il libro
La Storia in bilico sul galeone di Francis Drake, “segugio” della regina Elisabetta
Quante volte nella vita di uno storico si scoprono documenti inediti? È successo a David Salomoni con le testimonianze di Nuno da Silva, il pilota che guidò il famigerato corsaro inglese nel Pacifico. La sfida all'impero spagnolo raccontata in un libro
"'Sentito parlare!’ esclamò il conte. ‘Sentito parlare, voi dite! Era il più sanguinario bucaniere di tutti i mari. Barbanera era un bimbo al confronto. Gli spagnoli avevano di lui una paura così sconvolgente che, lo confesso, a volte mi sentivo orgoglioso che fosse inglese’”. Così parlava il conte Trelawney a proposito del pirata Flint nell’Isola del tesoro di Robert Louis Stevenson. Una buona sintesi dell’orgoglio imperiale inglese, alimentato dal dominio sui mari per più di due secoli. Se la madre di questa talassocrazia è Elisabetta I, i padri sono i sea dogs della regina, e la storia del più temuto “segugio” è raccontata in Francis Drake. Il corsaro che sfidò un impero (Laterza, 256 pp., 20 euro), dello storico David Salomoni. Il libro prende piede da una scoperta come ne accadono poche nella vita di uno storico: il ritrovamento di un documento nuovo, il primo su Drake a distanza di sessant’anni. Si tratta della testimonianza di Nuno da Silva, il pilota portoghese rapito dal corsaro per farsi guidare nel Pacifico, rilasciata a Madrid nel 1583 davanti al Consiglio delle Indie, il più importante organo amministrativo dell’impero coloniale spagnolo. Dopo la liberazione, per da Silva iniziò un’odissea giudiziaria che lo portò anche al cospetto dell’Inquisizione, fornendo ai posteri, con le sue deposizioni, il materiale per ricostruire le sanguinarie imprese e le esplorazioni di El Drac – primo inglese a circumnavigare il globo fra il 1577 e il 1580.
Drake, a differenza dei pirati di Stevenson, “semplici” fuorilegge, era appunto un corsaro: un comandante in possesso di una “lettera di corsa”, il documento con il quale la corona autorizzava i privati ad attaccare le navi asburgiche e tenere per sé una parte del bottino. L’interesse che Salomoni è capace di accendere nei confronti di un personaggio così lontano sta prima di tutto nell’indagine sulle sue origini: certo, la predazione delle ricchezze del Nuovo Mondo era un motore potentissimo, ma non l’unico. Lo spessore dei protagonisti della prima modernità come Drake sta nell’inestricabile intreccio di scopi materiali e motivazioni “ideologiche”: la Spagna non è solo sovrana di appetitose colonie in America, ma è anche la campionessa della Controriforma, e come il conflitto aperto fra Filippo d’Asburgo ed Elisabetta Tudor sarà in primis guerra di religione, questo aspetto fu rilevante anche nella vicenda di personaggi all’apparenza mossi solo dalla fame di ricchezze. Drake in particolare era figlio di un predicatore antipapista e la componente religiosa fa scrivere a Salomoni di una sua vera e propria “guerra privata contro la Spagna”. Un episodio su tutti: in una delle scorrerie lungo il Camino Real, il percorso delle merci spagnole presso l’istmo di Panama, gli inglesi sono raggiunti da Guillaume Le Testu, un ugonotto che “si presentò al corsaro portandogli in dono la spada posseduta dall’ammiraglio Gaspard de Coligny. Il capo dei protestanti francesi era da poco stato barbaramente assassinato nel suo letto durante la strage di San Bartolomeo. (…) Drake aveva adesso un motivo in più per depredare l’oro e l’argento spagnolo”. Per tornare poi al contraddittorio intreccio di avidità e fervore religioso, la stessa spada diventerà più avanti, nonostante il valore simbolico, una merce di scambio con il capo dei cimarrons, i ribelli che vivevano ai margini delle colonie spagnole.
Il fascino degli arrembaggi, della navigazione in tempesta, della sete di “canoscenza” traspare nella scrittura di Salomoni, limpida ed evocativa. Ma, oltre al diletto specifico delle storie di mare, c’è in queste pagine anche un insegnamento sulla libertà e la contingenza che dovrebbe essere imprescindibile per un ragionato racconto della storia. Eppure, in questi tempi di passioni geopolitiche, l’autore ritiene giusto “avvertire il lettore che, forse, faticherà talvolta a trovare una logica, una consequenzialità, nell’agire dei protagonisti. Com’è stato ripetuto spesso in questi mesi, i conflitti tra potenze sono sempre sottesi da logiche complesse, benché perlopiù congruenti; addirittura, si è detto, ricorrenti. La storia e la vita, però, insegnano che la coerenza non è una categoria dell’agire umano, salvo forse rari casi (con esiti ancor più raramente felici)”.