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“Appunti su un'esecuzione”, l'irreversibile trascorrere del tempo di un condannato
Nel libro di Danya Kukafka c'è una storia drammaticamente umana, raccontata con stile mai distaccato. Se fare letteratura significa costruire storie, la maestria dello scrittore sta nel modo con cui padroneggia gli strumenti con cui le racconta: personaggi, tempo e spazio, la scrittrice li utilizza magistralmente
Non stupisce che Appunti su un’esecuzione abbia vinto l’Edgar Allan Poe Award 2023, premio assegnato dai Mystery Writers of America a gialli, horror e thriller, come miglior romanzo: con questo libro, Danya Kukafka ci regala infatti una storia drammaticamente umana, raccontata con stile mai distaccato.
Il protagonista è Ansel Packer, detenuto in attesa di esecuzione nel braccio della morte di un penitenziario statunitense. Le ultime dodici ore della sua vita terrena sono scandite dall’irreversibile trascorrere del tempo, che l’autrice riassume in capitoli intitolati proprio con il numero delle ore rimanenti. A questi, l’autrice intreccia quelli in cui racconta le vite delle donne che hanno avuto a che fare con lui. Dalla madre Lavender che lo ha partorito e abbandonato negli anni Settanta, abbagliata da una relazione giovanile sfaldatasi tra le assi di legno di una fattoria di provincia, alla moglie Jenny con la gemella Hazel, alla compagna di istituto Saffron Singh. Se fare letteratura significa costruire storie, la maestria dello scrittore sta nel modo con cui padroneggia gli strumenti con cui le racconta: personaggi, tempo e spazio. Kukafka li utilizza magistralmente, spostando l’asse temporale avanti e indietro e – soprattutto – cedendo la parola (o, meglio, il punto di vista) alle donne, che raccontano le loro versioni dei fatti. Tutte, come detto, ruotano attorno ad Ansel, un uomo incapace di distinguere bene e male, concetti a cui ha dedicato tutta la vita elaborando e scrivendo una Teoria: nessuno è solo cattivo e nessuno è solo buono, ma viviamo, tutti uguali, nel torbido grigiore che sta in mezzo. E’ così che ha dato un senso a se stesso, alle mancanze che l’abbandono dei genitori e il passaggio da un istituto affidatario a un altro hanno lasciato sulla sua crescita, e che ha sfogato in atti di crudeltà sempre più disumana. Se, undicenne, le sue vittime erano gatti e animali, a fare le spese della sua morale a dir poco opaca saranno poi tre ragazze, che solo la testardaggine di Saffron, ora divenuta abile capitano di polizia, saprà ricondurre a colui che sembra una persona normale, anche se non eccelsa.
Tuttavia, il pregio migliore di Kukafka non sta nel fermarsi alla ricostruzione del mostro contro cui agevolmente puntare il dito (sebbene, nei capitoli dedicati ad Ansel, il narratore gli si rivolga con il tu, mentre per le donne usi un più neutro pronome lei). L’autrice mostra che giusto e sbagliato possono essere i lati opposti di una stessa medaglia e convivere, anche se in un’apparente contraddizione, in una stessa persona. Nella vita da fallito di Ansel spunta infatti, per caso, un’altra ragazza innocente: sua nipote, figlia di un fratello che non sapeva più di avere. Con lei, Ansel è un’altra persona: dolce, premuroso, generoso. Ma una redenzione, oltreché impossibile, sarebbe ingiusta, anche se la giustizia prende la forma di un altro assassinio, sebbene legale, lasciandoci smarriti a chiederci se far subire al carnefice la stessa pena delle sue vittime possa servire davvero a qualcosa. Un’esecuzione capitale è un gesto, un momento: il suo valore, come ogni atto che termina una vita, cambia a seconda dei punti di vista. Per Ansel è il terrore dell’ignoto, per le sue vittime un gesto postumo o un atto dovuto, ma per Blue, la giovane nipote, l’ultimo istante di vita di una persona a cui, per come l’ha conosciuta lei, non ha potuto che voler bene.