le prospettive
Dura la seconda vita di Bob Iger a Disney, fra spese da tagliare e azionisti ribelli
Sarebbe il momento di vendere qualcosa e di snellire l’azienda, ma intanto il Ceo ha messo nel mirino Hulu ed Espn
Gli azionisti sono preoccupati (eufemismo). La Disney è la Disney. La pandemia ha fatto danni. Ma le azioni che da 200 dollari scendono a 80 fanno perdere il sonno, dopo il ritorno del vendicatore Bob Iger, ceo che aveva lasciato l’azienda nel 2020 per tornare trionfante nel 2022: “Voglio rimediare agli errori commessi”.
Uno, in particolare: aveva scelto come suo successore Bob Chapek, che voleva tenere la politica lontano da Topolino – compito non facile, in questi tempi woke. Una volta si indignavano i genitori, ora si indignano gli impiegati della premiata ditta, e la “Sirenetta” nera in fondo non piace a nessuno (tranne alle bambine scure di pelle arruolate per dire “ohhhhhh, mi somiglia!” nella pubblicità). La prima stagione di Bob Iger era durata dal 2005 al 2020. Giusto il tempo di comprarsi la Pixar (che ancora apparteneva a Steve Jobs), la Marvel, la Lucasfilm e la 20th Century Fox. Da grandi acquisizioni derivano grandi responsabilità: Bob Iger cercò di spezzare la parete invisibile che separava la Disney dal mondo là fuori (c’erano riusciti bene i geni della Pixar a usare i disegni animati per raccontare il mondo: ora sono ridotti a “Elemental”: una fiaba di buoni sentimenti dove il fuoco si fidanza con l’acqua).
Al secondo giro, dopo il biennio di Chapek – avevano caratteri diversi (eufemismo): Bob Iger mondanissimo, Chapek descritto come “un sandwich al tonno seduto di fronte a un foglio di calcolo irto di cifre” – i problemi erano ancora più grandi del previsto. In cifre: 5 miliardi e mezzo di dollari da risparmiare, e 7 mila impiegati da licenziare. Lo sciopero ha aggravato la situazione, con le uscite dei titoli di richiamo da spostare. Certi tent-pole (cosi si chiamano, come i pali che reggono la tenda) da soli riescono a cambiare un bilancio dal nero al rosso, o viceversa. Ultima questione: gli azionisti ribelli che pretendono un posto nel consiglio di amministrazione, come il miliardario Nelson Peltz, di recente alleato con Ike Perlmutter, ex dirigente Marvel.
Bob Iger avrebbe dovuto rimanere due anni, resterà fino al 2026 (anche durante il primo mandato era sempre sul punto di partire e non se ne andava mai). Tra i suggerimenti dell’aspirante consigliere Peltz, uno riguarda i film Marvel. Per capirci: le storie di supereroi incomprensibili a chi abbia più di 20 anni e non prenda appunti durante la visione. Vorrebbe che fossero ridotte le durate esagerate, una mezz’ora in mano taglierebbe le spese e ridurrebbe i salari. In fondo, nascono come albi disegnati, letture veloci e puro svago. Ora sentiamo palare di “Universi” e di “Filosofia”, con pesanti ripercussioni sui budget, i compensi dei divi e gli effetti speciali.
Ora sarebbe il momento di vendere qualcosa e di snellire l’azienda, non solo i singoli film. Vendere la Abc, per esempio. Oppure FX, che però con “American Horror Story”, “Fargo”, “Atlanta” e il nostri preferiti “What We Do In the Shadows” (comune di vampiri in città, nessuno lava i piatti) e “The Bear” vincono premi e lanciano attori e registi, non di solo Topolino si vive.
Bob Iger sta piuttosto pensando a nuove acquisizioni, comprando una quota di Hulu e facendo ragionamenti su Espn, il canale americano che trasmette sport 24 ore su 24. Sembra che in ufficio abbia un post del film di Clint Eastwood, “The Eiger Sanction” (da noi, “L’assassinio sull’Eiger”). Lo ha corretto in “The Iger Sanction”, e intende attenersi alla sua fama. Ma stavolta sarà più difficile: lo streaming ha cambiato troppe cose, nei conti economici e i modi di produzione. Mr. Iger si rilasserà con le consuete due docce al giorno – per questo non voleva lasciare il suo ufficio con doccia a Bob Chapek.
Universalismo individualistico