verso il 2024
In Iowa si decidono le elezioni americane
Se vi sembra prematuro parlare del caucus che apre le primarie repubblicane a gennaio, vi sbagliate. Numeri alla mano, la sfida al superfavorito Trump si gioca qui, in particolare nel tinello del kingmaker degli evangelici
L’Iowa non è esattamente la principale meta turistica americana, figura in fondo alle classifiche degli stati americani dove trascorrere una vacanza. Non c’è mare, non ci sono laghi o montagne, né parchi a tema o attrazioni storiche. Solo pianure e giusto qualche punto panoramico davanti ai ponti di Madison County per scattare immagini per Instagram. Eppure in agosto tra Des Moines e Cedar Rapids sarà tutto un viavai di aerei, autobus e carovane di auto cariche di gente arrivata da altre parti dell’America. Non si tratterà di turisti, ma di politici, giornalisti e staff delle campagne elettorali. Perché sembra sempre più probabile che il futuro dell’occidente si deciderà in Iowa. E potrebbe riservare sorprese, perché le potenti chiese evangeliche locali si sono stufate di Donald Trump.
Breve riepilogo per chi non è sintonizzato con la campagna per le presidenziali americane, visto che mancano ancora 15 mesi al voto. Il candidato dei democratici sarà il presidente in carica, Joe Biden. Non lasciatevi distrarre dall’enfasi su alternative improbabili come Robert F. Kennedy Jr., il bizzarro nemico dei vaccini che sfida il presidente alle primarie: la sera del 22 agosto 2024, nell’arena dello United Center di Chicago, un tripudio di coriandoli e palloncini festeggerà Biden come candidato ufficiale al termine della convention dei democratici. Kennedy e altri dissidenti potranno correre da indipendenti, con zero speranze di vincere. L’unico “avversario” di Biden è la sua età con i rischi che questa comporta sul piano della salute.
Sul fronte repubblicano, a contendergli la presidenza nel voto del 5 novembre 2024 al momento sembra quasi certo che sarà ancora una volta Trump. Le inchieste in corso e quelle in arrivo, le udienze in tribunale e i processi che si apriranno in piena campagna elettorale, perfino il rischio di un arresto, appaiono come semplici distrazioni che non cambiano nulla. Trump sta viaggiando nei sondaggi con i ritmi che Max Verstappen tiene in Formula 1: sempre in testa e con gli altri costretti a battagliare a distanza solo per il secondo posto. I guai giudiziari non hanno scalfito la volontà della maggioranza degli elettori repubblicani di votare di nuovo per l’ex presidente.
All’inizio dell’anno, la media dei sondaggi curata dal sito FiveThirtyEight dava Trump al 43 per cento e il suo sfidante (all’epoca non ancora dichiarato), il governatore della Florida Ron DeSantis, al 37. Da allora, Trump è salito al 52 per cento attuale e DeSantis, dopo due mesi di campagna elettorale, è sceso al 15, con gli altri candidati a dividersi le briciole. In questi giorni il primo sondaggio New York Times/Siena College della stagione elettorale, di solito uno dei più accurati, nell’assegnare a Trump il 54 per cento ha fotografato una situazione in cui l’ex presidente può contare su uno zoccolo duro Maga (Make America Great Again, il suo movimento politico) pari al 37 per cento degli elettori repubblicani. Un altro 37 per cento è dato dagli elettori che devono ancora decidere e soltanto un 25 sa già che non sceglierà più Trump.
Sembrerebbe tutto chiaro: il futuro dell’America e quindi dell’occidente, del confronto con Cina e Russia e delle scelte economiche e sul clima che segneranno le prossime generazioni a livello globale, sarà deciso nel novembre 2024 in un rematch Biden-Trump. Se anche la situazione giudiziaria dell’ex presidente precipitasse (come è probabile), non c’è niente al momento che sembri scoraggiare la base Maga, quella del 37 per cento, convinta che il loro leader sia vittima di una persecuzione del “deep state” federale. Partendo da questo zoccolo duro, gli basterà vincere le primarie nei primi stati, dimostrare di essere ancora imbattibile e gli sfidanti, uno dopo l’altro, si ritireranno in fretta come è accaduto nel 2016.
La vera incognita, la partita che potrebbe cambiare tutto è l’Iowa, il primo stato tradizionalmente a pronunciarsi nella corsa alla nomination. Perché quando qui si voterà a fine gennaio, un eventuale esito a sorpresa potrebbe stravolgere tutta la narrazione politica e cambiare il corso della storia. E si cominciano a vedere segnali importanti, che sono il motivo per cui il circo della politica repubblicana sembra essersi trasferito in pianta stabile a Des Moines. Trump ci si ferma ogni volta che può, DeSantis ha promesso che non se ne andrà finché non avrà visitato tutte e 99 le contee dello stato e gli altri candidati girano a loro volta su e giù per le highways dell’Iowa: Mike Pence, Nikki Haley, Tim Scott, Chris Christie e Vivek Ramaswamy stanno diventando volti familiari per la gente del posto.
Anche nel caso dell’Iowa, a guardare i sondaggi sembrerebbe tanto rumore per nulla. Trump qui viene dato costantemente tra il 42 e il 46 per cento, con trenta punti di distacco su DeSantis. Il governatore della Florida poi è reduce da un luglio tremendo, con i finanziatori della campagna che lo attaccano per non aver trovato ancora la sua “voce” e con i primi tagli allo staff elettorale, per risparmiare soldi. Sembrerebbe l’inizio di una disfatta, che potrebbe portarlo al primo dibattito tra i candidati, in programma il 23 agosto, in una posizione di inseguitore senza speranze di un Trump leader incontrastato.
Ma giudicare i candidati a luglio dell’anno pre elettorale è rischioso. Nel 2007 di questi tempi nessuno avrebbe scommesso un centesimo su John McCain come sfidante repubblicano di Barack Obama, come è avvenuto invece nel 2008. E nel luglio 2015 lo stesso Trump veniva dato nei sondaggi intorno al 3-5 per cento.
Le cose possono cambiare in fretta e in Iowa DeSantis può accelerare il cambiamento grazie a un’arma segreta: Bob Vander Plaats. Il nome dice poco a chi non vive nelle pianure del Midwest, ma da quelle parti chi si occupa di politica repubblicana sa che Vander Plaats è l’uomo capace di influenzare l’andamento dei caucus che aprono la corsa alla nomination. Dopo aver fallito un paio di volte come politico nel tentativo di diventare governatore, Vander Plaats si è trasformato in kingmaker attraverso la sua organizzazione, The Family Leader, che riunisce le maggiori denominazioni del mondo evangelico. Più una chiesa che una ong, The Family Leader è la piattaforma di cui tutti i candidati repubblicani cercano l’endorsement, perché è in grado di muovere un gran numero di voti e di mobilitare le folle necessarie a vincere nel meccanismo particolare del voto nei caucus (che avviene per aggregazioni in luoghi pubblici, non con il voto segreto tradizionale nei seggi). Vander Plaats va tenuto d’occhio, perché parla con tutti i pastori evangelici che guidano le mega-chiese nello stato, conosce tutti e capisce l’aria che tira. Ogni candidato gli va a far visita e lui li accoglie a cena a tavola a casa sua, li interroga, li fa pregare e li scruta per capire quanto siano sinceri su Dio e sul tema che sta a cuore ai suoi seguaci: la famiglia tradizionale.
In uno stato popolato quasi al 90 per cento da bianchi, con una fortissima base religiosa e una propensione a votare più sui “valori” che sull’economia, ricevere la benedizione di Vander Plaats significa avere la chiave per la vittoria ai caucus repubblicani. Lui e The Family Leader hanno appoggiato Mike Huckabee nel 2008, Rick Santorum nel 2012 e Ted Cruz nel 2016. Cioè tutti i vincitori delle ultime tornate elettorali in Iowa (nel 2020 Trump correva senza avversari come presidente in carica). Si potrebbe obiettare che in tutti e tre i casi, si è trattato di candidati poi sconfitti nella corsa alla nomination repubblicana. Ma il compito dell’Iowa negli anni scorsi era selezionare il gruppo, ridurre i candidati a 2-3, mentre quest’anno potrebbe essere diverso perché sarà un referendum su Trump. Se l’ex presidente arriva da favorito e vince, non c’è più storia: il resto delle primarie saranno una passeggiata.
Ma se Trump perdesse in Iowa o vincesse di un soffio, il vento potrebbe cambiare. Gran parte dei repubblicani lo sceglie perché ha la fama di vincente, che coltiva con cura dai tempi in cui era solo un personaggio televisivo ricco. Adesso però arriva da tre sconfitte (metà mandato 2018, presidenziali 2020 e metà mandato 2022, in cui i suoi candidati sono finiti ko). Un passo falso in Iowa e arriverebbe per Trump l’etichetta che teme di più: “loser”.
La notizia del momento è che mentre nel resto del paese la base repubblicana sembra disposta a perdonare a Trump più o meno tutto, in Iowa gli evangelici si sono stufati, soprattutto per motivi etici. Vander Plaats, che sostiene di agire “secondo i disegni di Dio”, ha fatto sapere di essere deluso da Trump e di essere rimasto invece molto colpito dai suoi incontri con DeSantis e soprattutto dalla sua famiglia. La moglie Casey (la vera forza motrice del team DeSantis) e i tre figli del governatore, insieme alle posizioni decise di Ron sui temi caldi delle guerre contro la cosiddetta cultura “woke”, hanno fatto breccia in Vander Plaats e i suoi seguaci. Non è ancora un endorsement ufficiale, ma manca poco ed è soprattutto una prima porta chiusa in faccia a Trump. Se l’ex presidente perde le chiese dell’Iowa, difficilmente riuscirà a conquistare lo stato.
E’ per questo che il primo luogo in cui si voterà è diventato così importante. Non c’è mai stata nella storia americana del dopoguerra un’elezione in cui si presenta un ex presidente, plurindagato e superfavorito dai sondaggi. Se vince, prende tutto, perché sarà politicamente blindato. Ma se perde, cambia ogni cosa. Perché a quel punto scatterebbe quel meccanismo della politica americana che si chiama “momentum” e che assomiglia all’onda colta al punto giusto da un surfista: la spinta che farebbe decollare la narrazione di un Trump non più invincibile e di un avversario che ha le carte in regola per farcela.
E l’ulteriore elemento di sorpresa potrebbe essere il fatto che a cogliere l’onda non è detto che sia DeSantis. Come ha sottolineato il commentatore conservatore Ross Douthat, se il governatore della Florida si rivelasse poco convincente per l’elettorato, ci sarebbe già pronta un’alternativa: alle sue spalle in Iowa e altrove sta salendo nei sondaggi il senatore della South Carolina Tim Scott, l’unico afroamericano in corsa per la nomination repubblicana. Un politico ottimista e sorridente che si sta rivelando la novità delle ultime settimane e che piace anche a Vander Plaats. Anche nell’Iowa dei bianchi può succedere che vinca un nero: è accaduto nel 2008: si chiamava Barack Obama e la sua vittoria fu il primo segnale che la superfavorita, Hillary Clinton, era nei guai.