L'intervista
Nel bosco orizzontale di Via Padova con lo psichiatra Thomas Emmenegger
L’ex Convitto del Trotter, a Milano, ospita il progetto che va sotto il nome di ‘mosso’, un impegno quotidiano che prova a illuminare una zona grigia della città. E che festeggia il suo primo compleanno dal 16 al 18 giugno.
La struttura nacque un secolo fa, per farne un ippodromo, poi diventò un collegio. Seguono trent’anni di abbandono. Oggi l’ex Convitto del Trotter ospita il progetto che va sotto il nome di ‘mosso’, un impegno quotidiano che prova a illuminare una zona grigia della città. Ma niente a che vedere col brillare sotto il Bosco Verticale: questo è un bosco orizzontale, zona fitta intorno a via Padova, e ci si orienta con la torcia. A guidare è Thomas Emmenegger, psichiatra svizzero venuto in Italia al seguito di Franco Basaglia, e da oltre 25 anni presidente della Fabbrica di Olinda: integrare è la sua intenzione, e il progetto in Via Mosso festeggia il suo primo compleanno dal 16 al 18 giugno.
Il lungo cortile è seminato con ordine geometrico di sedie e tavoli colorati, al bar quattro ragazzi arabi se la raccontano nella loro lingua aspra. Faccio una panoramica sulla sala ristorante, supero con pudore la porta aperta sulla cucina, finisco a sbirciare nell’Attrezzeria, che si divide in angoli di ciclofficina, falegnameria, elettrotecnica e sartoria. ‘Un senso d’ordine, e di pulizia’, mi viene il Gaber alle elezioni.
Thomas arriva, saluta me, saluta tutti, sguinzaglia il suo cagnolino, toglie la giacca, due ragazze gli vanno incontro, un breve scambio, familiare, anche divertito, su qualcosa da fare. Sul come farlo.
“mosso è preso in mano da molti giovani.” E sediamo nella sala ristorante insieme a Elisa, Responsabile Comunicazione, e Beatrice, Project Manager.
“Servono sempre nuove idee. Tutto è fatto in casa, e con parsimonia. Altrimenti tutto si ferma.”
Partiamo da questo posto.
“La società cambia, funzioni che avevano senso poi si perdono. Questa è una tipica post rovina. Nessuno aveva più interesse. Succede anche con le persone. Che sono in qualche modo dimenticate. Lasciate ai margini. Sono gli scarti.”
Parola pesante. Ma se la dice lei.
“Pensa alla storia dei manicomi. Erano in tante città italiane. Cosa fare con questi enormi spazi? Perché poi le persone ai margini tendono a popolare queste post rovine. Il problema è principalmente nostro: nelle idee di sviluppo che abbiamo, queste cose e persone sono rimosse. Il sindaco Pisapia invece, quando fu eletto, come primo atto chiese alla Fondazione Cariplo di recuperare l’ex Convitto del Trotter, con l’idea di fare metà scuola, e metà che abbia impatto positivo sul contesto, problematico. Un progetto a tre Comune, Fondazione Cariplo e privato sociale, che si rivolga a tutta la città, ma che allo stesso tempo sappia confrontarsi con via Padova.”
La soluzione universale.
“Ma va cercata. Poi il primo problema è: cos’è l’impatto positivo? Da un anno ci confrontiamo con quello che troviamo realmente ogni giorno. Innovazione è imparare a fare cose che nessuno ha mai fatto.”
Una ragazza con velo entra nella sala e Thomas la saluta con calore, e abbassa la voce per continuare.
“Via Padova è un posto super popolato da figure come lei! È venuta qui l’estate scorsa, ha lavorato con noi come cameriera, piano piano si è tolta il velo, ed è diventata una figura importante, forte. Interagiva con tutti. Poi ha dovuto tornare in patria, per un matrimonio di famiglia, si è sposata anche lei, è rimasta in cinta, è finita di nuovo dentro nel mulino patriarcale.”
La ragazza non si avvicina. Sottofondo ritmico di piatti, posate e bicchieri. Beatrice ed Elisa vanno a salutarla. Thomas prosegue.
“Ciò che è inconciliabile per noi, cerchiamo di renderlo conciliabile. Dobbiamo conoscere chi sono, queste persone. La nostra tesi è che in questo mondo c’è un universo di talenti nascosti. E dobbiamo renderli visibili.”
Invece si vede è la minaccia.
“La cosiddetta sicurezza, certo. Normalmente si interviene con il controllo. Che è completamente inutile. Non porta alcun beneficio. Come se tu metti un pugno nell’acqua e questa si sposta. Non tiri fuori niente. Quando una ragazza italiana si ferma sul cancello per non attraversare dove c’è un gruppo di giovani arabi, dobbiamo prendere sul serio la sua paura, ma dando a questi ragazzi nome, cognome, storia e riconoscimento. Vorremmo costruire un percorso inclusivo con loro, solo così riusciamo a incidere su questa percezione soggettiva di paura. A una condizione: avere dieci, vent’anni per fare questo lavoro. E le risorse.”
Come si tampona, intanto, la cultura della furbizia? Che comprende l’abuso, che deriva in violenza. E si mangia i talenti che vorreste rendere visibili.
“Esistono le persone senza scrupoli. Tu richiami a figure pubbliche chiave, che hanno fatto politica. E quindi cultura. Ma che per me non ha lungo respiro. Io vedo tanto il contrario. Vedo invece tra i giovani che vengono un enorme voglia di fare cose vere. Non finte.”
Vi è capitato di chiamare la Polizia?
“No, non lo consideriamo come una risposta. Abbiamo sempre cercato di curare, rimediare, a nostro modo. Si è distribuito antibiotici, calmanti, curato ferite: vedevi che stavano male, cercavano banalmente il bagno, ti accorgevi del sangue, e non ci vanno in ospedale. Dobbiamo star dentro le contraddizioni. E conquistare la notte. Perché via Padova di notte è un altro mondo.”
E conquistare anche le lingue. Conosciamo tutti la frustrazione del non saper dire, e capire.
“In cooperativa si parlano tante lingue del mondo. Durante il Covid abbiamo accolto nell’Ostello persone che sono state ricoverate in psichiatria e che, quando vengono dimesse spesso hanno solo la strada. Figure da tutto il mondo. E allora chiedevi: chi sa questa lingua subsahariana? L’aiuto cuoco della Nigeria ha fatto da interprete. Cose così. Scopri anche che dentro una lingua nazionale ce ne sono cinque diverse.”
Tutto è differenza.
“E questo mix credo possa diventare il protagonista. Così come il cosiddetto svantaggio. E visto che noi, come Olinda, veniamo da un vecchio manicomio, anche qui, alcune delle persone che lavorano hanno un problema di salute mentale.”
E stanno meglio.
“Vuoi scherzare?”
Per niente. Quindi tutto sta nell’essere accettati.
“Non accettati: riconosciuti. Compreso il loro talento nascosto. Chiunque ne ha uno. Anche quelli che dicevi, i furbi.” E invita le due ragazze a parlare. “Spesso scopro che la pensano diversamente da me.”
Usciamo dall’analisi. Le cose che si fanno, a ‘mosso’. Ho visto i mestieri dell’attrezzeria, poi il bar, e il ristorante.
“Con la migliore pizza di Milano.” Non si trattiene Thomas.
“Tra le migliori di Milano“ corregge Elisa. E racconta di quando si presentò il loro prestigioso pizzaiolo, Daniele Falcone. Disse che gli piaceva questo posto, e che era stato l’aiuto di Franco Pepe. Smanetto per avere conferma del pedigree del famoso pizzaiolo napoletano. Prosegue Thomas.
“Uno così si aspetta di essere pagato in un modo che non potevamo corrispondere, e sono cominciate lunghe trattative. Noi abbiamo messo sulla bilancia il peso del progetto, e alla fine abbiamo trovato un compromesso.”
Gli avete offerto l’orgoglio.
“Sì. E il suo valore lo verificherai quando verrai a mangiare la pizza.”
Intanto uno dei giovani camerieri ci porta il pane che fa Daniele. Lo scoccare di mezzogiorno ne esalta il sapore. Mentre mastico osservo bene i tanti coperti, distanziati, compresi quelli nel grande cortile.
Col contapassi i diecimila richiesti il cameriere li fa in un turno. Ma lo riempite? Milano vi riconosce?
“Certo” risponde ancora Elisa. “Bisogna prenotare.”
“Non vogliamo che la gente venga qui per compassione, o perché mettiamo lo scarto in vetrina, ma perché si sta bene” aggiunge Thomas.
Rivalutate il talento degli scarti.
“Esatto. È questo.”
Ma chi ha pochi soldi non può venirci a mangiare.
“Certo. Con 10 euro si mangia pizza e birra. Ma sai a quanta gente, che conosciamo bene, offriamo il pranzo? Anche qui, c’è la contraddizione tra qualità e l’accessibilità, il poterselo permettere. Un campo di lavoro enorme. Dobbiamo trovare modalità che non siano esclusive. Perché poi i servizi gratuiti sono sostenuti dalle attività di ristorazione. Quando vieni a fare il tuo matrimonio, o la festa aziendale, stai tenendo vive e gratuite queste persone con le loro esigenze.”
E qui interviene Beatrice.
“Il Portierato di quartiere offre ascolto e suggerimento. C’è uno sportello migranti, e ti spiegano come fare le domande. Oppure leggere e pagare una bolletta. Lo sportello sull’abitare, per uno sfrattato, e per la richiesta di casa popolare. E questa pare fatta per scoraggiare. La difficoltà si inasprisce dove è più alta la fragilità delle persone che devono compilare. Figurati un permesso di soggiorno per una che non sa l’italiano.”
La burocrazia della scartoffia. Io stesso ne sono terrorizzato. Mi pare più necessario e nobile del pasto e del letto caldo.
“Ma si fanno anche concerti, dj set, mostre. Anche qui, arrivano le persone a bussare. La volta che chiamato Francesca Michelin. E in breve abbiamo organizzato una rassegna, con lei che ha aperto la serie di concerti. In via Padova.”
Il ventaglio di quel che succede a mosso è ampio, e non posso farne un volantino informativo. Per scoprirlo una prima occasione sono questi tre giorni, da venerdì a domenica, pieni di informazioni e diletto.
“Abbiamo bisogno di farci conoscere. Abbiamo bisogno di alleati. In tutti i campi.”
Essere aiutati per aiutare.
“No, noi non aiutiamo nessuno. Il nostro è il sistema delle opportunità. Tu vieni qui e puoi sostare. Trovi sempre qualcosa. E qualcuno. Non sei nel mirino di niente e nessuno. Non siamo lo sportello unico che vuole una richiesta precisa per darti risposta. Altrimenti vieni rimandato da un’altra parte. A noi piace avere tantissimi rivoli di accesso: arrivi per una cosa e ne trovi un’altra che non sapevi. Siamo un gran casino.”
Chiudiamo il casino con il nome, mosso scritto minuscolo. E questa è materia di Beatrice.
“Il carattere in minuscolo è una scelta grafica, perché ricorda le onde in movimento. Ma è anche la foto mossa: sta cercando di fermare una cosa che si muove.”