Il ricordo
La letteratura è l'unico argine contro la politica totalizzante. La lezione di Kundera
Il disincanto e l'ironia verso i pregiudizi degli intellettuali e la letteratura come argine ad una politica totalizzante. Il lascito di un immenso poeta
Lo spirito del romanzo è lo spirito di complessità. Ogni romanzo dice al lettore: ‘Le cose sono più complicate di quanto tu pensi’”. La letteratura come conquista di uno “sguardo lucido e disincantato”. Essere romanziere fu “una scelta, una forma di saggezza, una presa di posizione; una posizione che escludeva qualsiasi identificazione con un movimento politico, una religione, un’ideologia, una morale, una collettività”. Nostra patria il romanzo intero.
Quando l’allora Cecoslovacchia conosce la rivoluzione comunista, Milan Kundera resta traumatizzato “più che dal Terrore, dalla liricizzazione del Terrore”. Capisce, come spiega in La vita è altrove, che lo “sconfinato desiderio di gloria” è il segno dei poeti. I produttori di parole e gli intellettuali avvertono tanto più distintamente le frustrazioni della propria personale esistenza e costruiscono la proiezione di una vita sottratta alla banalità, rincorrono l’azione, sublimano la morte.
Va da sé che la morte cantata dai poeti “aveva poco in comune con la morte reale”. E’ materia nella quale Jaromil, il protagonista di quel romanzo, “cercava l’immensità. La sua vita era disperatamente piccola; tutto ciò che lo circondava era ordinario e grigio. E la morte è assoluta; non la si può dividere, sminuzzare”. L’amore della morte come manifestazione estrema della rivolta contro lo status quo.
Questo è il filo sottile che lega la poesia e l’ideologia, e in fondo non sono poetiche, non sono liriche, tutte le ideologie?
L’età adulta è la relativizzazione della nostra posizione nel mondo. Consiste nell’accorgersi che c’è sempre qualcuno che corre più forte come c’è sempre qualcuno che soffre di più. La forza dei nostri motivi, per noi tanto evidente, non sposta un granello di polvere sul più ampio mosaico della società. Crescere significa venirci alle prese, capire quanto è assurdo pensare di “fare la differenza”, accorgersi dell’infantilismo dei troppi “costi quel che costi”: come se ogni giornata, ogni decisione e ogni momento fossero materia di vita o di morte.
Il più infantile degli sforzi dell’uomo, non a caso, è la politica: e non la politica di corte ieri e di palazzo oggi, i giochi delle alleanze e degli intrighi, le mosse pensate per produrre pochi, controllabili effetti in un contesto dato. Ma la politica delle grandi parole, quella che vuole cambiare il mondo e rifarlo tutto diverso.
Quella politica è roba per giovani, come la guerra, anche quando i suoi protagonisti assumono quell’assertività rotonda che garantiscono solo gli anni e il prestigio si nutre di progetti che hanno sempre un che di definitivo e dovrebbero, era ora, risolvere problemi annosi. Tutte le rivoluzioni producono una qualche gerontocrazia, se hanno successo, ma annunciano il tempo della pedocrazia. Perché solo giocando sull’inganno del “questa volta è diverso”, solo soffiando sul fuoco dell’emergenza, solo facendo balenare parole rigorosamente scritte e pensate in maiuscolo, guadagnano la legittimità per fare ciò che più è pericoloso e assurdo. Dare un colpo di spugna, voltare pagina, non costruire sulle contraddizioni dell’esperienza ma sostituirvi un artefatto del pensiero.
Kundera faceva quanto di più inaccettabile con le ubbie degli intellettuali: le prendeva in giro.
Al lirismo puntello e formula politica dei poteri anche più feroci, contrapponeva il romanzo. La nostra coscienza della realtà, spiegava, “è sempre al passato, non è mai al presente” e purtroppo il ricordo che rapidamente sostituiamo a ciò che ci accade e ciò che facciamo non necessariamente gli somiglia. Come ci ha insegnato non un letterato ma un sociobiologo, Robert Trivers, noi passiamo la vita ad autoingannarci, ad autosomministrarci racconti che non per forza collimano con una “verità” di qualche tipo: ma sono utili, ci consolano, ci motivano, alimentano il nostro agire.
Il romanzo per Kundera è la ricerca del presente perduto. E’ per questo che dice al lettore: “Le cose sono più complicate di quanto tu pensi”. La complessità non è indifferenza ma accettazione della possibilità di percorsi diversi.
L’idea di Europa che Kundera ha difeso in alcuni suoi saggi è pluralista, sfaccettata, incerta nel senso dai contorni inevitabilmente sfumati e variabili. Com’era quell’Impero asburgico nel quale sarebbe nato, se fosse venuto al mondo mezzo secolo prima.
Nella conferenza del 1983, Un Occidente prigioniero, Kundera ricorda un altro ceco, Franz Werfel, ebreo praghese di lingua tedesca: “Passò il primo terzo della sua vita a Praga, il secondo a Vienna, l’ultimo da emigrato, dapprima in Francia, poi in America: la sua è una biografia tipicamente centroeuropea”. Nel 1937, in una riunione dell’Organizzazione di cooperazione intellettuale della Società delle Nazioni, Werfel propose di fondare un’accademia mondiale dei poeti e dei pensatori. Non avrebbero dovuto designarli gli stati ma essi avrebbero avuto come missione il “fronteggiare la politicizzazione e l’imbarbarimento del mondo”. La proposta era utopica e venne “apertamente derisa” e le cose non potevano andare altrimenti in un mondo dove artisti e pensatori “erano già tutti irrimediabilmente ‘impegnati’”. Nel prologo alla sua raccolta di racconti, Nel crepuscolo di un mondo, Werfel scrive pagine commoventi sul tramonto dell’“idea austriaca di universalità” e sull’imporsi dell’“odio demoniaco” e della “vana presunzione delle parti sul tutto” che caratterizzano il “fanatismo nazionale”.
Quella proposta del 1937, scrisse Kundera, “tradisce il disperato bisogno di trovare ancora un’autorità morale in un mondo privo di valori”.
I paesi centroeuropei sono stati il laboratorio dell’ultrapolitica, dalla fine della prima guerra mondiale in qua. Milan Kundera ha raccontato donne e uomini ai tempi della politica totalizzante, con uno scetticismo, un’ironia e una delicatezza che era rispetto per ogni imperfezione. La letteratura è l’unico argine, contro la politica che vuole essere tutto e si racconta come fosse tutto. Di questa lezione e di tante pagine luminose gli siamo grati.
Universalismo individualistico