Il colloquio
Cormac McCarthy: "Io, mio figlio e la strada"
Nascita di un capolavoro. L’apocalisse e una storia semplice. “Non so cosa sia Dio, ma prego”. “Ho sempre saputo che non volevo lavorare”. L’intervista quasi impossibile di Oprah Winfrey allo scrittore americano: era il 2007
Martedì 5 gennaio 2007 Oprah Winfrey, conduttrice di uno dei più famosi e ambiti talk-show d’America, era finalmente riuscita, dopo numerosi tentativi andati a vuoto, a intervistare Cormac McCarthy. Il Foglio, due giorni dopo, pubblicava la trascrizione quasi integrale del dialogo tra i due.
Oprah Winfrey. Bene, ecco un’intervista che tutti avrebbero ritenuto impossibile. L’intervistato è una persona notoriamente riservata, che si rifiuta di parlare pubblicamente di sé o del suo lavoro. In quarant’anni di carriera ha concesso soltanto due interviste a giornali, e non si è mai lasciato intervistare alla televisione. Ma dopo aver letto “The Road” del leggendario Cormac McCarthy, mi sono detta: ora gli telefono. Ma tutti mi dicevano che non avrebbe mai accettato. Così l’ho chiamato e gli ho detto: “Signor McCarthy, sono Oprah Winfrey”. Lui ha risposto: “Oh, salve Oprah”. Io gli ho detto che avevo letto il suo libro e che volevo intervistarlo. Lui ha risposto che non l’avrebbe mai fatto. Gli ho parlato ancora per qualche minuto e poi gli ho rinnovato l’invito. Lui mi ha detto: “Va bene, ci penserò”. E io ho aggiunto: “Okay, ti do quarantotto ore e poi ti richiamo”. E quando l’ho richiamato mi ha detto che accettava. Dunque, prima che incontriate Cormac McCarthy, voglio raccontarvi qualcosa di “The Road”. Chi lo ha letto, sa già che si tratta di un capolavoro. E’ una storia di sopravvivenza che si svolge in un’America post apocalittica. Provate a immaginarla. Beh, io non ci riuscivo, e proprio per questo ho deciso di leggere il libro. La lettura di questo libro farà cambiare profondamente il modo in cui guardate la vostra vita, ciò che è per voi più importante e la vostra idea del mondo in cui viviamo. Che cosa succede quando il peggiore incubo di un uomo diventa realtà?
Lettore. Gli orologi si sono fermati alla 1.17, una lunga scia di luce e poi una serie di piccole scosse.
OW. “The Road” si svolge in un momento in cui la vita sulla terra è stata quasi completamente distrutta. Il sole è velato da un cielo perpetuamente grigio. Uno strato di fuliggine e di cenere copre ogni cosa. Nel mezzo di tutto ciò, un padre e il suo giovane figlio camminano lungo una strada. A ogni angolo si nasconde un incerto futuro. La sola missione del padre: fare in modo che suo figlio rimanga vivo.
Lettore. Sapeva solo che il bambino era la sua garanzia. E disse: se lui non è la parola di Dio, allora Dio non ha mai parlato.
OW. Un ammonimento, una favola, una storia d’amore; “The Road” è un romanzo che vi terrà legati alla sedia dalla prima all’ultima pagina. Sì, proprio così. Quando Cormac McCarthy ha accettato di concedere questa intervista, gli ho detto che non sarebbe durata più di un’ora. Poi, prima che cambiasse idea, sono andata subito in New Mexico e l’ho incontrato nella sua casa lontana da casa, la biblioteca dell’Istituto di Santa Fe, un think-tank di persone intelligenti, dove McCarthy passa con piacere molto tempo.
* * *
OW. Beh, devo dire che lei è proprio come nella foto pubblicata sul retro della copertina.
Cormac McCarthy. Sì; non so se sia un bene o un male.
OW. E’ un bene.
CMC. Sì.
OW. Grazie per avere accettato questa intervista.
CMC. E’ la prima volta per me.
OW. Perché non l’ha fatto fino a ora?
CMC. Beh, non penso che sia una cosa buona per la propria testa. Voglio dire, se si passa molto tempo a pensare come scrivere un libro, probabilmente non si dovrebbe parlarne. Bisogna limitarsi a scriverlo.
OW. Oh, davvero?
CMC. Sì, questa è la mia sensazione.
OW. Non si tratta invece di una certa avversione nei confronti dei media e di altre cose del genere?
CMC. No, no, no.
OW. Sicuro che sia proprio così?
CMC. Certo. Tu cammini sul tuo lato della strada e io sul mio.
OW. Cormac McCarthy è considerato uno dei più grandi scrittori americani viventi. Nel corso degli ultimi quarant’anni McCarthy ha scritto dieci romanzi. Il suo best seller, “All the Pretty Horses”, ha vinto il National Book Award e ne è stata fatta una riduzione cinematografica. Ha sempre saputo di essere uno scrittore?
CMC. E’ difficile rispondere. Quando ero bambino avevo l’abitudine di scrivere. Quando poi sono diventato ragazzo, in realtà non facevo più nulla.
OW. Ha la passione della scrittura? Quando parlo agli studenti, dico di seguire la propria passione perché, indipendentemente da quello che ti porta, significa compiere la propria missione nella vita…
CMC. Certo.
OW. Sta lì il premio, la ricompensa. Dunque ha passione?
CMC. Non so. La parola “passione” ha un suono da favola.
OW. Mmm…
CMC. Mi piace quello che faccio.
OW. Mmm…
CMC. Alcuni scrittori hanno detto che odiano scrivere. Era soltanto una fastidiosa scocciatura. Io non la penso certamente così. Talvolta è difficile. Hai in testa un’immagine perfetta, che non riesci mai a concretizzare ma continui sempre a provarci. Comunque, io penso che alla radice ci sia questa immagine interiore di qualcosa di assolutamente perfetto. E quest’immagine è il tuo faro, la tua guida. Ma non arriverai mai a destinazione.
OW. Mmm…
CMC. Eppure senza di essa, non si va da nessuna parte.
OW. Quando inizia a scrivere un libro, parte da questa immagine?
CMC. Non è una cosa così consapevole… Insomma, hai sempre la speranza che oggi farai qualcosa di meglio di tutto quanto hai fatto finora.
OW. Ecco la speranza.
CMC. E’ il segno di una hubris sfrenata?
OW. No, è una cosa buona. Quindi scrive in modo metodico? Segue un preciso programma di lavoro?
CMC. No.
OW. Allora scrive soltanto quando si sente ispirato?
CMC. Una volta, quando gli chiesero se scriveva tutti i giorni o solo quando era ispirato, Faulkner disse che scriveva soltanto quando era ispirato, ma si sentiva ispirato tutti i giorni.
OW. Mmm…
CMC. Alcune persone mi chiedono se costruisco a tavolino tutta la trama. La mia risposta è no. Significherebbe la morte. Voglio dire, non si può programmare tutto a tavolino.
OW. “The Road” ha recentemente ricevuto il riconoscimento più prestigioso: il premio Pulitzer per la Letteratura. Quando lo ha iniziato, sapeva già come sarebbe finito?
CMC. No, non ne aveva la minima idea.
OW. Da dove nasce questo sogno apocalittico?
CMC. Beh, è interessante perché di solito non si sa da dove nasce un libro. C’è come una sorta di prurito che non si riesce a togliere. Circa quattro anni fa sono andato a El Paso con mio figlio John.
OW. Ora lui ha otto anni?
CMC. Sì. Abbiamo preso una stanza nel vecchio albergo della città. Una notte, saranno state le due o le tre del mattino, mentre mio figlio dormiva, mi sono messo a guardare fuori dalla finestra e a osservare questa città: non si muoveva nulla e si sentiva in lontananza il solitario suono dei treni che arrivavano e ripartivano. Improvvisamente si è formata l’immagine di come potrebbe apparire questa città fra 50 o 100 cento anni.
OW. Mmm…
CMC. Mi è venuta quest’immagine di fuochi sulle colline e di una distruzione assoluta, e ho iniziato a pensare al mio piccolo bambino. Così mi sono messo a scrivere qualche pagina e tutto è finito lì. Poi, circa quattro anni dopo, in Irlanda, una mattina mi sono svegliato e mi sono accorto che non erano semplicemente alcune pagine di appunti. Erano un libro. E questo libro parlava di quell’uomo e quel bambino.
OW. Il libro è dedicato a John, il figlio di Cormac McCarthy. Si tratta di una storia d’amore per suo figlio?
CMC. Sì, in un certo senso sì. Ma, ciononostante, è in qualche modo imbarazzante.
OW. Vedo che è arrossito. Quando l’ho chiamata la prima volta e le ho detto che la gente voleva sapere come era nato questo libro, lei mi ha detto: “E’ ovvio. Perché questo libro è stato scritto praticamente a quattro mani con mio figlio”.
CMC. Proprio così.
OW. Se non avesse avuto suo figlio, questo libro non sarebbe stato scritto?
CMC. Esattamente. Non mi sarebbe mai venuto in mente di scrivere un libro su un padre e un figlio.
OW. Che cosa significa essere padre in questo particolare momento della sua vita?
CMC. Penso che lo si apprezzi in modo più profondo. Quando si è più giovani è diverso; se si ha un figlio quando si è più anziani, invece, si viene risvegliati dal proprio sonno e si guardano le cose con un nuovo sguardo. Ti costringe a pensare al mondo.
OW. Mmm…
CMC. Sì. E io penso che sia una buona cosa.
OW. A proposito, penso che “The Road” sia un perfetto regalo per la festa del papà. Racconta la storia di un padre e di un figlio alla fine del tempo, e del loro reciproco amore. Come vi ho già detto, McCarthy è uno scrittore al quale non piace stare sotto i riflettori. Ma ha accettato di rilasciarmi la sua prima intervista televisiva. L’ho incontrato nell’Istituto di Santa Fe, un luogo affascinante dove scienziati e scrittori riflettono sui misteri dell’universo. Mi parli di questo posto: perché le piace così tanto venire qui?
CMC. Beh, è pieno di persone intelligenti che hanno cose molto interessanti da dire. E ci si diverte un mondo.
OW. E lei preferisce trascorrere il tempo con gli scienziati. Preferisce gli scienziati agli scrittori?
CMC. Non conosco alcuno scrittore.
OW. Cormac McCarthy ha oggi 73 anni. E’ da sempre una persona estremamente riservata. E’ chiaro che si trova più a suo agio davanti a una vecchia macchina da scrivere Olivetti che davanti alle telecamere. In tutti i suoi libri che ho letto, da “Blood Meridian” a “No Country for Men”, le donne non hanno quasi nessuna parte di rilievo. E infatti molti l’hanno definito uno scrittore per uomini. Come mai le donne non hanno un ruolo attivo nelle trame dei suoi libri?
CMC. Le donne sono difficili.
OW. Mmm…
CMC. Non pretendo di capire le donne. Penso che gli uomini non sappiano molto delle donne. Le trovano misteriose.
OW. E’ ancora così anche per lei?
CMC. Sì. Anche se…
OW. Dopo tre mogli, le donne sono ancora un mistero?
CMC. Sì, sono ancora un mistero.
OW. Ho letto che una delle sue ex mogli ha detto che in certi periodi lei era molto povero, assolutamente senza un soldo; e i giornalisti le telefonavano dicendo che le avrebbero pagato 2.000 dollari e anche più per un’intervista, ma lei si rifiutava rispondendo che tutto ciò che conosceva lo aveva già messo per iscritto.
CMC. Beh, ero molto occupato. Avevo altre cose da fare.
OW. Occupato? Non le interessano le cose materiali?
CMC. No. Voglio dire, non è che non mi piacciano le cose materiali. Alcune sono molto belle. Ma vengono certamente dopo l’esigenza di vivere la tua vita facendo quello che vuoi fare… E ho sempre saputo che non volevo lavorare.
OW. E come ci riesce? Piacerebbe a tutti saperlo.
CMC. Beh, bisogna impegnarsi.
OW. Naturalmente.
CMC. Ma era la mia priorità numero uno…
OW. Il fatto che non voleva avere un lavoro che l’avrebbe costretta a stare in ufficio dalle nove alle cinque?
CMC. Precisamente. Ho sempre pensato che si è qui una volta sola, che la vita è breve e che passare ogni giorno a fare quello che altri ti dicono di fare non è il modo giusto di vivere. E non ho nessun consiglio da dare su come farlo, tranne che se ci si impegna a fondo è probabile che ci si riesca.
OW. Perciò ha lavorato per non lavorare?
CMC. Proprio così. Questa è la priorità numero uno.
OW. E non avere denaro è stato un problema?
CMC. Beh, ero molto…
OW. Perché è vero che era così povero che le è capitato di non poter pagare nemmeno un hotel da quaranta dollari al mese?
CMC. Sì.
OW. Beh, questo significa essere davvero povero.
CMC. Quell’episodio è avvenuto a New Orleans… era una piccola stanza d’albergo…
OW. … da soli 40 dollari al mese e lei non aveva nemmeno quelli.
CMC. Sì, e mi hanno buttato fuori. Allora ero molto ingenuo. Ero convinto che in un modo o nell’altro tutto sarebbe andato bene. Ed è stato proprio così. Sono sempre stato molto fortunato. Quando la situazione era particolarmente dura, succedeva sempre qualcosa di assolutamente imprevisto.
OW. Wow. E’ stupefacente. Ed è vero che una volta era talmente al verde da non potersi comprare nemmeno un dentifricio?
CMC. Sì. Vivevo in una baracca nel Tennessee e avevo finito il dentifricio. E un mattino sono andato all’ufficio postale per vedere se era arrivato qualcosa. E nella mia cassetta delle lettere c’era un dentifricio.
OW. Un campione omaggio?
CMC. Già, un campione omaggio. Ma la mia vita è piena di episodi come questo. E’ sempre stato così: quando la situazione si faceva critica, succedeva sempre qualcosa.
OW. Ho anche letto una sua frase in cui dice che la cosa più importante per lei è avere cibo e scarpe.
CMC. Sì.
OW. E penso che quando la si legge si pensa immediatamente a quello di cui si ha veramente bisogno nella vita. E lei sembra un uomo molto felice, che si accontenta di poche cose.
CMC. Sì. Ma non si può fare a meno di cibo e scarpe.
*
OW. McCarthy dice che “The Road” è una storia semplice, che parla di un uomo e un bambino su una strada. Ma per me, ciò che rende straordinario questo libro è l’enorme potenza della sua semplicità. Sapremo mai quello che è realmente accaduto? I critici, e anche i suoi ammiratori, vi leggono ogni genere di cosa. Alcuni dicono che parla del viaggio spirituale dell’uomo sulla terra. E’ proprio così, oppure si tratta semplicemente di un uomo e un bambino che camminano lungo una strada?
CMC. A me piace pensare che si tratta soltanto dell’uomo e del bambino sulla strada. Ma ovviamente si possono trarre conclusioni di ogni genere dalla lettura del libro, a seconda dei propri gusti. Io penso che sia una storia semplice e diretta.
OW. E’ davvero interessante. Penso che se avessimo letto questo libro venti o venticinque anni fa, ci sarebbe sembrata una storia futuristica. Ma c’è qualcosa di reale.
CMC. Beh, penso che dopo l’11 settembre la gente sia più preoccupata dai temi apocalittici.
OW. Mmm…
CMC. Non siamo abituati a questo.
OW. Cioè, non siamo abituati a vivere nella paura…
CMC. No.
OW. Allora, non siamo abituati a essere preoccupati e ansiosi per quello che succederà domani.
CMC. Appunto.
OW. Che cosa vorrebbe che i lettori traessero da questo libro?
CMC. Ecco, mi basterebbe che prendessero a cuore le cose e le persone e che apprezzassero maggiormente ciò che hanno. La vita è bella anche quando sembra brutta. E dovremmo apprezzarla di più. Dovremmo essere riconoscenti. Non so a chi, ma dobbiamo essere riconoscenti per ciò che abbiamo.
OW. Non si tratta per caso di Dio?
CMC. Beh, dipende in quale giorno mi viene fatta questa domanda. Ma, certe volte, è bene pregare. Non credo che sia necessario avere un’idea precisa di cosa o chi sia Dio per poter pregare.
OW. Le importa che ora ha milioni di lettori mentre all’inizio ne aveva soltanto poche migliaia?
CMC. In tutta onestà, devo rispondere di no. Voglio dire, fa piacere che la gente apprezzi il tuo libro. Ma quanto al numero, che importa?
OW. Beh, devo dire che lei è uno scrittore proprio speciale.
CMC. Beh...
OW. E’ stato un piacere incontrarla, e un onore intervistarla.
CMC. Grazie mille. E’ stata molto gentile.
OW. Un vero onore. Lei è uno scrittore davvero speciale: leggete il libro se volete. Se non lo fate, bene lo stesso. Eccezionale!
CMC. Sì.
OW. Mai sentito una cosa del genere prima d’ora. Ancora un grazie a Cormac McCarthy, a George West e a tutti gli altri membri dell’Istituto di Santa Fe.
(dal Foglio del 7 giugno 2007, traduzione di Aldo Piccato)