Uomo ibrido
Noi e l'intelligenza alternativa, istruzioni per l'uso. Parla la scrittrice Jeanette Winterson
L'autrice britannica racconta la sua visione del futuro, tra tecnologia e intelligenza artificiale: "Siamo nel tempo delle scelte e se andremo verso un futuro buono o terrificante dipenderà solo da noi”
Le mani di Jeanette Winterson – come quelle di chiunque altro – parlano chiaro, ma le sue mostrano con un orgoglio inconsapevole i segni evidenti di altre sue passioni – il giardinaggio e l’orto – oltre alla scrittura, che è poi il suo lavoro. “Sono una creatura molto stagionale”, spiega al Foglio in una stanza affacciata su piazza Barberini poco prima di salire sul palco di Letterature Festival Internazionale di Roma. “Adesso che è estate mi sveglio con la luce, più o meno alle cinque e mezza, e mi dedico al giardino dopo aver messo su il caffè. Scrivo fino a pranzo ed è soltanto nel pomeriggio che accendo il telefono e mi dispongo ad accogliere il mondo che va sempre invitato, non si può presentare da solo sfondando una porta. Siamo noi a poter gestire questi dispositivi e a doverli tenere a bada”. I social media? “Beh, non fanno altro che cercare di intrappolare gli utenti in una realtà equivalente a una camera di condizionamento operante dove non esistono stimoli che possono essere tracciati o azioni che possono rimanere private”. “Anche di notte siamo costantemente sotto i riflettori”, scrive in 12 Bytes. Come siamo arrivati fin qui, dove potremmo finire in futuro, la sua raccolta di saggi pubblicata da Mondadori nella traduzione di Chiara Spallino Rocca. “E quella che subiamo è una violenza generazionale”, aggiunge.
Secondo lei, chi tra noi umani analogici ha sviluppato una vita interiore autonoma, personale e non improntata al profitto, è molto meno danneggiato dal nuovo ordine instaurato dalle Big Tech di quanto non lo siano i giovani “che stanno ancora cercando un modo di relazionarsi con il senso di sé e con il mondo”, “allevati dai social media nella convinzione che la sharing economy sia quello che dice di essere, ovvero una realtà meravigliosa”. “A ben guardare – fa notare l’autrice inglese divenuta famosa quando aveva venticinque anni con il romanzo Non ci sono solo le arance, cui sono seguiti altri bestseller tra cui Perché essere felice quando puoi essere normale? tutti Mondadori – noi umani non siamo fonti di profitto, non siamo pacchetti di dati”. E’ facile manipolarci, perché siamo vanitosi, ingenui e facili all’ira. “Non viviamo in un’economia della condivisione, ma nell’economia più diseguale. Vogliamo i soldi in fretta e desideriamo essere apprezzati anche quando non abbiamo nulla di apprezzabile e siamo motivati dalla comunità. Pertanto, il buono che è in noi e di cui siamo capaci, ha bisogno di essere stimolato”. Il problema è come vengono usate le Big Tech e l’Intelligenza artificiale, “che a differenza nostra sono destinate a restare”.
Arriveremo di sicuro a potenziare il nostro corpo e a sviluppare le nostre facoltà mentali mediante l’uso di strumenti di Intelligenza artificiale. Una forma di essere umano ibrido è una prospettiva certa e mentre ci sviluppiamo o mentre l’IA si sviluppa trasformandosi in AGI, la super intelligenza, l’homo sapiens potrebbe andare incontro all’estinzione. “L’intelligenza artificiale è solo uno strumento e l’essere umano non è altro che un animale capace di utilizzarlo. Il pensiero, poi, è la finalità dei sistemi di IA e non sarà più quella facoltà che rende unici gli esseri umani. Quello a cui assistiamo quotidianamente è uno specchio che ci riflette rimandandoci il nostro lato peggiore. Potremmo, quindi, continuare a usare la tecnologia per peggiorare la nostra vita oppure per renderla migliore. Siamo nel tempo delle scelte e se andremo verso un futuro buono o un futuro terrificante dipenderà solo da noi”. Per strapparlo al suo patto con la morte abbiamo pertanto bisogno di tutta l’intelligenza possibile, ma sarebbe più corretto, come ci suggerisce Winterson, chiamarla “intelligenza alternativa”, “anche perché di alternative ne abbiamo bisogno eccome, ora più che mai”.
Universalismo individualistico