Non contate su Dio
Altro che calcoli matematici. La fede è questione di convenienza
Per dirimere la questione di Dio, ci voleva un ateo meridionale. Pascale e Pascal si ritrovano nella stessa squadra e rifiutano l'antropocentrismo insolente
Per dirimere la questione di Dio, ci voleva un ateo meridionale. Mi spiego: la dimostrazione dell’esistenza di Dio è stata per secoli affidata al versante sbagliato della matematica, quello della catena logica di formule inoppugnabili. Sul manuale di filosofia fioccano esempi, dalla prova ontologica di Sant’Anselmo alla sfilza di cause di San Tommaso, dall’arzigogolo di Cartesio – dimostrare l’esistenza di Dio per dimostrare l’esistenza del mondo – all’identificazione definitoria di Dio, Sostanza e Natura per Spinoza. Kurt Gödel è ritornato per trent’anni sulla “Dimostrazione matematica dell’esistenza di Dio” e le librerie online mi assicurano l’imminente uscita di una “Dimostrazione che Dio esiste”, che presumo competerà con “My mathematical proof of God’s existence” di Andrew Tuitt, decorato sul web di endorsement entusiasti, tipo: “Gli atei non saranno felici di questo libro!”.
Non ne sarebbe stato felice nemmeno uno dei matematici più grandi della storia: Blaise Pascal, al quale il quasi omonimo Antonio Pascale ha dedicato il pamphlet “L’altra scommessa” (Marsilio). La coppia è strana. Da un lato un esperto alverniate di calcolo combinatorio che, a seguito di una crisi mistica, a trentun anni si cuce nell’abito il cartiglio “Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, non dei filosofi e degli scienziati”. Dall’altro uno scrittore ormai maturo, habitué del Foglio, di solida cultura scientifica e che esordisce: “Sono ateo, ma meridionale”. Li accomuna però lo scetticismo verso il tentativo di usare la matematica per dimostrare l’esistenza di Dio, in favore di una più utile dimostrazione della convenienza di Dio. Ateo ma meridionale, Pascale riconosce di essere cresciuto in un ambiente dove conviene credere ai santi, conviene festeggiare l’onomastico anziché il compleanno perché il primo può procurare protezioni soprannaturali mentre il secondo si limita a subire la maledizione del tempo che passa; sa che l’adesione alla religione è frutto di un calcolo che lega la società (conviene a tutti) e travalica le convinzioni identitarie individuali (dirsi ateo, agnostico, rinnegato, new age…). La scommessa di Pascal è nota a tutti. Il succo è che conviene vivere come se Dio esistesse: se vinciamo, otteniamo un guadagno infinito a fronte di una perdita limitata, altrimenti ci becchiamo una perdita infinita a fronte di un guadagno limitato. E’ il versante giusto della matematica, non quello della hybris ma quello più domestico, che regola le nostre azioni minimizzando i rischi.
Fatto sta, considera Pascale, che “il calcolo continua ad apparire come “’na brutta cosa”. Sembra disonesto incardinare la fede (o la sua mancanza) sul fatto che il nostro cervello sia un elaboratore, un algoritmo, anziché sull’impeto sentimentale. Non vale solo per la religione: “A quelli che ricordano la nostra esistenza di calcolatori opponiamo invece la forza dell’amore che, si sa, sgorga da qualche fonte pura e ci illumina e ci migliora eccetera”. Per questo ci convinciamo che esista un nostro io autentico, che stia nascosto da qualche parte dentro di noi, che dobbiamo scovarlo a ogni costo, che saremo realizzati solo quando saremo riusciti a esprimerlo nonostante tutto e tutti; mentre i comportamenti che affidiamo al calcolo e alla convenienza sono un tradimento del nostro vero io.
Non si capisce tuttavia perché debba essere meno autentico il nostro io esteriore, quello che agisce nel mondo tenendo presente i conti in cui affannosamente il cervello si immerge per evitare che facciamo troppe scempiaggini. Quello che, piuttosto che credere o non credere in Dio per partito preso, ci fa calcolare se ci convenga o no; quello che ci convince che incontriamo l’amore per un misto di istinto e determinismo, non già per destino scritto nelle stelle. Più della fede in sé, la vera discriminante fra gli uomini è questo “antropocentrismo insolente”, che ci convince di poter far dipendere il mondo dalle nostre convinzioni anziché adeguarci al mondo con i nostri calcoli; rifiutarlo consente a Pascale e a Pascal di trovarsi a sorpresa nella stessa squadra.