Calvino, Fruttero e Lucentini, Citati. Geni all'ombra della pineta di Roccamare
In "Ultima estate a Roccamare" Alberto Riva offre ricostruzione documentatissima, affettuosa e mai “museale” di quella lunga estate durata decenni in cui l’essere tutti insieme sulla costa toscana sembra aver funzionato da moltiplicatore di ispirazione
Una generazione dorata ha preso il fresco in pineta, a Roccamare, e tra cene, pedalate e gite in gozzo nel giro di alcuni decenni sono stati scritti romanzi e film, racconti e articoli che hanno segnato per sempre la letteratura italiana. E’ qui che Italo Calvino ha trovato la concentrazione per lavorare dall’inizio degli anni Settanta fino a quel mezzogiorno del 6 settembre 1985 in cui si sentì male mentre lavorava alle “Lezioni americane” – sarebbe morto pochi giorni dopo a Siena – chiudendo la fase più assolata di una stagione preziosa per tutti. Ed è qui che Franco Lucentini e Carlo Fruttero hanno lavorato in quella loro maniera specialissima e simbiotica a molti libri, tra cui “Enigma in luogo di mare”, un giallo che, seppur di minor successo rispetto a “La donna della domenica”, ha raccontato l’Italia balneare.
Alberto Riva, giornalista e scrittore, in “Ultima estate a Roccamare”, uscito per Neri Pozza il 16 giugno, offre una ricostruzione documentatissima, affettuosa e mai “museale” di quella lunga estate durata decenni in cui l’essere tutti insieme sulla costa toscana sembra aver funzionato da moltiplicatore di ispirazione. Il libro contiene molte interviste ai protagonisti di quella stagione, come Rosetta Loy, e ai loro eredi. La nostalgia dell’autore, più che al luogo stesso, appare rivolta a un rigore intellettuale che allo slancio dell’ispirazione associa una liturgia di filtri e riscritture, scambi e confronti, critiche, pareri ruvidi di amici e non. E se la lettura estiva per eccellenza è il giallo, Riva traccia una piccola genealogia dei testi che hanno segnato la storia del genere in Italia, a partire da “Venere privata” di Giorgio Scerbanenco, così vicino a George Simenon nella creazione di un mondo abietto e sofferente, nelle scelte di attenta semplificazione dello stile per lasciare spazio libero alla savana delle psicologie. Ci sono poi storie letterarie che rischiano di smarrirsi nella pineta, come quella di Mario Tobino, scrittore eccellente e psichiatra finito dalla parte sbagliata della storia nel dibattito con Franco Basaglia sui manicomi. Per le pagine di “Ultima estate” passano anche Furio Scarpelli, sceneggiatore in tandem con Age, al secolo Agenore Incrocci, prozio di Giorgia Meloni, e Pietro Citati, una delle figure centrali del libro. Cosa faceva quella generazione quando scriveva? Si annullava dietro le trame, dietro l’ironia, cercava di realizzare “il grande colpo di sparire”, quell’idea che “l’opera riuscita che può permettersi di cancellare l’autore” come fatto per una vita da Calvino. “Bisogna entrare in sé stessi armati fino ai denti”, scrive Paul Valéry in una citazione molto amata da Fruttero e Lucentini, padrini di un’ironia che era un sinonimo perfetto di libertà. A questo proposito Riva riporta un aneddoto su una visita a Roma del rais Muammar Gheddafi. I due scrissero un pezzo, l’ambasciata libica rispose piccata, chiedendo sia la testa delle due firme che quella del direttore. La loro risposta fu sublime. “Con quali mezzi semantici” spiegare “il vertiginoso equivoco” a chi scambia “un normale articolo di costume per chissà quale manovra politica”? Il razzismo poi è impensabile, visto che non sono state usate quelle “timorate cautele contro imprevedibili suscettibilità, che sono il segno della più sottile e ingiuriosa condiscendenza”. Fruttero è morto a Roccamare nel 2012 e Citati dall’anno scorso giace a pochi metri da Calvino, sotto una lapide semplice. Come nella “Supplique” di Brassens, passano la morte in vacanza, in un cimitero addirittura più marino di quello di Valéry.