Il saggio
Rothbard contro la livella che vorrebbe trasformare l'umanità in formicaio
L'economista e filosofo libertario spiega come la sinistra sia riuscita a guadagnarsi il monopolio dell’etica e della morale, proponendo il proprio ideale di uguaglianza come il più elevato che l’umanità possa raggiungere
In Contro l’egalitarismo (Liberilibri), il grande economista e filosofo libertario Murray N. Rothbard spiega come la sinistra sia riuscita a guadagnarsi il monopolio dell’etica e della morale, proponendo il suo ideale di uguaglianza come il più elevato che l’umanità possa raggiungere. Nel testo, Rothbard, a parte sottolineare l’impossibilità pratica della realizzazione di tale ideale, dimostra brillantemente anche la profonda immoralità e disumanità di tale cosiddetto ideale che, scontrandosi semplicemente contro la pluralità insita nella natura umana, trasformerebbe l’intera umanità in un formicaio e segnerebbe la fine di qualunque forma di civiltà.
La sinistra e i liberals propongono l’ideale della giustizia sociale che condurrebbe a un’uguaglianza di condizioni e opportunità. A questo proposito va sempre tenuta presente la questione del rapporto tra invidia e giustizia sociale. Innanzitutto, occorre partire dal presupposto che le doti naturali non siano livellabili e trasferibili, quindi le disuguaglianze e la conseguente invidia non potranno mai essere del tutto eliminate. Il liberal socialdemocratico cerca di camuffare l’invidia in termini di giustizia sociale, tuttavia, dal momento che l’invidia è una sensazione dolorosa, si potrebbe essere convinti che valga la pena ricercare un sollievo da tale dolore nonostante le conseguenze dannose che questo potrebbe avere sulla società. Alleviare il dolore causato dall’invidia potrebbe giustificare l’alterazione delle regole sociali basate sul merito e sul mercato. Quindi il nostro impegno dovrebbe essere volto tutto ad alleviare le disuguaglianze, perché sono queste che generano invidia.
In realtà, l’ideologia di sinistra si concentra sul livellamento di un unico fattore, cioè a dire quello della ricchezza, dal momento che il denaro è l’unica cosa realmente divisibile e trasferibile. Non è possibile, per lo Stato, redistribuire doti quali la bellezza, la compostezza, l’educazione, le capacità scolastiche o quelle sportive. Resterà sempre qualche disuguaglianza che susciterà la sensazione dolorosa dell’invidia. Non a caso Rothbard cita la letteratura distopica, come il romanzo di L.P. Hartley, Giustizia facciale, in cui in un mondo da incubo popolato da creature identiche e senza volto, lo Stato garantisce che tutte le ragazze abbiano dei volti carini. Queste, infatti, vengono sottoposte a interventi di chirurgia estetica al fine di livellarne l’aspetto, in modo che nessuna sia particolarmente bella o particolarmente brutta, ma sia nella media. Tutto questo è incredibilmente attuale se pensiamo alle esasperazioni del politicamente corretto e dell’inclusività. Oggi si viene severamente ostracizzati dalla società se si osa sottolineare la non avvenenza di una donna o il fatto che sia sovrappeso od obesa, cosa quest’ultima che pregiudica gravemente la salute.
Quel che si deve dire è che si è tutti diversamente belli e il motto grasso è bello campeggia sulle copertine delle riviste di moda. Le campagne pubblicitarie debbono essere inclusive per non essere tacciate di essere discriminatorie e quindi includere donne magre, grasse, obese, efebiche, androgine, sessualmente fluide e così via. Le stesse sfilate di moda oggi non possono rinunciare ad avere modelle diversamente belle o palesemente sovrappeso in omaggio al politicamente corretto. Altra distopia citata da Rothbard è il racconto di Kurt Vonnegut, Harrison Bergeron, che descrive una società veramente egalitaria nella quale nessuno è più bello o più intelligente dell’altro. A chi è dotato di un’intelligenza superiore alla media viene imposto di portare nell’orecchio un apparecchio acustico che trasmette rumori fastidiosi ogni venti secondi, in modo che nessuno possa trarre un vantaggio ingiusto dalle proprie facoltà mentali superiori. Ebbene cosa ci ricorda tutto questo se non le polemiche della sinistra contro la cosiddetta società della prestazione e soprattutto contro la bestia nera della meritocrazia? Scrive Rothbard: “Vedendosi sconfitta e sbaragliata sul piano strettamente economico (in contrasto con la vecchia sinistra degli anni Trenta, l’economia marxista e la teoria del valore-lavoro non sono mai state il cavallo di battaglia della Nuova Sinistra), la sinistra si è issata sulla presunta altura morale dell’egalitarismo”.
In effetti, ormai, da nessuna parte della sinistra si sente più sostenere la bontà dell’economia marxista, che è ormai sconfitta, superata e improponibile. E dunque, che fare? Le distopie cui si è accennato più sopra sono quanto mai attuali. La nostra è l’epoca del politicamente corretto o, come direbbe Tocqueville, della tirannia della maggioranza che “traccia un cerchio formidabile intorno al pensiero”. Chiunque osi fare riferimento a differenze di etnia, di aspetto fisico, di capacità, di merito o critichi il transessualismo ovverosia la disforia di genere, viene colpito dall’emarginazione. […] Per concludere, è possibile affermare che Rothbard nei saggi contenuti in Contro l’egalitarismo, originali e incredibilmente attuali, riesce come sempre, grazie alla logica cristallina e alla coerenza del suo discorso, a presentare al lettore le varie problematiche da una prospettiva diversa, a farlo riflettere su questioni quasi sempre date per scontate, ad aprire nuove possibilità, nonché ad appassionarlo, perché le cose non sono mai così semplici come possono apparire in prima battuta.
Il testo proposto è un estratto dalla prefazione di “Contro l’egalitarismo” dell’economista e filosofo americano Murray N. Rothbard (1926-1995). In libreria per Liberilibri, 156 pp., 18 euro, è tradotto e curato da Roberta Adelaide Modugno con la postfazione di Alessandro Fusillo.