non riesco a leggere molto perché non ho capito come scorrere i documenti senza l’aiuto di Isabella). A ogni modo, dopo che la studentessa aveva scritto una parte considerevole del libro, ha deciso di mostrarlo non a un editor, a un amico, a un editore o un agente, ma a un cosiddetto sensitivity reader. Era preoccupata del fatto che il suo lavoro fosse politicamente corretto o considerato offensivo da alcuni o altri lettori; era preoccupata che il libro non riuscisse nemmeno ad arrivare a un agente, figurarsi a un editore. Questa è una tendenza che ho notato con altri studenti e anche con le case editrici: si preoccupano che il loro lavoro possa essere condannato per sessismo, razzismo, appropriazione culturale e così via. Questa è l’ansia contemporanea per i giovani scrittori di oggi.
Alcune persone sono eccitate dal potere di controllare la parola e le libertà degli altri. C’è un elemento della sinistra che esplode di ipocrisia aggressiva ed è puritano e controproducente. Gli scrittori che preferisco, quelli con cui sono cresciuto, sono quelli selvaggi, quelli dementi, quelli maleducati che se ne fregano. Posso fare alcuni nomi, soltanto una manciata: Shakespeare, Dostoevskij, Plath, Rhys, Celine, Burroughs, Miller, Baldwin. Potrei aggiungerne molti altri e sarebbe un elenco di alcuni dei nostri più grandi e ammirati scrittori. Sono artisti che scrivono senza paura o inibizione; scrittori che possono o meno essere offensivi per qualcuno, scrittori che sono stati condannati o addirittura perseguiti per il loro lavoro. Pensate a che cosa ha passato il grande Salman Rushdie in nome della libertà di parola. La fatwa, nel febbraio 1989, fu la prima volta che mi resi conto che attaccare istituzioni e regimi tiranni potesse portare a conseguenze nella vita reale. So che dopo la fatwa alcuni scrittori hanno avuto paura di parlare liberamente della versione politicizzata dell’islam, o anche dei musulmani in generale.
Deve essere parte del lavoro dello scrittore essere offensivo, bestemmiare, oltraggiare e persino insultare. Credo che Kafka dica in uno dei suoi taccuini che “l’arte dovrebbe essere un’ascia per frantumare il mare ghiacciato dentro di noi”. L’arte non dovrebbe essere sicura o compiacente; dovrebbe spaventare, allarmare e farci desiderare di lanciare il libro dall’altra parte della stanza. Non voglio vivere in un’atmosfera di paura e inibizione in cui gli scrittori hanno paura di esprimere il loro vero io per timore di offendere qualcuno. E’ compito dei grandi scrittori capovolgere il mondo, presentare opinioni che vanno contro le tendenze dominanti. Non è nostro compito compiacere ma sfidare, farci pensare in modo diverso ai nostri corpi, alla nostra sessualità, alla politica e alle norme.
Questi scrittori avrebbero superato il test oggi quando si tratta di politicamente corretto? Cosa avrebbe fatto un sensitivity reader del lavoro di D.H. Lawrence o di William Burroughs? Una delle cose che ho notato nei miei studenti è che sono già inibiti. Un mio studente ha scritto un buon thriller dal punto di vista di una lesbica americana promiscua ed è stato massacrato dal suo tutor soltanto per essersi azzardato a scrivere da quel punto di vista. Come aveva potuto anche solo immaginare per un momento di essere americano, figuriamoci di essere una lesbica? Lo scrittore si è poi ritrovato in un terribile groviglio su chi può scrivere cosa e da quale prospettiva. Ha riscritto il libro e ha peggiorato le cose perché gli è stato fatto credere che stesse commettendo un crimine letterario entrando nella mente di qualcuno diverso da lui. Quando ho iniziato il mio primo romanzo, “Il Budda delle periferie”, ero determinato a scrivere il libro con quanta più disinibizione e libertà possibili. L’avrei reso osceno e divertente come sentivo che fosse la mia mente. Non mi tratterrei né esiterei a dire qualcosa che sento veramente. Il mio compito non era scioccare in modo deliberato, ma raccontare una storia nel modo più candido possibile.
Prima di questo, ricordo quando, nei primi anni Ottanta, lavoravo alla sceneggiatura di “My Beautiful Laundrette” con il mio amico regista Stephen Frears. Stephen non era entusiasta di come si stava sviluppando la sceneggiatura, e la sua nota per me quando riniziai le riscritture era di renderla “più oscena, oltraggiosa scioccante”. Mi sentii liberato dalle sue osservazioni e questa sceneggiatura è stata la prima cosa che ho sentito di aver scritto con la mia voce, una cosa che era veramente mia. Mi chiedo che cosa avrebbe fatto un sensitivity reader con questi miei primi lavori – “My Beautiful Laundrette”, “Sammy e Rosie vanno a letto”, “The Black Album” e “Nell’intimità” – e quale carneficina sarebbe avvenuta; mi chiedo se ce l’avrei avuta adesso una carriera. Sono sollevato di non essere un giovane scrittore che lavora oggi in questa atmosfera di imbarazzo e trepidazione, questa Corea del nord della mente. Il “Budda” è pieno di insulti razziali e di un linguaggio osceno e politicamente scorretto, essendo scritto dal punto di vista di un ragazzo volgare di razza mista di diciassette anni. Il mio figlio più giovane, che ha ventiquattro anni, mi racconta in che ambiente di apprensione e riserve vive quando si tratta di esprimersi e di creatività. Non dimentichiamo che l’insulto può essere indice di amicizia e ammirazione; che ci chiamiamo stronze e pezzi di merda per affetto più che per crudeltà.
Credo che questo comportamento eccessivamente corretto sia stato creato dalla destra per farci sembrare sciocchi e meschini, noi liberal e di sinistra, con le nostre sciocche dispute sul linguaggio e sui punti di vista. Il lavoro di quelli di noi che sono all’opposizione non è combattere tra di noi, ma creare un mondo in cui non ci siano disuguaglianze o razzismo strutturale. Il nostro compito non è fornire carburante alla destra con i nostri piccoli disaccordi, ma continuare, come artisti coraggiosi e audaci a spingerci oltre i confini di ciò che si può dire e pensare.
Hanif Kureishi