A Barcellona c'è un museo che espone l'arte censurata
Il giornalista e imprenditore Josep Maria Benet Ferran ha deciso di esporre la sua collezione di opere censurate che aveva iniziato a collezionare dal febbraio 2018
“Museu de l'Art Prohibit”: così, in catalano, si chiama il Museo dell’Arte Proibita che è stato inaugurato oggi a Barcellona. L’idea è stata di Josep Maria Benet Ferran, meglio noto come Taxto Benet. Benet Ferran ha 66 anni, è uno dei più popolari giornalisti sportivi spagnoli, è stato direttore del canale tv che nel 1992 trasmise 24 ore su 24 le Olimpiadi di Barcellona in catalano, e ora coordina l’area sportiva della federazione che riunisce le tv autonome spagnole. È anche però un imprenditore e condivide la gestione del Gruppo Mediapro, il conglomerato audiovisivo presente in 36 paesi, con un team di professionisti di oltre 6.700 persone. In più ha il curioso hobby che ha portato alla nascita di questo museo. Dal febbraio 2018 ha infatti iniziato la sua collezione d'arte contemporanea denominata “Censored” con più di settanta pezzi censurati in tutta la storia dell'arte che include opere di Abel Azcona, Ai Weiwei, Pablo Picasso, Francisco de Goya, Robert Mapplethorpe e Andres Serrano.
Il punto di partenza fu “Presos políticos en la España contemporánea”, una serie di 24 ritratti fotografici pixelati in bianco e nero realizzata da Santiago Sierra per denunciare l'incarcerazione dei membri delle associazioni culturali catalane Jordi Sánchez e Jordi Cuixart, e di altre persone per motivazioni politiche. Anche terroristi, va detto: c'erano per esempio due anarchici condannati per aver fatto esplodere una bomba nella Basilica del Pilar a Saragozza. Era stata esposta dalla galleria Helga de Alvear alla Fiera Internazionale d'Arte Contemporanea (Arco), ma il 21 febbraio 2018 la stessa Arco chiese di rimuoverla, perché “la polemica che l'esposizione di queste opere ha suscitato nei media sta danneggiando la visibilità di tutti i contenuti che ARCOmadrid 2018 riunisce”. Taxto Benert decise dunque di acquistarla. Dopo acquistò altre tre opere censurate: ma, sostiene, senza ancora l’idea di farne una collezione.
Aveva però iniziato a esplorare il tema su Internet, e si imbattè in “Silence rouge et bleu” di Zoulikha Bouabdellah, un'installazione scultorea composta da trenta tappeti da preghiera islamici, con trenta paia di scarpe a spillo, e che era stata ritirata per paura delle reazioni avverse da parte del Comunità musulmana. Fu allora che pensò di continuare ad acquisire opere censurate, in un momento in cui “non sapeva che non esistevano collezioni o musei a esse dedicati”. “Ho scoperto che non c'era nulla e ho iniziato a comprare, parlando con esperti che mi hanno detto che una collezione come questa sarebbe stata qualcosa di davvero unico, diverso e che avrei dovuto trovare il modo di mostrarla”. Ha messo insieme la collezione in breve tempo, mentre “il museo ha richiesto molto lavoro per realizzarlo, completarlo e aprirlo”. Fino ad arrivare, appunto, all'inaugurazione.
In circa 2.000 metri quadrati si possono ammirare opere che spaziano dal XVIII secolo ai giorni nostri. Ci sono anche alcuni “Caprichos” di Goya: la seria di ottanta incisioni raffiguranti vizi, superstizioni, abusi e menzogne della società spagnola, con frontespizio il famoso “Il sonno della ragione genera mostri”, e che messe in vendita a Madrid il 6 febbraio 1799, due giorni dopo venivano ritirate dall'Inquisizione. C’è un disegno di Gustav Klimt. C’è la “Suite 347" di Pablo Picasso. Ci sono fotografie di Robert Mapplethorpe. Ci sono alcuni “Mao” di Andy Warhol, vietato in Cina fino al 2012. C’è “Filippo Strozzi in Lego”: ritratto con i famosi mattoncini del banchiere fiorentino che si oppose ai Medici di Ai Weiwei, che è pure vietato in Cina. C’è “Always Franco" di Eugenio Merino: scultura dello scomparso dittatore congelato in frigorifero che la figli dello stesso caudillo aveva portato in tribunale, che però non ha ravvisato alcun reato. C’è “McJesus” di Jani Leinonen, con un crocifisso dai colori di McDonald’s che fu duramernte conrstata da cristiani palestinesi a Haifa.
La collezione comprende anche opere censurate dalla chiesa come le scatollette di fiamnmiferi realizzate dal gruppo femminista argentino Mujeres Públicas con slogan tipo “Il Papa è argentino e l’aborto è clandestino” o “Se il Papa fosse donna l’aborto sarebbe legge”. Come “Shark” del ceco David Černý, una parodia di una precedente opera di Damien Hirst, che metteva al posto di uno squalo Saddam Hussein con la corda al collo. Come un “Poster di Miquel Barceló che fu rifiutato dal Roland Garros. O “Civiltà occidentale e cristiana” di León Ferrari, con Gesù crocifisso a un aereo Usa per protesta contro la guerra in Vietnam o ancora "Smiling Copper" d: Bansky, con due poliziotti dallo smile al posto del volto.
Benet ritiene che il “museo onori la circostanza di essere unico al mondo, con una presentazione molto originale”. La direttrice del museo, Rosa Rodrigo, ha sottolineato che saranno esposte opere “rimosse dal dialogo con la società, che è l'obiettivo principale del lavoro artistico”, e che il nuovo spazio cercherà di “amplificare le voci, generare storie”.