Open to Rinascimento
Torna l'opera di Burckhardt sul XV secolo italiano, epoca dell'individuo versatile
Einaudi pubblica le pagine dello storico di Basilea dedicate all’Italia: una glorificazione che restituisce in modo preciso il contesto sociale e storico del Rinascimento nella penisola. “Un’epoca aurea” che mette al centro e valorizza il soggetto
Con i tempi che corrono, in cerca di D’Annunzi e Danti da celebrare, il ministero della Cultura dovrebbe prendere in mano il librone di Jacob Burckhardt Il Rinascimento italiano. Civiltà ed arte ed estrapolarne citazioni per far brillare di italico orgoglio i cittadini, appiccicandole sulle fiancate dei bus. Soprattutto i fiorentini, che tanto amano usare la parola Rinascimento, qui vengono glorificati come non mai, e troverebbero nelle pagine scritte da uno svizzero tedesco un’orgasmica giustificazione alla loro storica arroganza. “Firenze, di gran lunga il cantiere più importante dello spirito italiano, anzi del moderno spirito europeo”. E ancora: “La più alta coscienza politica e la maggior varietà di sviluppo si trovano unite nella storia di Firenze, che ben merita di esser detta in questo senso il primo Stato moderno del mondo”.
Appena uscito nella sua versione finale, negli eleganti Millenni di Einaudi, a cura di Maurizio Ghelardi, Il Rinascimento italiano vale più di una campagna Open to meraviglia, con la ferragnesca venere del Botticelli, molto Eat pray love. “La maggior parte degli stati italiani era strutturata al suo interno come un’opera d’arte, come creazione consapevole, dipendente dalla riflessione, basata su fondamenta visibili calcolate con precisione”, scrive Burckhardt. Lo storico protestante di Basilea passa gran parte della sua vita a compilare questa storia degli stati italiani, e lo fa per capire come si è arrivati a quel momento di frattura che è stata la rivoluzione del 1789, ma nel frattempo s’innamora delle chiese dell’Alberti e del Principe di Machiavelli. Burckhardt scrive tra una lezione e l’altra – Nietzsche fu suo allievo – e pubblica nel 1860 una prima parte, ma ne manca una che resterà inedita a lungo, che tratta nello specifico la decorazione, l’architettura, la pittura e la scultura, e che oggi possiamo leggere nella sua interezza in italiano.
È un libro groundbreaking nella storia dell’arte, perché per la prima volta si considera in un modo estremamente preciso il contesto sociale e storico che ha permesso al Rinascimento di spuntare “come un fiore che nasce nel deserto”. Un movimento artistico possibile per via di una disposizione d’animo fino ad allora ben poco esaltata – l’individualismo – insieme a diversi meccanismi amministrativi e di leadership che ne hanno permesso il consolidamento. “Il XV secolo è innanzitutto il secolo dell’individuo versatile”, scrive, “l’umanista è tenuto alla massima versatilità, la sua filologia non si prefigge solo, come oggi, una conoscenza distaccata del mondo classico, ma anche un’applicazione quotidiana alla vita reale”. È un periodo vivace, in cui solo gli italiani sono in grado di riscoprire insieme la grandezza degli antichi e le bellezze della natura. “Un’epoca aurea”, che non tornerà più e che, ad esempio nella pittura, ci permette di vedere un inedito e irripetibile grado di perfezione nella raffigurazione di “elementi reali e ideali”, di affetti carnali e vita spirituale, basti pensare a una Madonna di Raffaello.
La vita in questi ducati, granducati, regni e repubbliche ha permesso ai suoi cittadini, ai suoi artisti e ai suoi letterati, ai suoi architetti e ai suoi politici di acquisire sia un’estremamente lucida capacità di analisi oggettiva sia un’innovatrice capacità soggettiva, cioè la coscienza del sé. È un po’ come dice Orson Welles: “In Italia, per trent’anni, sotto i Borgia ci furono guerre, terrore, omicidi e carneficine ma ne vennero fuori Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di democrazia e pace, e cos’hanno prodotto? Gli orologi a cucù”.