Il saluto
Addio a Kundera, lo scrittore moravo che non sopportava il cliché del dissidente
"Non appena si dice libertà c’è chi si irrita, lo so”, disse a Praga, poco prima della famova Primavera. Licenziato e perseguitato siccome irritante, nel 1975 emigrò in Francia. L'intellettuale era un epicureo in senso piuttosto oraziano e dunque un edonista
Non appena si dice libertà c’è chi si irrita, lo so”. Questa frase di Milan Kundera, pronunciata pubblicamente a Praga poco prima della famosa Primavera, la scoprii in un libro, Adelphi come tutti i suoi libri, intitolato Un occidente prigioniero. Siccome aleggiava ancora la segregazione pandemica sentii il vecchio scrittore ceco vicinissimo: mon semblable, mon frère… Comunque la frase funziona sempre, la libertà irrita perennemente, la libertà di parola che in quella Cecoslovacchia era osteggiata dai comunisti in questa Italia è osteggiata dai femministi (casi Facci e Sgarbi), dagli omosessualisti (caso Abodi), dai climatisti (vogliono sia reato dubitare della causa antropica del riscaldamento globale e prima o poi un caso spunterà, prima o poi un Ruotolo dirà che soltanto gli ambientalisti fanatici hanno diritto di lavorare in Rai)… Ma torno subito alla tirannide novecentesca. Kundera, licenziato e perseguitato siccome irritante, nel 1975 emigrò in Francia. Credendo di fargli un dispetto i miserabili collettivisti gli tolsero la cittadinanza cecoslovacca e lui se la legò al dito: fino al 2006 non permise la pubblicazione in patria del bestseller proverbiale, L’insostenibile leggerezza dell’essere. Gli ci vollero 17 anni dalla Rivoluzione di velluto per perdonare, evidentemente non credeva alla favola di un comunismo tenuto in piedi solo dai carri armati. Le dittature si reggono su vaste complicità, gli autoritarismi sopravvivono grazie a coloro che quando sentono la parola libertà si irritano.
Non sopportava le costrizioni, Kundera. Nemmeno quelle letterarie. E dunque scrisse romanzi filosofici pieni di digressioni che a volte non sembrano nemmeno romanzi. Romanzi-saggio, è stato detto… Non sopportava nemmeno il cliché di dissidente, lui che sarebbe stato un impolitico se soltanto la politica lo avesse lasciato in pace. In questo poteva ricordare Brodskij che però era un suo detrattore. Come mai? Perché Kundera detestava Dostoevskij (per la sua pesantezza, ovviamente) e al poeta russo la cosa non andava giù. Lo scrittore ceco (per la precisione: moravo) era un epicureo in senso piuttosto oraziano e dunque un edonista. Alla notizia della sua morte non ho avuto il tempo di rileggerlo, ovviamente, ma ho avuto il tempo di rivedere su YouTube un frammento del film arciedonista e arcierotico tratto dal romanzo arcinoto. Ci sono molti sguardi, ci sono molti baci e poi c’è Lena Olin in reggicalze e bombetta: se putacaso avessi avuto voglia di vedere un film tratto da Dostojevski mi sarebbe completamente passata.