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L'opera

“Povere creature!” è un capolavoro che non merita etichettature femministe

Antonio Gurrado

Il romanzo di Alasdair Gray, così come il film fresco di presentazione a Venezia, è al contempo un atto di guerra contro il patriarcato e la sua esaltazione. La sua complessità non può essere ridotta a una frasettina buona per i social

Lo hanno fatto più o meno tutti ma, prima di mettersi a dire che “Povere creature!” è un atto di guerra contro il patriarcato, una storia di ribellione contro il ruolo della donna in età vittoriana, un rutilante esempio di liberazione femminile, ecco, prima di dire tutto ciò conviene notare un dettaglio non banale per il lettore non anglofono. Sia il film di Yorgos Lanthimos, fresco di presentazione a Venezia, sia il romanzo di Alasdair Gray, che risale al 1992 ma è stato appena pubblicato in italiano dall’eroico Safarà Editore, ruotano attorno al manoscritto – ovviamente fasullo – di un medico di fine Ottocento, che sostiene di avere sposato una donna riportata in vita da un collega (Emma Stone versione dark, nel film); costei, essendo nata a nuova vita adulta senza alcuna esperienza o educazione pregressa, esplora la vita sentimentale e sessuale con un’innocenza che sbaraglia i canoni morali dell’epoca e un po’ anche i nostri. Ora, l’ultimo capitolo del manoscritto inizia con le parole “Lettore, lei mi ha sposato”, calco di una citazione celeberrima oltremanica: il “Reader, I married him” da “Jane Eyre” di Charlotte Brontë

Lo pseudo manoscritto trabocca di citazioni implicite dalla letteratura vittoriana e, curiosamente, menziona spesso il romanzo altrettanto famoso di un’altra Brontë, Emily, ovvero “Cime tempestose”. E’ come se l’autore volesse lasciar intuire al lettore che si tratta di una storia d’amore morbosa, salvo poi ribaltare la prospettiva con quella citazione finale, che associa la trama al percorso di empowerment compiuto dalla protagonista del romanzo di Charlotte Brontë. Fin qui, dunque, chi legge “Povere creature!” come un manifesto femminista ha perfettamente ragione.

Se non che il romanzo non finisce lì. Sia nel senso che continua dopo la fine del manoscritto, sia nel senso che si aggiunge un ulteriore livello di interpretazione: viene riportata infatti una lunga lettera ai posteri da parte della protagonista, la presunta donna rivissuta, che contesta punto per punto i contenuti del manoscritto, mostrandosi anche piccata e irritata per il modo in cui il marito ormai defunto ne ha descritto il comportamento. Ci troviamo così di fronte a un paradosso: se diamo credito al manoscritto, “Povere creature!” è sì una storia di emancipazione femminile ma dipende tutta dal punto di vista patriarcale dell’autore, il marito della protagonista. Se invece diamo credito alla donna, ossia alla sua lettera di smentita, allora non lo è.

Alasdair Gray – autore di raffinato sperimentalismo, praticato con cesello e dinamite in “1982 Janine” (sempre Safarà) – è tuttavia un maestro dell’illusionismo letterario. Aggiunge perciò un terzo livello di lettura, tramite note storico-critiche autografe in cui lui stesso si fa carico di dimostrare punto per punto come i contenuti del manoscritto siano veritieri, controllando addirittura i riferimenti topografici. Inutile dire che è un inganno. Se risultano veritieri, se le note certificano costantemente la narrazione contenuta nel manoscritto, è proprio perché esso è posticcio, un falso d’autore prodotto da Gray combinando fantasiosamente elementi assurdi puntellati da dati di fatto reali; che è poi il modo in cui si scrive narrativa.

Quindi, se sospendiamo l’incredulità, “Povere creature!” è una storia di emancipazione; se soppesiamo il libro per quel che è, un’opera d’arte scritta, ci troviamo a dover dare ragione alle remore contenute nella fittizia lettera della protagonista: tutto è inverosimile e costruito artatamente attorno al delirio di onnipotenza di due medici, alla loro hybris maschilista. E allora, siamo di fronte a una storia femminista oppure no? Il guaio è proprio che la caratteristica di “Povere creature!” è di essere al contempo un atto di guerra contro il patriarcato e la sua esaltazione, una storia di ribellione e di sottomissione, un esempio di liberazione e un’epitome dell’età vittoriana. La sua complessità non può essere ridotta a una frasettina buona per i social. Altrimenti non sarebbe un capolavoro.

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