FACCE DISPARI
Lina Sastri: “Il teatro è libertà in un mondo sempre più finto”
In scena con Nozze di sangue, racconto onirico sul dramma di Federico García Lorca, l'attrice interpreta sia la vecchia madre sia la giovane sposa: "E' stato faticoso, ma l’importante è non fare sempre cose che già sai fare". Intervista
Se Federico García Lorca avesse visto il suo ‘Nozze di sangue’ al Teatro Grande del Parco Archeologico di Pompei, il 23 e 24 giugno per la regia di Lluís Pasqual, avrebbe certificato l’apparizione del duende, il misterioso demone interiore che monta dalla terra, il fluido che impossessa l’interprete e non è frutto di semplice perizia. Ce l’hai o non ce l’hai, come sanno meglio di tutti i toreri e gli artisti flamenchi di Andalusia, il paese “aperto alla morte” dove il duende “spreme limoni all’alba” (ne scrisse Annalena Benini sul Foglio del 9 maggio 2020).
Lina Sastri è sia la vecchia madre sia la giovane sposa nella riduzione scenica realizzata da Pasqual, quasi un racconto onirico in cui lei svela quel duende che alcuni napoletani hanno serbato dal viceregno spagnolo e altri hanno disperso per influssi successivi della Storia, suscitando il severo fastidio di García Lorca (il quale bocciava “’Oi Marì!” come “orribile canzonetta”).
Qual è il filo che unisce Sastri interprete di García Lorca a quella della ‘Medea’ di Euripide? Come si muove tra Napoli, l’Andalusia e la Grecia?
È sempre il Sud che s’assomiglia nella sua spietatezza. Sono misteri e tragedie, passioni e vendette che conosciamo da millenni, destini femminili di amore e di sangue. La stessa polvere della follia che ci cattura e da cui si cerca scampo. In ‘Nozze di sangue’ è stato faticoso impersonare sia la madre sia la sposa, ma l’importante nella vita è non fare sempre cose che già sai fare. È bene mettersi alla prova.
Attrice di teatro, di cinema, cantante. “Poliedrica” è facile aggettivo-rifugio. Come definirla meglio?
Un’artista libera, che porta in ogni mondo un po’ degli altri mondi. Non sono una cantante in senso puro, ma un’attrice che cerca il colore e il sapore delle note attraverso gli arrangiamenti che decide. È dal teatro che ho imparato la regola, l’amore per lo studio, che consente di realizzare la propria intuizione personale. Per riuscirci bisogna avere il coraggio di restarle fedele e portarla sulla scena com’era nata nella mente.
Essere fedeli a se stessi è più un vincolo o un atto di libertà?
È libertà. Quella che ho sempre trovato in palcoscenico e che mi è molto più difficile nella vita, in cui prevalgono tante fragilità e paure.
Rimpiange la giovinezza?
Sì, se per giovinezza intendiamo la voglia di contravvenire alle imposizioni, di essere piuttosto che avere, quell’intima leggerezza che appartiene all’aria, al mare. Non rimpiango invece la giovinezza intesa come un bene di mercato che non si vuol abbandonare mai, quella di molti ragazzi di adesso che non vogliono cambiare nulla ma restare dove sono e preferiscono la comodità di rimanere figli alla responsabilità di diventare uomini. Purtroppo, le regole della famiglia non offrono più grandi riferimenti.
Se non avesse cominciato prestissimo con il teatro, cosa le sarebbe piaciuto?
Fare la moglie e la mamma.
A sua madre, morta di Alzheimer, dedicò un libro che sta diventando un film dallo stesso titolo: ‘La casa di Ninetta’. Quando uscirà?
Stiamo ultimando la lavorazione. È un’opera semplice, realizzata in poco tempo e con budget ridotto. La mia prima regia, forse ingenua, ma l’ingenuità può essere anche una virtù. Vorrei la soddisfazione che il film fosse visto e si dicesse che non è poi così brutto.
Quale soddisfazione professionale ricorda con più piacere?
Ho poca coscienza delle soddisfazioni. Nutro l’ambizione di ottenerle, ma un attimo dopo tendo a dimenticarle perché le sento pericolose. Preferisco averne poca memoria.
Forse perché anche lei sostiene che “il tempo non esiste”.
È come una linea retta dove camminiamo ma su cui, vista dall’alto, siamo assieme nello stesso istante noi che nasciamo, che cresciamo e poi che abbandoniamo questo corpo. In una specie di dimensione assoluta.
Quanto cambia la percezione del tempo nell’èra digitale?
Le passioni sono sempre quelle, ma più andiamo avanti più vedo una reale solitudine in mezzo alle finte amicizie che si moltiplicano sugli apparati elettronici alla vana ricerca di appigli. Che peccato, ci stiamo livellando al peggio.
L’amicizia vera com’è?
Sincerità: quando vuoi dire quella cosa a una persona e lo fai, quando puoi trattarla male perché lei sa che le vuoi bene. L’amore non offre uguale libertà. Però da trovare sono difficili entrambi.
L’amore è una sirena?
Il suo canto può essere pericoloso perché forse è senza cuore e se ne resti ammaliato potresti anche scoprire che la sirena voleva ammaliare tutti, non soltanto te. Quindi, forse, non ti ha amato mai.
Partenope Napoli incanta così?
È una città straordinaria perché ha il mare dentro. È banale dire che se esci di casa per fare la spesa, girato l’angolo, puoi trovare il golfo davanti a te? Il mare è a pochi metri da Palazzo Reale, ma è molto democratico: anche il povero ha potuto scenderci per fare il bagno.
Città faticosa?
Perché non ti lascia mai solo. Fino a sette, otto anni fa avevo paura di passare di sera per i Quartieri Spagnoli, ora è pieno di turisti, c’è più lavoro, se lasci le finestre aperte le voci ti raggiungono e talvolta t’infastidiscono, però è preferibile alla sensazione che mi dà Roma. Prima, arrivandoci da Napoli mi sentivo più libera. Adesso mi sembra più desertica, intristita.
Si è esibita allo stadio per lo scudetto del Napoli. Emozionata?
Molto. Ormai il calcio è l’unica passione che accomuna veramente, ben più della politica e delle religioni.