Scelta di coppia
Quando libertà e sentimenti sembrano opposti inconciliabili. Il romanzo di Gianluca Nativo
In Polveri sottili l'amore giovane e travolgente di Eugenio e Michelangelo. L’autore sa come mettere in scena un grande amore che ha tutto lo slancio e i limiti della giovinezza, quando sul piatto non si può mettere altro che la propria vitalità, perché il resto è in divenire
C’è una generazione di italiani per i quali andare all’estero, con posizioni grandi da fuga dei cervelli o piccole piccole da pagina voltata di fretta, è un passaggio di vita fondamentale, un prendere le misure della propria autonomia, anche quando il lavoro in teoria ci sarebbe pure a casa e le famiglie si danno da fare per essere progressiste e accogliere le scelte, professionali e sentimentali, dei figli. I lavori non sono per forza migliori, ma la possibilità di crearsi un’esistenza a propria immagine e somiglianza è troppo preziosa per rinunciarvi: un tema raccontato da molta letteratura recente, com’è inevitabile per un fenomeno che negli ultimi anni ha raggiunto proporzioni enormi. È però una declinazione più personale e sentimentale quella scelta da Gianluca Nativo in Polveri sottili, elegante, avvincente romanzo che parla di una coppia ritratta in quel momento cruciale in cui libertà e sentimenti sembrano essere due opposti inconciliabili.
Londra, città di grandi sentieri esistenziali e di inebriante anonimato, piace molto a Eugenio, giovane medico di ottima famiglia deciso a tracciarsi un percorso al di là dei privilegi di cui godrebbe a Napoli, e molto meno a Michelangelo, uno che ama guardare il telegiornale in poltrona con il padre e lasciare che l’angoscia delle notizie lo avvolga mentre si chiede cosa fare della sua laurea in Lettere. Sarebbe una buona ragione per non partire, questo grande amore emerso a sorpresa dalle pieghe di una città che sembrava esaurita agli occhi del protagonista. Ma Eugenio sa bene che non si può rinunciare a uno slancio, a un desiderio che prima o poi rischia di fare cancrena. Tarparsi le ali a vicenda a ventisei anni è vietato, anche se si portano dietro ricordi abbaglianti di giornate di sole trascorse insieme in un mondo che potrebbe sembrare un paradiso, se solo si potesse scommettere sulla propria staticità. Per Michelangelo la tentazione, strisciante e inaccettabile, sarebbe invece di non fare niente, accompagnare Eugenio nella sua carriera, preparare pasti elaborati che nessuna coinquilina inglese capirà mai, aspettarlo dietro una pila di pancake quando rientra stravolto dai turni di notte.
Con la sua bella lingua così precisa e sensibile, capace di restituire un mondo di sottile, amorevole soffocamento – “E come faccio a non preoccuparmi, tu in questi mesi non ci hai fatto capire niente, prima te ne vai a Londra, poi dici che stai a Milano. Tutta ’sta vitalità non è che ti fa male? Ce la fai a reggere?”, dice una delle due madri – e di fotografare senza bisogno di filtri zuccherini la luminosità di certi momenti di cui l’amore stesso sembra bearsi, Nativo racconta una Napoli in cui Raffaele La Capria non è mai troppo lontano, mentre l’irresistibile broncio londinese di Natalia Ginzburg e della sua La Maison Volpé viene liquidato con un sorriso: la densità intellettuale e l’estetica dei piccoli gesti che Eugenio ha voglia di sostituire con un universo più anonimo e agile sembrano una risposta a lei e alle sue pagine più meravigliosamente critiche. Michelangelo cresce in un’aporia, in uno spazio impossibile, come dovrebbe essere in letteratura. “Esistevano ancora persone in grado di fare una scelta d’amore?”, si chiede il narratore, e la risposta è che la scelta d’amore ormai deve fare i conti con la mutevolezza del desiderio, del difficile equilibrio che lega quello nei confronti di una persona in particolare, l’amore, e del desiderio di costruirsi un’esistenza in cui quell’amore non si scontri mai con altro. E quindi bisogna andare a curare persone dall’accento impossibile sotto gli occhi di supervisor severe, anche se più professionali di quelle, altrettanto arcigne, con cui si ha a che fare a Milano. L’autore sa come mettere in scena un grande amore che ha tutto lo slancio e i limiti della giovinezza, quando sul piatto non si può mettere altro che la propria vitalità, perché il resto è in divenire. L’alternativa è “finire con la coda tra le gambe a gestire, per il momento, un B&B ricavato da qualche stanza disabitata delle grandi case dei nonni”.