Una giornata lunga una storia intera. Yourcenar e gli intrighi di Chenonceaux
"Con beneficio di inventario", ripubblicato da Bompiani nella bella traduzione di Fabrizio Ascari, raccoglie sette magnetici scritti che spaziano dall’antica Roma fino a Thomas Mann, passando per Konstantinos Kavafis, una Nobel svedese, un poeta un po’ impolverato e Giovanni Battista Piranesi
Marguerite Yourcenar riporta tutti a casa a Chenonceaux, castello, palazzo sull’acqua, quasi un ponte a guardarlo bene: favorite e finanzieri, molte vedove, principi festaioli, precettori svizzeri in vena di intuizioni storiche, per citarne solo alcuni. Stanze attraversate da ogni complotto, boiserie che hanno respirato ogni passione, tappezzerie decorate a lacrime, e voci così belle raccontate dalla scrittrice francese nata in Belgio che viene voglia di salire in macchina e andare subito lì, in Turenne, per guardare e leggere e addentrarsi ancora meglio in questi luoghi dei cui abitanti ormai, dopo aver letto le sue pagine, saremmo in grado di riconoscere i passi. “Con beneficio d’inventario”, ripubblicato da Bompiani nella bella traduzione di Fabrizio Ascari, raccoglie sette magnetici scritti di Yourcenar che spaziano dall’antica Roma fino a Thomas Mann, passando per Konstantinos Kavafis, la premio Nobel svedese Selma Lagerlöf, un poeta un po’ impolverato come Agrippa d’Aubigné e Giovanni Battista Piranesi, che con il suo genio labirintico “trasferirà nell’irrazionale la sostanza di Roma”. Yourcenar parla della storia come se fosse una lunga giornata di cui ripercorrere gli eventi, le intuizioni, i momenti di verità, interrogandone le ombre, gli errori, i gesti volontari e soprattutto quelli involontari, alla ricerca di “quell’afrore di umano”, l’attimo di trasparenza che solo gli storici scadenti e i cronisti con scarso controllo dei propri mezzi spesso lasciano trapelare in maniera purissima. In un lungo pezzo molto letterario, Yourcenar fa a pezzi i depliant turistici che vendono Chenonceaux come castello d’amore. “Sarebbe meglio dire castello del calcolo mondano e della macchinazione finanziaria, e anche delle loro sconfitte, magione del lutto angustiato o della vecchiaia isolata, bersaglio delle controversie che fanno seguito ai fallimenti o alla fine dei regni”. Voluto dalla moglie di un finanziere, fu regalato nel 1547 alla quarantottenne Diane de Poitiers da un Enrico II di vent’anni più giovane, appena salito al trono, devotissimo nonostante il matrimonio con Caterina de’ Medici, una piccola fiorentina scura d’incarnato e tanto rapida di testa. Diane pure sa il fatto suo e si impossessa del castello con “astuzie da notaio disonesto e con un temperamento avaro”, che però nei ritratti da dea rinascimentale non traspare mai, così come le rughe, che aveva saputo domare a colpi di bagni freddi e creme, tanto che quando morì cadendo da cavallo a settant’anni era ancora fresca e bellissima. Al momento della morte di Enrico, ampiamente prevista da Nostradamus, Caterina è costretta a darle qualcosa di consistente per riprendersi Chenonceaux, dove si occupa dei suoi dieci figli, tra cui Francesco II, sposo bambino di Maria Stuarda, e Carlo IX. E poi Margot, la Reine Margot di Dumas, le cui nozze con il protestante Enrico di Navarra verranno macchiate dal sangue ugonotto della notte di San Bartolomeo. Nel castello si fanno feste che svuotano le casse della corona, feste sontuose e splendide, con fuochi d’artificio e rappresentazioni teatrali, damigelle mezze nude, Enrico III vestito da donna e la sua sposa, Luisa di Lorena, scelta per la vaga somiglianza con il grande amore Marie de Clèves, immobile accanto alla suocera, sensibile e delicata ma comunque capace di godersi, all’occasione, un cruento spettacolo di supplizi e squartamento. Enrico poi viene assassinato e Luisa trova riparo a Chenonceaux, che tinge di scuro e abita in modo frugale nel suo lutto senza sole, ricostruito da Yourcenar in pagine indimenticabili. Arrivano altre favorite, i soldi aristocratici non bastano a mantenere i luoghi che decadono, fino a quando non arrivano i finanzieri Dupin, che accolgono in casa il geniale e poco altolocato Jean-Jacques Rousseau, un precettore a sua volta languido con la padrona di casa Madame Dupin, “giovane e commovente signora di Chenonceaux, malinconica sposa del giocatore espatriato nell’isola Bourbon”, secondo la dedica che le viene fatta nell’Emile del 1761. Nessuno sapeva che “quanto quel loro segretario troppo ben nutrito preparava a Chenonceaux era il romanticismo e la rivoluzione”. Quest’ultima non tocca il casello grazie ai trucchi contabili di Diane de Poitiers, che voleva fosse sua e non della Corona. Inoltre era un ponte, e non si distruggono i ponti. Poi ci passano pure George Sand, nata Aurore Dupin, estasiata davanti al figlioletto che svuota il vaso da notte dalla finestra, e Gustave Flaubert, estasiato dai soldi e dal potere, e Yourcenar, che dalla sua lontana Mount Desert Island riaccende la giostra della storia e riporta tutti in vita.