Versi d'ombra
La poesia che diventa una questione privata per Tito Balestra
L’arte tanto amata, i libri ripubblicati. Una voce insolita e in punta di piedi, ma assai incisiva. Lirica, ironica, paradossale
Mi ricorderanno goffo, maleducato, vanesio, col fegato rovinato e la pronuncia contadina”, così pensava Tito Balestra. Lui forse non sa che merita di essere ricordato come una delle voci significative e originali del Novecento. Una voce insolita e in punta di piedi, ma assai incisiva, si scopre esplorandolo, nella traccia che rimane. “Una notte, la più lunga per l’insonnia / ho vagheggiato di esserti vicino / e darti calci e anche spiegazioni”. Questo poeta così lirico, ironico, paradossale – “Fotogenico è il cuore, / gronda affetto, da tutti i rotocalchi” – morto nel 1976; nasceva cento anni fa, in Emila Romagna. “Non amo comandare / e non amo servire, / per fortuna vivo / come se non contassi / Ma la buccia che reggo / è fragile e ingombrante, / trova sempre uno spigolo / per farsi lacerare”.
Il 1923 è un anno che, a quanto pare, ha dato vita a molte grandi figure che hanno dato lustro alla letteratura, e restano in noi, e nella memoria del nostro tempo, con opere che sono classici, nel significato perfetto che Italo Calvino ha dato di questa parola: un classico è un libro che non finisce mai di dire quello che ha da dire. “Vani tutti i tuoi gesti… / vana vita / che moralizza per tenersi a galla”. Di recente, chi scrive ha avuto il privilegio di rendere omaggio a questo poeta, a Longiano, suo suggestivo paese natale, con una lettura di poesie, nell’ambito della Milanesiana di Elisabetta Sgarbi. “Sarà storia / per la patria in orecchie”. E proprio in occasione del centenario della nascita, la Nave di Teseo ripubblica, con la prefazione di Alberto Bertoni, i versi di Balestra in un volume che contiene le due raccolte poetiche più note: “Quiproquo” e “Se hai una montagna di neve tienila all’ombra”, edite per la prima volta da Garzanti, negli anni Settanta. “A meraviglia si vive, non dartene pena / a meraviglia si muore / nel breve intervallo vale qualunque saggezza”. Credo che quel titolo di neve e di ombra, di una delle raccolte, tenendo conto delle “sottigliezze del vivere”, sia un invito alla custodia di ogni cosa che è preziosa, “mentre il mondo consuma / anni e maledizioni”. Accade, è noto, che le cose preziose tendano a essere fragili, perdibili, ma la fragilità e la sua consapevolezza, sono un terreno fertile per nuove forze, per uno sguardo più largo sulle cose e su stessi. Vale la pena di ricordarselo. “Annodavo / inezie e sogni”.
Non è mai facile parlare di un poeta, “m’impiglio a volte come dentro una rete”, e forse non è mai facile parlare di nessuno, perché lo si dovrebbe definire, contenere, e sebbene oggi ci si accanisca con le etichette, noi siamo e restiamo così elementari e immensi, così imprevedibili nella nostra prevedibilità che la definizione diventa complicata. “La lentezza mi muove, so di tanti / che li muove la fretta”. Tito Balestra era uno che puntava alla gioia, una cosa difficile da raggiungere, anche quando è a portata d’occhi. “In una morbida luce / la distanza che ci separa / è più breve: / potremmo guardarci / se tu mi guardassi”. E intanto, come ogni poeta che faccia della poesia un’attitudine, si guarda intorno, “poco è rimasto elenchi di parole / oziare d’occhi, mi somiglia un tale / somiglio a un altro”, e ci regala uno specchio dove riconoscerci, “fiero, lucente e fragile / come un pezzo di cellofan”. E’ superfluo precisare quanto aderente sia al presente questo poeta di rara vividezza. “I tempi ti corrompono, venali / sono i tempi che corrono, per niente / per poco ti baratti… Sei una goffa scoreggia / che fa chiasso / e trotta allegra con solennità, / ma a riverirti c’è sempre qualcuno / che ti somiglia e neanche lo sa”. Romagnolo nella tempra, acuto e vivace nello sguardo. “Pietosissima / è la storia del cane, da tre giorni / non abbaia, né morde”. Uno dei tanti a non avere conseguito la laurea che tuttavia dimostra, come spesso succede, di essere più dottore di tanti altri titolati. “In ogni puzzo capita il tuo naso”. Un cultore e promotore dell’arte, un fine collezionista, che – dice Guttuso – come un prestigiatore faceva di tanto in tanto apparire dalle pieghe dei suoi vestiti una stampa di Goya o di Daumier, o un epigramma. “Vede tutto il tuo occhio / sente tutto il tuo orecchio”.
Le poesie di Balestra somigliano a lui, hanno di lui la stessa profondità e la capacità di incedere con grazia, fra lirismo e ironia, perché è fin troppo consapevole della coriacea contraddizione dell’esistenza. “E intanto la vita trascorre / mirabile e scialba”. E’ fulminante negli epigrammi. “Se l’uomo dispone / di una gallina e di un uovo il mondo comincia”. Tra le sue pagine sembra aleggiare un sorriso scanzonato e malinconico, insieme. Forse è lo stesso sorriso di chi comprende che il sipario cala presta e all’improvviso. “Avevo una zia… che singhiozzava ogni sera / sotto una lampada a pera… / suo figlio… / teneva le scarpe nel frigo / per essere fresco di mente / e avere la suola stridente… / e avevo una suocera austera / ornata di peli e panciera… / e avevo un cugino archivista / duro d’orecchi e di vista… / e avevo un simpatico zio / prudente cultore dell’Io”.
Balestra era un uomo che conosceva il valore dell’amicizia, amava il silenzio e sapeva usare le parole, sempre, sulla carta e nelle conversazioni. “Un borghese impacciato / dalla cravatta, le stringhe e la buona cucina / misurato di modi, misurato a parole”. Chi lo ha conosciuto lo descrive avverso al chiasso, dimesso e rustico nell’aspetto, ottocentesco nei modi, limpido nei giudizi, brusco e implacabile nelle liquidazioni. “Troppe rape galleggiano / troppe cacche profumano”. Fra il ’41 e il ’46 si guadagna il “Certificato al Patriota”, noto anche come “Brevetto Alexander”, dal nome del generale Harold Alexander, comandante in capo delle Armate alleate in Italia. Si tratta del più diffuso riconoscimento conferito, durante la Seconda guerra mondiale, dalle forze alleate ai patrioti italiani che si erano distinti per la collaborazione con le forze stesse. “E nel calore di giugno / tesse reti un ragnetto / minuscolo e già tanto esperto / della lotta per sopravvivere”.
Si trasferisce a Roma, a 23 anni, per seguire un corso di assistente sociale. Attilio Bertolucci disse che lì, a caput mundi, Balestra viveva da provinciale che soffre. “Dire è una città e ci si arriva col treno / tra orari, macchine, valigie, facchini”. A Roma diventa un assiduo frequentatore della galleria d’arte La Vetrina, di Tanino Chiurazzi, ed è qui che nascono tante delle sue solide amicizie con artisti e letterati; qui si sviluppa un forte e duraturo dialogo umano e artistico, fra parole e immagini, tra segno e segno. “Siamo sempre una folla. Sorridete vi prego!”. Nella città eterna conoscerà la futura moglie, Anna Maria De Agazio. “Il cinico Balestra, quel fesso che crede d’essere padrone di se stesso, di dominare i propri impulsi, sulla strada di prendere la cotta”. Era un uomo capace di calamitare intorno a sé, e ai suoi interessi, molti artisti e scrittori. La sua passione per la scrittura talora emergeva, in poesie e racconti, su quotidiani e riviste letterarie. “L’occhio esatto scava senza posa emozioni”. Raccontava della gente e dei luoghi della Romagna. “Il panorama piace / piace e delude… E tutto quadra, errori digestione / angoscia flemma / leggerai il giornale / altre notizie, / niente dura quanto un mal di denti”. Lontano dall’altisonanza, diceva la vita con le parole comuni che lo incantavano, e a queste restituiva nuova luce. Si tratta di quelle stesse parole che tante volte usiamo senza più prestare attenzione al loro significato; le stesse che guardiamo senza più vederle. Diceva la vita con ironica malinconia. “Amore puoi anche ridere / si ride spesso di niente / un tale che conoscevo / rideva per dimagrire / E si gonfiò per anni / di abbondanti risate / ogni giorno / con le lacrime agli occhi”.
Alfonso Gatto, uno dei tanti amici di Balestra, disse: “Era un poeta che soltanto gli amici sapevano che scrivesse poesie, epigrammi, satire e che ha dato a tutti sicurezza di sé, innanzitutto con il suo comportamento umano, con le sue scelte, col suo buonumore, col suo malumore, col gusto della vita che egli ci ha sempre comunicato”. La letteratura è un magnifico mondo da esplorare che consente una riflessione continua e regala stupore e conoscenza, pertanto diciamo di Tito Balestra, e lo diciamo nel modo che ci viene più naturale: diciamo di lui attraverso le sue stesse parole – “Monsignore ci spiega il bene e il male / con distratto fervore… / mai un momento / di colpevole inerzia, Dio ci vede” – sperando siano uno stimolo per quella fruttuosa curiosità che conduce alla conoscenza di cui sopra, quella cosa sempre buona e giusta, che riesce a fare la differenza mentre diamo il meglio di noi in saputismo vario ed eventuale. “Una testa un po’ vuota / è da considerare, / pesa di meno, è comoda / facile da portare / e naviga tranquilla / anche in un dito d’acqua”. Diciamo di Tito Balestra, e diremo ancora di chi come lui, perché “lenta trasuda la terra”, poiché ci sono “le intermittenze del cuore”, che tante volte si fanno epifania di noi stessi e del mondo, “lentamente assomigli a te stesso”, e ci sono le necessità del pensiero che sempre ha bisogno di sostegno perché il passo sia saldo lungo la strada accidentata dell’esistenza, e la letteratura è proprio quell’intermittenza, è proprio quel sostegno che andrebbe necessariamente ricercato.
“Parliamo lingue diverse / usando la stessa lingua / tu col furore del mistico / io tutto dubbi e prudenza / e a volte ci sembra logico / fare un po’ di teatro / tu suonando grancasse / io con gli orecchi tappati”. Va detto che, da circa trent’anni, il Castello Malatestiano di Longiano ospita la Fondazione Tito Balestra, che conserva i suoi scritti e la sua collezione di opere artistiche. “E la sera è gentile e non mi accorgo / di andare dove vado”. Si tratta di un piccolo grande universo, che copre un arco temporale che va dagli anni 40 agli anni 70. E’ il frutto di una serie di scelte personali che raccontano Balestra anche attraverso immagini. Uno scorcio illuminante sulla sua multiforme figura e al tempo stesso una testimonianza culturale e artistica del nostro paese, in un momento storicamente determinante. “Sorpreso di esistere / in una burrasca continua / che dà il mal di mare”. Dietro questa raccolta, o meglio, all’origine di questa raccolta c’è la vita vissuta, una pluralità di incontri, amicizie e relazioni umane fra tanta gente che veniva fuori dalla guerra, da un tempo tutto da ricominciare. “Come se un quadro scambiasse una visita all’altro quadro, un libro all’altro libro, in una fitta rete di rapporti, di analogie, di conversazioni, di memorie”, dice lo storico dell’arte Giuseppe Appella. “Un attimo a sudare, dalla vita / non attendere tregua”. Balestra usa la parola e ne fa poesia, per ricordarci che navighiamo a vista tra i flutti dell’esistenza. “Non ho scritto riga. Per la verità qualche verso, piuttosto malandato”. Quest’uomo col mozzicone di sigaro fra le labbra ha saputo illustrare in sordina, la vita, quella vita che “sembra una fune / sempre disposta a strozzarti”. In questo mondo che si ostina a darsi forma, e si deforma sempre di più, fino allo sgomento, Balestra ci fa notare, altresì, che il re è nudo. “Scodinzoli con garbo, sei pagato / per muovere la coda, a un cenno abbai / apri la bocca te la chiude un osso / già rosicchiato”.
E’ un esistenzialista, Balestra, che scrive con la leggerezza dell’uccello. “Si sale e si discende / indaffarati e stolti / come vuole la vita”. Sebbene abbia vissuto la vita della capitale, nell’abisso di sé è rimasto ancorato alla provincia, a una dimensione minima, a misura d’uomo. “Fragili ore ricordo… / crudo splendore dell’aria”. E’ un autore che forse non ha mai cercato il lettore, ad eccezione degli amici, la poesia per lui è quasi una questione privata. “Foglia a foglia / l’acqua cola nei vasi”. Noi lettori, invece, dovremmo confrontarsi con questo romagnolo sommesso e raffinato, che in una lettera si definiva scontento, scopriremmo un mondo intimo di parole che sembrano rivolte a noi soltanto. “Si parte e si arriva, fragili / come imballaggi regalo”. Il mondo tra le pagine dei libri, nei quali ci imbattiamo strada facendo, somiglia sempre terribilmente e mirabilmente al nostro. “Come gonzi / finiamo in trappola, magari ridendo”. Quel mondo sempre cerca se stesso, sempre rimpiange e desidera, sempre si guarda intorno e si domanda. Continuamente fa i conti con un perenne senso di finitudine. “Io e te insieme abbiamo una stanza / e abbiamo vetri contro il vento e la pioggia / e un cuscino un po’ grande che basta per due; / guardami in faccia, ho gli occhi castani”. Antonia Pozzi sosteneva di leggere i poeti per capire il suo cuore e quello degli altri. La poesia, quella degna di questo nome, è sempre un cuore che si rivela e ci riflette. Nel ripetersi, talora beffardo, della vita, la poesia è sempre un luogo a cui ritornare.