La moda a teatro
Il laboratorio del sogno
Al Festival di Spoleto il primo progetto di edu-tainment diffuso sul costume. Laboratori artigianali aperti al pubblico con la guida di costumisti e stilisti, incontri e una mostra per la nuova produzione del “Pelléas et Mélisande” diretto da Iván Fischer
Il 9 maggio 1893, un articolo molto elogiativo di «L’Echo de Paris» annuncia la prima rappresentazione del «Pelléas et Mélisande» di Maurice Maeterlinck per la produzione di Aurelien Lugné-Poe al Théâtre des Bouffes Parisiennes. Lo spettacolo si terrà il 17 maggio, fra poche recensioni entusiaste e parecchie ironie. Molti si attardano stupefatti sulla scenografia essenziale, creata da Paul Vogler, e i costumi «concepiti nella stessa gamma di colori del décor, con i personaggi vestiti in nero, marrone scuro, grigio, giacinto, verde pallido», ad eccezione di Mélisande che «porta un costume color crema». Nessuno mostra entusiasmo per il dispositivo scenico che solo molti anni più tardi si rivelerà precursore della teatralità moderna. Il Simbolismo è infatti primo movimento letterario, e quindi artistico e drammaturgico, a ipotizzare, e a mettere in scena, l’arte totale. Si trattava di un modello di drammaturgia e di rappresentazione distante sia dalla pratica consolidata della scena ottocentesca, sia dalle nuove tendenze naturalistiche che, da pochi anni, si stavano affermando a Parigi per opera del Théâtre Libre di André Antoine.
Come scrive nel suo saggio del 1975 Mariangela Mazzocchi Doglio, a queste opere drammatiche che rimasero spesso nei limiti della ricerca e della sperimentazione, “va tuttavia il merito di aver iniziato un discorso di rottura dei canoni tradizionali del teatro e di aver preparato la base culturale alla spinta innovativa che verrà realizzata alcuni anni più tardi dai Ballets Russes e da Stanislavskij, dal Vieux-Colombier e da Antonin Artaud, da Gordon Craig e da Appia”. Ed è altrettanto sperimentale il progetto sviluppato da Fabiana Giacomotti che, attorno al “Pélleas et Mélisande” messo in musica da Claude Debussy e portato in scena per la prima volta nel 1902 dopo una gestazione di quasi dieci anni, il Festival di Spoleto realizza quest’anno a corollario del nuovo allestimento dell’opera con la direzione della Ivan Fischer Orchestra e i costumi di Anna Biagiotti. Articolato in tre diversi momenti, il progetto prevede una piccola mostra comparativa di costumi delle rappresentazioni di “Pélleas et Mélisande”, provenienti dai principali musei teatrali nazionali e realizzati designer italiani e stranieri, che saranno esposti dal 24 giugno al 9 luglio nel foyer del Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti, una mattinata di studio nella grandiosa “Sala XVII settembre” del teatro, dedicata a professionisti e scuole di costume e teatro con il coinvolgimento della produzione dell’opera, i responsabili del «sistema costume e mostre» del Festival e costumisti e i designer di moda-costume come Arthur Arbesser (suo, fra gli altri, un meraviglioso “Cavaliere della Rosa” all’Opera di Berlino del 2019), il costumista da Oscar Massimo Cantini Parrini, il direttore del Polimoda Massimiliano Giornetti, la stilista Raffaella Curiel, grande interprete della narrativa teatrale nella moda. A questo momento formativo seguirà ogni sabato (cioè 24 giugno, 1 luglio, 8 luglio) una serie di laboratori nel Complesso Monumentale di san Nicolò, su iscrizione, aperti al pubblico, per apprendere il valore del costume nel rapporto fra testo e musica e imparare a creare un facile costume/accessorio di scena che poi potranno portare con sé. Il progetto, pur su basi e materiali di altissima qualità, è sviluppato in una logica di upcycling: pellami, tessuti pregiati, cuoio, sono infatti sfridi, rimanenze, ritagli dei processi di lavorazione dei capi e degli accessori dell’alta moda, e provengono dalla fabbrica di Ermanno Scervino, dell’Archivio prototipi di Lineapelle, che grazie al suo amministratore delegato Fulvia Bacchi ha realizzato le scarselle, molto nei-rinascimentali cioè primi Novecento, che si potranno finire di cucire e decorare in laboratorio, il consorzio Cuoio di Toscana che ha fornito speciali forme di design da trasformare in sautoir o cinture.
Sulle numerose rappresentazioni dell’unica opera di Debussy, fino a oggi si sono cimentati molti costumisti, uno per tutti Pier Luigi Pizzi con un favoloso allestimento per la Fenice, realizzato da Tirelli, che faceva propria la tradizione nel tessuto di Maria Gallenga, il duo Barbe&Doucet con una messinscena curata dal Regio di Parma due anni fa, una designer nota per le sperimentazioni fra musica e moda, Iris Van Herpen, che venne affiancata da Marina Abramovic nelle scene e Christian Lacroix, il cui spettacolo, scrive dalla casa di Arles, è ancora in tournée a sette anni dal debutto, in una ricca co-produzione fra il Théatre des Champs Elysées di Parigi, l’Opera di Dijon e il Capitole di Toulouse. Questo progetto, raccontano, rientra nella strategia di valorizzazione del patrimonio storico di costumi, immagini e documenti del festival sviluppato dal 2021 dalla direttrice artistica Monique Veaute e dalla direttrice amministrativa e organizzativa Paola Macchi, con il supporto organizzativo di Monica Trevisani. In questi anni, Veaute e Macchi hanno fatto un imponente lavoro di agnizione e recupero del patrimonio dei circa 3mila costumi della manifestazione, che abbracciano un arco temporale dai primi anni Sessanta agli anni Duemila. I costumi «riscoperti» e in buona parte restaurati sono stati esposti a più riprese in una mostra diffusa che ha coinvolto i palazzi storici, i musei e i principali alberghi della città.