La riflessione
Le guerre, la pace e noi che non possiamo dirci tolstoiani (tendenza L'vovic)
Il quartogenito del celebre scrittore russo lancia un appello a una sensibilità morale universale che superi quella delle religioni. Purtroppo tutto il nostro modo di vivere lavora e procede in direzione contraria
Mai come ora il mondo si è trovato di fronte a pericoli così estremi”. Dichiarazioni come queste non mi sono mai piaciute e ho accusato chi le usava di narcisismo apocalittico, usato allo scopo di dare peso maggiore, il più possibile, ai suoi discorsi. Ironizzavo: se siamo al peggio, allora in futuro le cose non potranno che andare meglio! Oggi però cominciamo a sospettare che dopo pandemia, migrazioni, inquinamenti, guerra e crisi climatiche c’è seriamente di che allarmarsi. La situazione richiederebbe iniziative decise, drastiche e rapide che la politica mondiale (se esiste) è ben lontana dal saper prendere. Siamo come ipnotizzati e paralizzati dalle nostre abitudini materiali e mentali e non riusciamo a credere reali i rischi del prossimo futuro.
Mi limito alla guerra, alle guerre, dato che ho fra le mani un libro che sembra venire almeno da un secolo fa, anche perché il suo autore è niente di meno che Tolstoj. Non l’autore di Guerra e pace, ma uno dei suoi molti e inquieti figli, che portava anche lui il nome di Lev, Leone. Titolo del libro: L’abolizione delle guerre e l’edificazione della pace, a cura di Rosa Cetro e Cinzia Cadamagnani (Besa muci editore, pp. 163, euro 16). Questo L’vovic, quartogenito del grande e ingombrante Tolstoj, è stato un uomo non poco stravagante e contraddittorio: scrittore, pittore, scultore, con vari vizi che praticava contemporaneamente alla continua lode delle virtù. Una delle cose più curiose che riguardano il suo saggio per la pace e contro la guerra (temi evidentemente ossessivi in casa Tolstoj) è che il testo fu mandato dall’autore a Mussolini nel maggio 1942, accompagnato da una lettera a cui il Duce non rispose mai (come avrebbe potuto? era in guerra…!).
Benché la lettura di un tale “studio sull’origine della guerra e sui modi per abolirla” sia in sé piuttosto deludente, il testo ha comunque un certo interesse di documento. Dopo la guerra del 1914-18 e quella del 1939 scatenata da Hitler (non senza ragioni, secondo l’autore) era naturale pensare all’abolizione definitiva di ogni guerra, per quanto tale proposito fosse e apparisse ingenuo. Il presupposto della fine di ogni guerra futura era infatti ancora più utopistico. Si trattava cioè, secondo l’autore, di “Risvegliare nel mondo un entusiasmo spirituale, una fiducia e una benevolenza assoluta fra tutti gli uomini e tutti i popoli”, il che a sua volta presupponeva di “spiritualizzare e moralizzare il pensiero, le azioni, le leggi e tutte le istituzioni umane”. Il guaio è che più L’vovic indica i mezzi per raggiungere lo scopo, più lo scopo si allontana, perché i mezzi indicati come giustamente necessari sono a loro volta uno scopo perfino superiore a quello di abolire la guerra. Nell’elenco degli obiettivi da raggiungere proposti a un Congresso Morale Mondiale (16 obiettivi) ci sono quelli di “far sparire la miseria materiale di tutti i paesi”; di “unire le diverse fedi e religioni sul principio dell’unità spirituale di tutti i popoli e sull’esistenza dell’anima universale”; e “dare un nuovo ordine etnico e geografico a tutte le nazioni e a tutti i paesi” (mah!), eccetera.
Più l’autore entra in dettagli pratici e più l’insieme del suo progetto appare illusorio. Eppure… Eppure c’è da chiedersi se la generazione del figlio di Tolstoj, nato nel 1869 e morto nel 1945, la generazione di Benda e Croce, di Rolland e Valéry, di Russell e Gandhi, Wells e Unamuno non abbia avuto in mente gli stessi problemi, se non le stesse soluzioni. Al centro del pensiero di L’vovic Tolstoj, oltre all’eredità dell’evangelismo anarchico paterno, c’era l’idea di una autorità universale della morale, che supera quella delle religioni, malate come sono di culto dogmatico della propria identità tradizionale. C’era, c’è, ci sarebbe tuttora bisogno di formare una sensibilità morale, se riusciamo ancora a concepirla. Ma purtroppo tutto il nostro modo di vivere lavora e procede in direzione contraria. La gente pensa ad altro, non pensa, o mette mano allo smart per vedere chi era mai questo Tolstoj.