il racconto
Perché mi piace il sud
Passare sempre più tempo fra Puglia e Lucania, sentire il bisogno di trasferirsi definitivamente in un’Italia che è distanza, lontananza, assenza. Ascoltando anche le ragioni e i sentimenti di alcune fra le migliori menti meridionali
Perché passo sempre più tempo fra Puglia e Lucania? Perché sento il bisogno di trasferirmi definitivamente al Sud? Non l’ho capito bene nemmeno io. Per fare ciò che faccio di pretesti ne trovo, sono abilissimo a trovarne, troverei pretesti anche per andare ad abitare a Sondrio se soltanto me ne venisse l’uzzolo. Ma sono appunto pretesti. Siccome sono un uomo piuttosto fortunato, e un letterato privilegiato, e un neghittoso inveterato, lo sforzo di comprensione non lo chiedo a me stesso bensì ad alcune fra le menti meridionali migliori, scegliendole fra chi è più aduso a confrontare Nord e Sud (farci caso: piaceri e dispiaceri del Sud sono quasi sempre in rapporto ad analoghi e contrari dispiaceri e piaceri del Nord). Ora che gli ultimi turisti se ne stanno andando e che il Sud sta per rimanere solo soletto. Nei giorni che precedono l’amatissimo mare d’inverno.
Parto dalla fine, parto da Giuseppe Culicchia e dunque da Marsala, la città siciliana del padre come si evince da “Sicilia, o cara. Un viaggio sentimentale”. Giuseppe, cosa ti piace del Sud? “La violenza (del sole, dei colori, delle passioni); il calore (dell’ospitalità, della famiglia); il rimpianto (per ciò che poteva essere e non è stato, per le foreste che coprivano la Sicilia, per la fine del sogno universalista di Federico II di Svevia…)”. In poche righe Culicchia mi spiega perché fra il mio Sud e la sua Sicilia non c’è collegamento. Forse nemmeno il Ponte lo realizzerebbe: detesto la violenza in ogni sua forma, anche climatica e cromatica, detesto enfasi e passionalità, detesto come André Gide le famiglie, e intorno alla figura dell’imperatore scomunicato sento odore di islamofilia. Pussa via. Il Sud per me è il Regno di Napoli, la gran terra che va da Gaeta a Scilla, dal Tronto a Taranto a Crotone. A proposito di Calabria, ecco la nostra Marina Valensise: “Amo il Sud perché è insieme primitivo, selvaggio e sofisticato come può esserlo un luogo di remota e sempre viva civiltà. Perché territorio del non conforme è lo spazio d’elezione che resta alla libertà”. Territorio del non conforme? Interessante. In effetti quando sono in Puglia cerco sempre di servirmi da venditori di frutta e di verdura privi di registratori di cassa, commercianti non molto in regola, e ne trovo ancora parecchi, e risparmio, e respiro. Nello spazio che resta alla libertà. Insieme a me respira l’economia. Come disse Milton Friedman “l’evasione fiscale ha salvato l’Italia, sottraendo ingenti capitali al controllo delle burocrazie statali”. Il mio ortolano senza scontrino e senza pos non lo sa ma sta salvando l’Italia, l’altro giorno c’era un turista milanese che voleva pagare con la carta: se n’è andato scornato, il servo delle burocrazie statali.
Per questa indagine ho molestato soprattutto meridionali saliti al Centro-Nord ma esistono percorsi in senso opposto come quello di Pierangelo Dacrema, onomastica evidentemente padana e carriera universitaria cosentina: “Della mia Calabria amo la forma così come è stata decisa dal mare, dentro quasi solo colline e montagne verdi, un insieme attraente per chi ha la pianura nelle vene. Del Sud amo il femmineo, caldo, profondo, conturbante. E poi è nel Sud che si respira il Mediterraneo, il meglio dell’Oriente e dell’Occidente con un profumo d’Africa, con un senso di pace e riconciliazione con le origini: non le proprie, le origini di tutto”. Come come? Africa? Oriente? Se Dacrema insiste mi tocca espungere dal mio Sud anche la Calabria, e sarebbe un peccato, e mi dispiacerebbe per Fabrizio Ruffo, Rino Gaetano, Loredana Bertè. Per fortuna arriva in soccorso Cristina Rombolà che scrivendo di cibo mi consola puntando non su suggestioni straniere ma su cultura locale, gastronomia vernacolare: “Sembrerò retorica ma credo che al Sud si riesca ancora a mangiare bene con poco. I peperoni fritti con le patate, i bucatini con lo stocco o la frittura di sùrici (pesci pettine) che mangio in Calabria sono introvabili al Nord. Li puoi anche replicare, ma non è la stessa cosa. Sono le materie prime a fare la differenza”. Detto fra noi io un pesce pettine non l’ho mai visto, né al Sud né al Nord e nemmeno al Centro. Scopro il suo aspetto, e i suoi dentini perfidi, solo ora grazie a Google. Se lo si trova su un bancone, leggo, costa a volte la metà a volte un terzo del salmone di allevamento e allora il ministro Lollobrigida non aveva tutti i torti nel suo discorso un po’ attorcigliato sui poveri che in Italia mangiano meglio dei ricchi. A parte che, non essendo sciocco come si vuol far credere, il titolare dell’Agricoltura aveva aggiunto “spesso”, avverbio di frequenza che i critici pregiudiziali del governo hanno fatto finta di non sentire… Provo a sciogliere il garbuglio io: i poveri che vivono nelle località costiere meridionali possono, magari impegnandosi un po’, mangiare meglio dei ricchi che vivono a Milano e ordinano cibo a domicilio. Messa così credo sia inconfutabile. Poi è chiaro che la cosa migliore, dal punto di vista dell’alimentazione e non solo, sarebbe vivere nelle medesime succitate località (che so, Trani, Molfetta, Monopoli, Gallipoli…) e ritrovarsi per giunta ricchi. Mai mettere limiti alla Provvidenza.
Aggiro il Pollino e finalmente arrivo in Lucania, vulgo Basilicata, la terra mia e di Andrea Di Consoli: “Nonostante le tante cose brutte e finanche orribili che vi sono, nel Sud sento ancora vivi, qua e là, tre valori che mi stanno molto a cuore: umiltà, follia, carnalità”. Peccato che la follia a me non piaccia proprio: sono amantissimo della salute mentale. La carnalità, sebbene non certo sinonimo di ragione, mi appare più auspicabile ma non riesco ad assegnarle un epicentro geografico: forse Napoli? In montagna non direi, sul pallido Adriatico nemmeno… L’umiltà sì, sono sensibile all’umiltà altrui e a tale virtù intendo collegare il “voi” come forma di cortesia. Quasi mi commuovo quando mi danno del voi e al Sud succede abbastanza spesso e non soltanto dal vecchio barbiere. Incredibilmente capita anche con parlanti giovani che così si dimostrano refrattari al freddo “lei” televisivo-milanese. Com’è che diceva Marina? Eccolo il non conforme… Non so come possa sussistere simile resistenza linguistica, ma sussiste.
Resto in Lucania con Carmen Pellegrino, e non segnatemelo come errore, io uso l’atlante che mi fa comodo al momento e di rado è un atlante postunitario. Più spesso è borbonico oppure antico romano… La scrittrice abbandonologa (specialista di paesi abbandonati) è nata a Polla che nella mia geografia personale non fa parte della Campania. Più che in Vincenzo De Luca io credo in Strabone, delimitatore di una regione culturale “dal Sele al Lao”. E Polla si trova per l’appunto fra questi due fiumi, così come Postiglione dove l’autrice di “Cade la terra” è cresciuta e dove torna. “Del Sud mi piace che in un paesino lucano di 570 abitanti un gruppo di ragazzi recupera le tradizioni più antiche, i grani e le farine (il mischiglio), le forme della pasta (i rascatielli), per tenere unita la comunità e sperare in qualche nuovo arrivo”. Il paese in questione si chiama Fardella ed è in provincia di Potenza, laggiù da qualche parte nell’alta valle del Sinni. Credo che la stragrande maggioranza dei potentini non ci sia mai stato. Nemmeno io ci sono mai stato, nonostante la fondovalle Sinnica l’abbia percorsa varie volte anche di recente. Per dire quanto è discosto e marginale. E però oggi si trova al centro di una vicenda, di un tentativo: “Un giorno dello scorso agosto mi invitano con Peppone Calabrese a tenere un dibattito sui paesi che si spopolano. Il giorno successivo la sindaca Mariangela Coringrato, una pasionaria, e Luchino e gli altri ragazzi mi portano a vedere la stanza che hanno pensato come bibliomediateca. Vi piacerebbe avere una biblioteca piena zeppa di libri? chiedo loro. Magari, rispondono, sarebbe bellissimo. Quel giorno stesso scrivo un post su Facebook invitando editori, librai e chiunque voglia farlo a mandare in regalo un libro a questi ragazzi. Il post ha molto seguito, la nascente biblioteca di Fardella, o meglio il desiderio di questi ragazzi che non se ne vogliono andare, diviene un desiderio che percorre l’Italia da Sud a Nord. Radio Rai 3, Radio Rai 2 se ne occupano. Librerie organizzano punti di raccolta e si fanno carico delle spedizioni… Mai visti ragazzi più felici di ricevere libri”. Se passo per anaffettivo una ragione ci sarà: queste storie edificanti faticano a intenerirmi. E’ inutile, un anticomunista non potrà mai essere un filocomunale. Sindache, pasionarie, bibliomediateche mi respingono già a livello di lessico. Alla passione preferisco il sentimento, all’emozione la riflessione. Eppure adesso so che Fardella esiste e spero che continui a esistere coi suoi rascatielli e i suoi ragazzi: sono davvero scettico, non sono davvero cattivo.
Sossio Giametta lui sì che è campano, essendo nato nel 1929 a Frattamaggiore, tra Napoli e Caserta. Residente a Bruxelles, villeggiante ogni estate a Marina di Leuca, è un fulgido esempio di spola fra Mezzogiorno e Mezzanotte. Quali sono le peculiarità meridionali? “Le bellezze naturali, marittime e non marittime, ampiamente arricchite di storia, cioè di monumenti dell’antichità classica, un clima dolce e soprattutto, come integrazione della relativamente rozza e povera sfera affettiva dei settentrionali (in cambio di una maggiore sfera razionale e d’intrapresa), una ricca civiltà dei sentimenti, anche però purtroppo con i suoi eccessi, e la sua corruzione; una vivacità intuitiva, a fronte di una minore razionalità”. Tanta roba, ma dal gran traduttore e ancor più grande commentatore di Nietzsche non è tutto: “La cucina, specie quella napoletana, spaghetti e pizza cibi mondiali, e quella siciliana, imbattibile per i dolci; la filosofia, che gira essenzialmente intorno a Napoli, soprattutto coi giganti San Tommaso, Bruno e Vico; e la comicità, forma rovesciata della filosofia, come fin troppo spesso la filosofia diventa la forma rovesciata della comicità; il senso dell’ospitalità, che culmina in Sicilia”. Tantissima roba, pure troppa per un articolo, potrebbe essere lo schema di un libro. Che non scriverò perché da grande non voglio fare il meridionalista, triste destino che prego mi sia risparmiato. Volevo soltanto capire perché sento il bisogno di trasferirmi al Sud. Di sicuro non per spaghetti e pizza, cibi di infinito successo perché infinitamente e irrimediabilmente plebei.
Puoi riempirti la bocca di “pizza gourmet” finché vuoi, sempre di pizza te la sei riempita. Fra l’altro spaghetti e pizza non esauriscono Napoli, partenopei sono anche il sartù e il gattò, piatti borghesi se non aristocratici che preferisco di gran lunga. Il clima dolce? Potrebbe essere. La gentilezza, l’ospitalità? Forse pure la gentilezza e l’ospitalità. Da paragonare con la sfera affettiva dei settentrionali. Come l’ha definita Giametta il Coraggioso? “Rozza e povera”. Stupendo.
Vediamo cosa suggerisce Daniele Rielli: “Per me il Sud equivale al Salento quindi come prima cosa direi la Luce”. Ecco, la luce. Che debba una buona volta leggere, a tal proposito, “Elogio della luce” del tranese Giovanni Macchia? No, Rielli mi rimanda a un passaggio del “Fuoco invisibile”, il suo reportage molto ben confezionato (mi ha fatto venire voglia di scrivere un libro con lo stesso metodo) su ulivi e xylella: “Ci sono terre che ispirano meditazione, terre dove una tensione spirituale sembra attraversare ogni cosa. La peculiarità della luce e le complesse teorie di nuvole che la tramontana dispiega sopra la terra arsa e il mare in tempesta concorrono a fare del Salento un territorio naturalmente dotato di un afflato magico”. Io non sono portato per la magia, sono più attratto dalla fotografia e lo avevo già notato che in Puglia le foto vengono molto meglio che a Parma, dove pur abitando all’ultimo piano sono costretto ad accendere la luce anche di giorno. Pertanto: trasferirsi al Sud per migliorare le proprie foto. E non in un Sud qualsiasi ma nel Sud del Sud dei Santi e di Rielli, nella Terra d’Otranto in cui le nuvole sono addirittura più belle che in Terra di Bari. Sarà che verso Leuca il vento accelera, plasmando e trascinando i cumuli bianchi destinati allo Jonio. Anche il vento può motivare un trasloco. Non in tutto il Nord ma certamente in tutta la Val Padana trascorrono intere settimane senza vento. Come si può vivere dentro una bonaccia perpetua? Quando ci si abitua al vento non si riesce più a sopportare un’estate senza un refolo, sembra di marcire. Fui guareschiano e ghirriano, oggi della Bassa dall’aria ferma sento di poter fare a meno. Moreno Pisto che dirige una testata velocistica (Mow – Men on wheels) anela a un Sud lentissimo: “Per me il Sud è non fare niente. Sono cresciuto dove si passavano le giornate su una sedia, a guardare, e i pomeriggi al bar, a non fare niente. Per me l’ozio e l’oblio sono cose meravigliose, anticontemporanee ma vaffanculo la contemporaneità fatta di performance e di successo. Non fare niente e mangiare è bellissimo”.
Non ne dubito. Riuscendoci. Molti ci riescono, li vedo abbronzarsi per sei mesi sulle scogliere e non sembrano avere un pensiero al mondo. Molti non ci riescono e se ne vanno al Nord come ha fatto Pisto oppure si alzano prima dell’alba per lavorare tutto il giorno sotto il sole feroce come il mio vicino contadino (soltanto al Sud puoi abitare in città e avere un vicino contadino col trattore nel garage di casa). Marcello Veneziani al Sud ha dedicato almeno due libri, gli chiedo tre parole per sintetizzare le nostre regioni e risponde: 1) luce; 2) pensiero; 3) controra. “Se vuoi una breve spiegazione direi: il Sud ha un lucore che trovi solo al Sud, una festosa amicizia col mondo e con la natura che ti riconcilia con la vita; il Sud è poi un geo-pensiero, localizzato (cogito ergo sud), che scorre senza scorrere, da Parmenide a Vico (di cui ho scritto la prima biografia); e poi lo sperpero di tempo della controra, il lusso dei poveri meridionali di fermarsi, oziare e dormire dopo pranzo per ore, lasciando le strade ai demoni meridiani”. Di nuovo la luce, di nuovo la lentezza. Concordando fra loro, certo senza essersi accordati in precedenza, i miei interlocutori cominciano a convincermi.
Si dice che il Molise non esista, ovviamente non è vero e lo provano la più antica fabbrica di campane del mondo e l’università dove insegna Ivo Germano: “Prossimo al ventitreesimo anno di pendolarismo chic Bologna-Campobasso, ultimo tratto in pullman da Termoli, telegrafico rispondo: i cieli tersi, il distacco dalle scocciature e beghe di città, i tempi e gli spazi vuoti. Da tornarci e restarci. Come l’Alfiere di Carlo Alianello”. Mai letto Alianello, un po’ per le dimensioni (487 pagine nell’edizione Rizzoli), un po’ per evitare il rischio di diventare un neoborbonico di professione. Viva Maria Sofia, ultima regina, eroina di Gaeta, e al contempo viva il dilettantismo, il capriccio, la divagazione. Nella lunga lista dei libri da comprare mi accorgo che l’unico titolo di ambientazione meridionale è “Vecchia Calabria” di Norman Douglas, un inglese epicureo, non un italiano lamentoso. Voglio che questo articolo sia l’alfa e l’omega delle mie considerazioni sul tema. Nessun seguito. One shot.
Salgo fino ai confini del Sud, in quell’Abruzzo che geograficamente è Centro ma storicamente e culturalmente e linguisticamente è Sud senza dubbio alcuno. Pure economicamente: lo hanno appena infilato nella ZES Unica Sud, Zona Economica Speciale per provare a tirar su la Bassa Italia… Teramo è la città meridionale più settentrionale, erano di qui Marco Pannella e Ivan Graziani, è di qui l’autrice di “Portami dove sei nata. Un ritorno in Abruzzo, terra di crolli e di miracoli”, Roberta Scorranese: “Mi piace l’assenza di giudizio, che al Sud non è tanto un’attitudine etica, quanto piuttosto una conseguenza. Conseguenza dell’essere sempre sottoposti al giudizio dell’altra parte dell’Italia”. Oltre l’Abruzzo non posso andare, di là dal Tronto ci sono le Marche e anche se i dialetti piceni sono classificati come meridionali io quando sono a Grottammare mi percepisco nello Stato Pontificio.
Dunque mi fermo anzi torno indietro e salgo di quota e arrivo in Alta Irpinia per appellarmi a Franco Arminio che ha fatto del Sud musa e lavoro. Notoriamente lo invidio. Alla mia domanda risponde: “La luce. Il fatto che l’economia non si è preso tutto. I paesaggi poco abitati dagli umani”. Col poeta di Bisaccia, bardo dell’Appennino, ho un rapporto dialettico come si sarebbe detto una volta, prima del manicheismo totale attuale che ha cancellato ogni possibilità di dialogo vero, di disponibilità a conversare fra persone che non la pensano allo stesso modo su tutto e che sono perfino disposte a cambiare idea su qualcosa. Stavolta sono d’accordo per due terzi. D’accordissimo sui paesaggi rarefatti. Io e Arminio apparteniamo allo stesso Sud spopolato, nulla a che fare con Napoli la cui cosiddetta città metropolitana ovvero la provincia, 2.600 abitanti per chilometro quadrato, detiene il primato nazionale dell’affollamento. Con epicentro Casavatore, primo comune italiano per densità abitativa e suolo consumato. L’inferno del misantropo. E non solo del misantropo: Caivano è a otto chilometri. All’opposto il mio Sud è distanza, lontananza, assenza. Quando vado a Potenza e salgo la Murgia da Corato verso Gravina e per chilometri e chilometri non una casa e non una macchina, solo il falco alto levato, c’è un momento in cui mi accorgo di stare molto meglio. Scomparsi rimpianti e speranze. Svanite le tacche del telefono: per una buona mezz’ora non mi disturberà nessuno. Atarassia, serenità. Sembra impossibile ma su questo altopiano vasto e vuoto un tempo passarono dei soldati, dev’essere stato tantissimo tempo fa e non si capisce che interesse avrebbero a tornare. Da Federico II a oggi, anche dal brigantaggio a oggi, la geopolitica è molto cambiata. Mi inoltro in un territorio non più attraversato: scavalcato. Tornare dove la storia non può tornare, questo mi piace.